Pensieri, Moralisti greci/Nota
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NOTA
Sono raccolti in questo volume scritti che il Leopardi lasciò inediti, — salvo la Comparazione delle sentenze di Bruto, e il Martirio dei SS. Padri, pubblicati dodici e dieci anni prima, — e che il Ranieri diede quasi tutti nella edizione delle Opere «accresciuta ordinata e corretta secondo gli ultimi intendimenti dell’Autore». Io non starò qui a ripetere quel che ho osservato nella Nota alle Operette morali, che cioè gli ultimi intendimenti noti, riferendosi alla stampa che il De Sinner trattava a Parigi col Baudry, erano altri; voglio ammettere che per quando, prima o poi, una edizione fosse stata possibile in Italia, il Leopardi abbia espresso all’amico propositi, disegni, desideri che ora non si saprebbero indovinare1 ; ma piú probabile mi pare che, in buona fede, il Ranieri tanto si fosse convinto della sua parte di alter ego del sodale da pensare che «gl’intendimenti» suoi propri fossero quelli del Leopardi; e l’intolleranza verso il «tedesco», verso il Giordani, verso il Viani, verso tutti insomma gli altri devoti del nuovo culto leopardiano gli venisse dalla certezza d’esser l’unico Maometto del suo Allah.
Almeno fino a quando, negli ultimi anni, rinnegandolo, si lasciò andare a scrivere quel malaugurato Sodalizio.
Ma quell’asserzione del Ranieri trasse in inganno anche studiosi insigni del grande recanatese, come il Mestica e il Moroncini, che intitolarono «opere approvate» quelle la cui «approvazione» non appar verosimile. Lasciamo andare il Martirio; ma i Paralipomeni sono un lungo frammento d’un poema che nessuno potrebbe dir dove sarebbe andato a parare: quella stessa chiusa, dettata pochi giorni prima di morire, è la «fine dell’ottavo canto», non giá del poema. I Pensieri non solo non si può dire sian tutti quelli ch’egli avrebbe dati nel volumetto disegnato, ma certo sarebbero stati ordinati diversamente e in una forma piú organica. Di questo lavoro non v’è traccia nell’autografo, in cui la stessa disposizione e numerazione delle pagine è di mano del Ranieri. Infine le traduzioni di Epitteto, della favola di Prodico, e dei Ragionamenti d’Isocrate son frammenti di un piú vasto lavoro intrapreso e abbandonato molti anni avanti di pensare e raccogliere i frutti di tante fatiche. «Approvati» anche questi? Senza dubbio, quando li mandò per la stampa allo Stella, dichiarando che non credeva di poter fare di meglio, e quando trattava col Puccinotti per farli stampare a Macerata: ma in ultimo, li avrebbe lasciati cosí com’erano? o li avrebbe ricorretti? Di certo non «approvato» dovette essere il Discorso sopra i costumi degl’Italiani, che infatti il Ranieri non diede, e che apparisce come una «prima stesura», poco piú che abbozzata, e trasandata come non gli era uscito mai di mano nessuno scritto.
Le opere del Leopardi sono i Canti e le Operette morali: piccola mole, ma che hanno il valore e la significazione che hanno. Di tanti sogni, di tante speranze e di altissimi propositi che avevano confortato la sua giovinezza rimangono, preziose reliquie di un grande naufragio, studi preparatorii, frammenti di lavori, che le condizioni penose della vita non gli concessero di portare a termine, disegni che non solo non poté colorire, ma neppur tracciare in linee precise. E sono importanti per l’altezza d’ingegno che dimostrano, e per la larghezza degli studi.
Or come al volume dei Canti si son dati a guisa di complemento necessario quelli dei Versi e Paralipomeni e dei Frammenti e Abbozzi, cosí al volume delle Operette morali si accompagna a questo, che comprende quanto nell’opera leopardiana fa immediata corona alle Operette medesime, e insieme finisce di raccogliere gli scritti della maturitá del poeta.
I. — Pensieri.
Come ho giá accennato, la raccolta di questi Pensieri, fatta o raccogliendoli dallo Zibaldone, e dando loro una forma piú densa e perfetta, o scrivendoli via via che gli venivano in mente, non è compiuta. Molti altri ne rimangono sparsi qua e lá, non meno arguti e caratteristici, che qui non sono riuniti. Secondo ogni probabilitá, il volumetto, che forse doveva essere il quarto sí nella edizione dello Starita, sí in quella del Baudry, non fu compiuto. Anche l’ordinamento è credibile sia del Ranieri: l’autografo ha numerate di mano del L. solo le prime otto pagine, contenenti il P. I, che è una specie di «Preambolo»: gli altri fogli, contenenti ciascuno un pensiero, sono numerati a carte d’altra mano; e son del Ranieri i numeri romani preposti a ciascun pensiero nella copia per la stampa. Tuttavia è evidente che nessuno s’arrischierá oramai piú a tentar di dar loro una disposizione diversa.
Il testo, che il Ranieri e poi il Mestica avevano dato non senza qualche inesattezza, svista o correzione arbitraria, è stato ripubblicato di su l’autografo l’anno scorso dal Moroncini, ed a questa edizione mi son quasi sempre attenuto2.
II. — Comparazione delle sentenze
di Teofrasto e di Bruto minore vicini a morte.
I primi appunti sono nello Zibaldone, p. 316 segg. del novembre 1820; il Bruto minore è del dicembre 1821; quando questa Comparazione fosse scritta non risulta: pubblicata per la prima volta fu nelle Canzoni (Bologna, 1824) avanti il Bruto minore, ma fu tolta nelle successive edizioni dei Canti.
Per l’edizione delle Opere, che si doveva fare a Bologna nel ’26, il Leopardi l’aveva ricorretta, come può vedersi dalle Varianti (pp. 307-8) ma dove l’avrebbe collocata è impossibile indovinare. Nel disegno della piccola «Collana» di Moralisti greci, proposta allo Stella, voleva unirla al Manuale di Epitteto e al mito di Prodico; ma pare per mere ragioni tipografiche, per farne un volumetto uguale all’Isocrate, giá pronto, e agli altri progettati. I piú degli editori posteriori, compresi il Mestica e poi il Moroncini, l’hanno posta quasi come appendice delle Operette morali, io ho preferito darla qui prima dei Moralisti, coi quali l’A. avrebbe voluto unirla.
III. — Moralisti greci.
Fin dall’ottobre 1825 cominciò a farne proposta allo Stella; e doveva essere: «Operette morali di vari autori greci, volgarizzate nel miglior italiano ch’io sappia fare», e comprendere, in quel primo disegno, i Caratteri di Teofrasto, i Pensieri di Marco Aurelio, e sopratutto i Pensieri di Platone.
Un mese dopo, il disegno si era allargato; e il primo volumetto della raccolta avrebbe dovuto comprendere i Ragionamenti morali d’Isocrate; un secondo volumetto: «Pensieri morali tratti da libri perduti di antichi scrittori greci, opera che sarebbe tratta da Stobeo». E non è improbabile dovesse comprendere anche traduzioni in versi, come i due frammenti di Simonide accolti nei Canti (XL, XLI) e i sei, che ho dato tra gli Abbozzi, di Archiloco, di Alessi Turio ecc.
Ancora: pochi mesi piú tardi (26 marzo 1826), si allargava a una Scelta di discorsi di Dione Grisostomo, di Massimo Tirio, al Gerone di Senofonte, ecc.
Altri disegni seguirono; ma né il definitivo fu tracciato mai, né parecchie delle traduzioni promesse pur cominciate: onde non giova seguire i particolari del carteggio su questo argomento con lo Stella, il quale all’ultimo finí di scoraggiare il traduttore, invitandolo a cedere questi lavori al Sonzogno per una delle sue Collane.
Piú tardi, nel decembre del 1827, al Puccinotti, che per uno stampatore di Macerata, un signor Mancini, gli chiedeva «qualche cosa d’inedito», offrí questi saggi che si sarebbero potuti stampare o separatamente o in un volume solo, nel quale avrebbe riunito, sotto il titolo di Alcuni volgarizzamenti, anche il Pletone e il frammento di Senofonte. Il Ranieri li diede, come s’è detto, sotto il titolo di Volgarizzamenti nel vol. II delle opere.
Seguendo questo proposito dell’A. qui ho aggiunto:
Discorso in proposito di una orazione greca di Giorgio Gemisto Pletone e Volgarizzamento della medesima. — Il discorso è del novembre 1826 - gennaio ’27, a proposito di un giudizio del Giordani sulle traduzioni: la orazione non si può precisare quando fu tradotta: l’uno e l’altro furono pubblicati nel Nuovo Ricoglitore, anno III, febbraio 1827, e fu anche stampato a parte: un esemplare che si conserva tra le carte napoletane ha correzioni di mano del Ranieri.
Frammento di una traduzione in volgare dell’«Impresa di Ciro» descritta da Senofonte. — Neanche di questi primi capitoli dell’Anabasi è possibile precisare quando la traduzione fosse fatta: due copie autografe se ne conservano tra le carte napoletane: fu stampato nel Nuovo Ricoglitore, anno I, settembre 1825.
I frammenti che qui si danno in Appendice furono stampati nel citato volume di Scritti vari dalle carte napoletane, pp. 376-84.
IV. — Martirio dei SS. Padri.
Fu composto nel novembre del 1822 e pubblicato a Milano «presso Antonio Fortunato Stella e Figli, MDCCCXXVI».
Nei cahiers che servirono all’edizione delle Opere, l’opuscolo è cucito tra i manoscritti, senza correzioni, e non c’è che da riprodurlo testualmente, salvo che a cap. VI, I. 12 e 13 venuti e ricevevano furon corretti dal Moroncini sull’autogr. come evidente errore di stampa. Che allora trarre in inganno il Padre Cesari con queste contraffazioni potesse essere un piacere da meritar qualche settimana di fatica si capisce: oggi non ha piú che un interesse di curiositá erudita.
V. — Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl’italiani.
Ha la data del 1824. Ma il ’24 — dal 19 gennaio al 13 decembre — fu occupato con tanta intensitá nelle Operette morali che, a chi guardi le date segnate a ciascuna di esse non riesce possibile indovinare quando l’abbia potuto scrivere. Certo è di dopo il 1823, perché vi è citato un passo dello Zibaldone del settembre di quest’anno. Ed è di prima del 1829, perché è citato come cosa a sé nello Zibaldone (18 aprile 1829, p. 4491). Notevole per il contenuto, è il piú trasandato nella forma di tutti gli scritti leopardiani. Mai, neppure negli scritti di filologia, era stato cosí involuto e cosí poco corretto.
Edito in Scritti vari cit., pp. 282-386.
VI. — Scritti vari.
Certo il Leopardi non avrebbe pensato mai ad accogliere nelle Opere queste tracce delle sue dure fatiche per conquistarsi quel tanto di libertá che gli era necessaria; ma son gl’inconvenienti delle Opera omnia, che ne portano spesso anche dei peggiori. Infine questi sono scritti della piena maturitá e pubblicati da lui.
i. Rime di F. Petrarca. — Il Mestica crede sia del L. anche il Manifesto, che gli pare «nella sua brevitá veramente un gioiello». (Un tantin di feticismo non guasta). È la seconda parte d’un annuncio bibliografico del Nuovo Ricoglitore, 1825, quad. 9; del quale la prima tratta del Galilei e di altri scritti raccolti dal Tommaseo.
Prefazione e Scusa son rispettivamente in principio e in fine delle Rime di F. P. con l’interpretazione composta dal conte G. L., Milano, A. F. Stella e figli, MDCCCXXVI.
Dieci anni dopo, il Passigli pregò il L. di rivedere la sua «interpretazione» che uscí infatti nel 1839. Queste pagine furono ristampate in Studi filol., 297-304 e Scritti lett., II, 359-63 e 391-94.
2-3. Crestomazia italiana — cioè scelta di luoghi insigni per sentimento o per locuzione, raccolti dagli scritti italiani in prosa di autori eccellenti d’ogni secolo, per cura del conte G. L., Milano, A. F. Stella e figli, MDCCCXXVII.
Crestomazia italiana poetica — cioè scelta di luoghi in verso italiano, insigni o per sentimento o per locuzione, raccolti e distribuiti secondo i tempi degli Autori dal conte G. L., Milano, A. F. Stella e figlio, MDCCCXXVIII.
I due voll., non dovettero avere grande fortuna: vent’anni dopo, quando l’ediz. Lemonnier delle Opere (1845) venne finalmente a far conoscere a un piú largo pubblico il poeta, rimasto fin allora in una nobile ma piccola cerchia di fervidi ammiratori, fu finta una «seconda edizione» mutando i frontispizi e aggiungendo una Notizia del conte G. L. di Luigi Stella: Milano, 1846.
Le Crestomazie, che nell’alta Italia non ebbero fortuna, furono piú volte ristampate in Napoli da Bruto Fabbricatore, che le ampliò con aggiunte e compié con scritti del secolo XIX; e in ultimo trasformate in una Storia letteraria scolastica da Vittorio Imbriani e Carlo Maria Tallarigo stampata male, ma compilata assai meglio di parecchie che seguirono e seguono.
Le due prefazioni furono ristampate in Studi filol., pp. 309-13 e in Scritti letterari, II, 369-74.
4. Lo spettatore fiorentino. — Questo Preambolo fu stampato, dice il Mestica, al quale per altro non riusci di vedere l’ediz. originale, come non è stato possibile a me, nel giugno 1S32. (Si veda la lettera alla contessa Paolina 16 giugno 1832) «Il governo decise nel consiglio dei ministri di rigettare il manifesto».
Ristampato in Studi filol., pp. 305-8 e in Scritti letterari, II, 379-82.
Appendice.
Ho infine raccolto qui alcuni scritti che hanno valore di documenti e della preparazione di studi del Leopardi.
Sono frammenti: — come la prima Lettera al Giordani sopra il Frontone del Mai. È del 1819: — da cinque anni l’ombra di quel retore aduggiava il giovane studioso. Pure può essere interessante vedere (qui dove si vede) lo svolgimento del suo ingegno, dal breve Commentario latino del 15 alla Vita che doveva esser premessa alla traduzione (v. vol. VI) e notar quel primo fervore d’ammirazione che va sbollendo, e le indagini erudite che cedono il luogo via via a veri e propri studi letterari e ad acute disquisizioni di stile.
Questo frammento e gli abbozzi che certo furono precedenti, ma qui seguono, son tra le carte sinneriane della Nazionale di Firenze, e furono editi dal Piergili in Nuovi documenti intorno agli scritti e alla vita di G. L. (Firenze, successori Lemonnier), pp. 59-88 della 3 a ed. di cui mi valgo.
E sono i primi tentativi di dialoghi lucianeschi, che dovevano metter capo alle Operette morali. Furon pubblicati dalla Commissione governativa in Scritti vari inediti dalle Carte napoletane (Firenze, Le Monnier, 1904).
Sotto il Busto di Raffaello. — Da Monumenti del giardino Puccini, Pistoia, Tipogr. Cino, 1845, a p. 353. L’abate Manuzzi ne diede una copia alquanto diversa al Viani, che per altro non si persuase dell’autenticitá di questa iscrizione. La copia data dal Manuzzi al Viani è questa, evidentemente scorretta: per lo meno, manca un A avanti a Raffaello.
RAFFAELLO DA URBINO
PRINCIPE DE’ PITTORI
E MIRACOLO D’INGEGNO INVENTORE DI BELLEZZE INEFFABILI
FELICE PER LA GLORIA IN CUI VISSE
PIÚ FELICE
PER L’AMORE FORTUNATO IN CUI ARSE
FELICISSIMO PER LA MORTE OTTENUTA NEL FIOR DEGLI ANNI
NICCOLÒ PUCCINI
DEDICAVA QUESTO MARMO
SOSPIRANDO
PER LA MEMORIA DI TANTA FELICITÁ.
- ↑ Infatti in una lettera al Niccolini (20 marzo 1845, fatta conoscere dal Moroncini, Nuova Antologia, i° aprile ’32, p. 371 segg.) scriveva di avere «per sette anni sforzato l’intelletto alla continua reminiscenza di tutto il detto fra Leopardi e me nei sette anni anteriori»: ma Dio l’abbia in gloria, come fidarsi alla sicurezza di quei ricordi, se nella stessa lettera scriveva anche: «Voi conoscete da quali elementi sparpagliati per tutto il mondo, e con quale perseveranza e ostinazione io abbia potuto per tanti anni raccogliere tutto quello che ora ho pubblicato». Tutto salvo i Volgarizzamenti, ceduti dal Leopardi al dottor Manni, quasi un pegno per un prestito di quaranta ducati, era nelle sue mani! — e altrove vantò la spesa per ricuperar questi — che il Manni gli aveva restituiti generosamente senza nessun compenso, solo con la speranza di vederli stampati e dedicati a lui, come il L. aveva promesso.
- ↑ . Il prof. Moroncini piú volte s’è preso cura di tartassare queste mie «che si presentano con pretesa di edizioni critiche», e ha rilevato con minuziosa diligenza qualche errore — pur troppo veramente sfuggito — che egli poi accresce con degli ecc. ecc. — e «l’arbitraria grafia e interpunzione». Non è facile intenderci: egli ha la «pretesa» che «critica» sia l’esatta riproduzione degli autografi: e se cosí fosse, evidentemente, il critico piú acuto e sicuro diventerebbe il fotografo, le cui lastre non corron pericoli di distrazioni o di sviste o d’errori tipografici. Se non che, il Leopardi appunto scriveva allo Stella (7 aprile 1826): «Ella sa che l’Alfieri diceva che un’opera giá copiata e pronta per la stampa è mezzo fatta: l’altra metá della fatica è quella di condur l’edizione. Spesso molte imperfezioni che non si ravvisano nel ms. saltano agli occhi dell’autore quando rivede le sue opere in stampa ecc.». — E, appunto per questo (che è vero non solo per l’Alfieri e il Leopardi, ma per tutti, grandissimi o piccolissimi) io penso che critica è l’edizione fatta dall’Autore, quando l’ha fatta; e anche qui, salve le sviste e le distrazioni e gli errori di stampa, che si debbon correggere.— Quando l’edizione dell’autore non ci sia, è critica quella in cui l’editore contemperi le norme generali seguite dall’autore con le esigenze o le consuetudini del tempo proprio, o magari coi criteri d’una collezione: se no diventa «arbitrio» anche toglier le h agli hebbe o haveva dell’Ariosto! Sicuro: è un lavoro che domanda quel «grano di sale» del quale il fotografo non ha bisogno, e da fare con molta discrezione. Fino a mutare forme o costrutti, perché l’A. gli avrebbe corretti in una nuova ristampa, nessuno si può arrischiare: ma l'aequa potestas nei particolari minimi di grafia e anche d’interpunzione, io credo che all’editore critico debba esser concessa. Per es.: il L. scriveva nei primi tempi proccura, e qui, trovando la forma scorretta, e mutata nelle ultime edizioni dell’A., il Moroncini corregge, quando non se ne scorda; io vo piú in lá: il L. scriveva laguna per lacuna, sempre, e io non mi fo scrupolo di risparmiargli questo piccolo sproposito. Gli accenti ai chè causali o ai sè pronomi, i corsivi nella indicazione di titoli di opere ricordate e altre particolaritá cosiffatte qualificate di arbitrii sono norme costanti degli Scrittori d’Italia, che non si vede come possano falsare o tradire in qualche modo il pensiero o l’arte del Leopardi.