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le facoltà inalienabili, ossia quelle che possono dirsi vere proprietà dell’uomo. Se l’uomo potesse vendere il sonno e la fame? Se la bellezza e l’ingegno? O il cambio si farebbe secondo il valore assegnato a queste differenti facoltà dalla natura stessa, vale a dire che chi manca d’appetito ed ha in cambio una sterminata ricchezza avesse a cedere la sua sterminata ricchezza per comperarsi l’appetito, e allora si cambierebbero soltanto le parti da persona a persona, lasciando in piede le proporzioni medesime, e sarebbe una vera superfluità. O nel cambio verrebbero assegnati valori arbitrarii alle facoltà di cui discorriamo, e allora tutto l’edificio sociale rimarrebbe capovolto nella maniera più spaventosa. Se il ricco potesse serbare una parte della sua ricchezza, e comperarsi in cambio dell’altra parte, appetito, sonno, ingegno, bellezza e via discorrendo, quante cagioni di spendere gli sarebbero tolte! E spendesse pure, come per lo innanzi, che voglia o che bisogno avrebbe di guadagnare, chi, quand’anche avesse di che imbandirsi un pranzo migliore, non avrebbe poi la fame opportuna a godere dei cibi, per averla venduta? Che vuolsi conchiudere da questo chiaccherio sopra argomento tanto lontano dalla realtà? Che in generale a voler mutare l’ordine naturale delle cose non altro farebbesi che sconciarlo, ed essere ineffabile il detto, che, contro il male sta il bene, e nella loro discordanza concorrono