Pensieri, Moralisti greci/Appendice/IV. Prime prove delle 'Operette morali'/4. Dialogo - Galantuomo e mondo

4. Dialogo - Galantuomo e mondo

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4 DIALOGO

GALANTUOMO E MONDO

(1822-24)

Di tutto, eziandio che con gravissime ed estreme minacce vietato, si può al mondo non pagar pena alcuna. De’ tradimenti, delle usurpazioni, degl’inganni, delle avarizie, oppressioni, crudeltá, ingiustizie, torti,oltraggi, omicidi, tirannia ecc. ecc. bene spesso non si paga pena; spessissimo ancora se n’ha premio, o certo utilitá. Ma inesorabilmente punita, e a nulla utile, e sempre dannosa, e tale che mai non ischiva il suo castigo, mai non resta senza pena, è la dabbenaggine (coglioneria) e Tesser galantuomo, ch’altrettanto è a dire.

Galantuomo. Come desidera Vostra Eccellenza ch’io la serva?

Mondo. Chi sei tu?

Galantuomo. Sono un povero disgraziato.

Mondo. Incominciamo male. I disgraziati io non li posso vedere.

Galantuomo. Ma Vostra Eccellenza è tanto compassionevole.

Mondo. Tutto l’opposto. Chi diavolo ti ha dato ad intendere che nel mondo si trova la compassione?

Galantuomo. Vostra Eccellenza mi scusi. Me l’avevano detto i poeti e i romanzieri.

Mondo. Giá me lo figurava. Lasciali cantare ai bambocci. Ho un barlume nella memoria, ch’io da ragazzo e da giovanotto avessi compassione; ma è lunghissimo tempo che i mali altrui mi commuovono quanto un predicatore italiano. È gran tempo che la sfortuna non fa piú fortuna, se non quando è falsa ecc. e chi è sventurato lo è per davvero e non per giuoco. Ma tu non sei mica bello.

Galantuomo. Vostra Eccellenza dice bene.

Mondo. Dico bene senza fallo: questo giá s’intende. Ma in somma, disgraziato e non bello. Figlio mio, non penso di poterti giovare a niente. [p. 348 modifica] Galantuomo. Ma s’accerti Vostra Eccellenza che ho bonissimo cuore, e mi sono sempre esercitato nella virtú.

Mondo. Peggio che peggio. Tu vuoi morir disperato e appiccarti da te stesso ecc. ecc. (Segua un discorso intorno al danno dell’aver buon cuore, e sensibilitá.) Sei nobile?

Galantuomo. Eccellenza si.

Mondo. Questo va bene. Ricco?

Galantuomo. E come, Eccellenza, se sono stato sempre galantuomo ?

Mondo. Via, questo non fará caso. Quando sarai divenuto un furfante, arricchirai. La nobiltá, figliuolo, è una gran bella cosa; e perché sei nobile, voglio vedere d’aiutarti ; sicché ti prendo al mio servizio.

Galantuomo. Vostra Eccellenza mi comandi in che maniera io mi debba regolare.

Mondo. Figlio mio, per condursi bene ci vuole un poco d’arte.

Galantuomo. Vostra Eccellenza si compiaccia di credermi, ch’io non manco d’ingegno, anzi tutti mi dicono ch’io n’ho moltissimo, e se ne fanno maraviglia.

Mondo. Questo non rileva. (Il punto non consiste qui.) Non basta avere ingegno, ma un certo tale ingegno. Se hai questo, procura di coltivarlo, e non curarti dell’altro. Se questo ti manca, qualunque altro ingegno, fosse anche maggiore che non fu l’ingegno di Omero e di Salomone, non ti può valere a nulla.

Galantuomo. Vostra Eccellenza mi perdoni. Aveva sentito dire che il vero e grande ingegno risplende attraverso qualunque riparo, e non ostante qualunque impedimento, presto o tardi prevale.

Mondo. Chi te l’ha detto? Qualche antiquario che l’ha imparato dalle iscrizioni, o qualche tarlo che l’ha trovato scritto nei codici in pergamena? Anticamente lo so ancor io che il fatto stava cosi come tu dici, ma non dopo che l’esperienza e l’incivilimento m’hanno trasformato in un altro da quello di prima. Specchiati in Dante Alighieri, in Cristoforo Colombo, in Luigi Camoens, in Torquato Tasso, in Michele Cervantes, in Galileo Galilei, in Francesco Quevedo, in Giovanni Racine, in Francesco Fénelon, in [p. 349 modifica]Giacomo Thomson, in Giuseppe Parini, in Giovanni Melendez, e in cento mila altri. Che se costoro hanno avuto qualche fama o dopo morti o anche vivendo, questo non leva che non sieno stati infelicissimi, e la fama poco può consolare in vita e niente dopo morte. E se vuoi veder di quelli che non sono arrivati neppure alla fama che cercavano, guarda Chattertonh) (vedi lo Spettatore di Milano, quaderno 68, p. 271, parte straniera) e moltissimi altri che furono d’altissimo ingegno, e morirono senza fama sul fior degli anni, chi dalla povertá chi dalla disperazione; e oggi niuno se ne ricorda. E quanti altri sono vissuti lungamente, e hanno scritto o fatto cose molto piú degne d’immortalitá che non sono infinite altre notissime e famosissime. E contuttociò, perché la fortuna ed io non gli abbiamo aiutati, non hanno avuto nessun grido, e non si parlerá mai di loro, come se non fossero mai stati. Dimmi un poco: pizzichi niente di letterato?

Galantuomo. Eccellenza, posso dire che da che vivo non ho fatto altro che studiare, tanto che questo m’ha indebolita e guasta la complessione e la salute del corpo.

Mondo. Male malone. Hai sprecato il tempo, la fatica e la spesa. Tutto lo studio fa conto d’averlo gittato, e il danno che ti resta lo porterai gratis per amore del diavolo. Non riprendo che vogli professar dottrina e letteratura, e procacciarti onore e fama con questo mezzo. Anche questo giova a segnalarsi fra la gente, e farsi riverire dalla moltitudine, ed arrivare a molti fini. Ma non si conseguisce mica per via dello studio, anzi non ci bisogna studio, se non pochissimo. Senti quel che farai per l’avanti. Stringerai conoscenza e amicizia con una buona quantitá di letterati, non importa che sieno veri o falsi; basta che abbiano un certo nome. Qualunque te ne capiti, sia pure meschinissimo, non lo trascurare, e fáttelo subito amico, perché il gran chiasso non lo può fare altro che la moltitudine delle persone. Loderai pubblicamente le opere loro a oggetto ch’essi ti rendano il contraccambio: e di questo non aver dubbio, perché la repubblica letteraria è piú giusta assai di tutte le altre repubbliche o reggimenti della terra, (1) Qui va il nome di un poeta lirico tedesco morto giovane di grandi speranze, vissuto, mi pare, alla corte di Federico II, e colpito da un suo motto, o altro che gli cagionò gran pena e forse la morte, odiato da suo padre, che se ne penti dopo la sua morte, ecc. Mi pare che il nome incominci per G. — Malfilátre (Chateaubriand, Gènte ecc., not. 3 de l'Appendice au deuxiéme volume.) [p. 350 modifica]e non si governa a un dipresso con altre leggi che di retribuzione. Ti farai scrivere a quante accademie potrai, e da principio farai mostra de’ titoli onorifici, nel frontespizio de’ tuoi libri, e comunque ti si dará la congiuntura: poi, quando tutti gli avranno imparati a memoria, gli tralascerai facendo vista di non curargli e nascondergli, acciò che gli altri t’abbiano per magnanimo. Scrivendo e stampando, scriverai cose che piacciano alle donne, ai cavalieri, in somma a quelli che stanno al mio servizio, e le stamperai splendidamente in bella carta e caratteri, con figurine incise, legature galanti, e cose tali. Quando la prima edizione non avesse spaccio, ne farai fare un’altra dicendo che la prima è divenuta rara ; e non mentirai, perché infatti non si troverá, se non presso pochissimi, vale a dire i librai. E assicurati che la seconda edizione fará piú fortuna della prima. Lo stile di voi altri italiani giá si sa che dev’essere francese; e per buona ventura non sapete scrivere altrimenti, quando anche la lingua che adoperate fosse mera italiana, o piuttosto vi paresse. Te la intenderai per lo meno con tutti quanti i giornalisti della tua nazione, e li pagherai secondo che ti loderanno. Poniamo caso che tu abbia pubblicato un poema che vaglia all’incirca quanto il libro di Bertoldo, o quanto una canzone arcadica o frugoniana, o quanto i versi dell’Algarotti, del Bettinelli, del Bondi, o simili. Se diranno che non cede alla Gerusalemme ,, pagherai un tanto. Se lo metteranno coll’ Eneide, tanto di piú ; se l’anteporrano all’ Iliade, tanto di piú, e cosi discorrendo.

Galantuomo. Ma, Eccellenza, tutti dicono che questi artifizi e queste frodi, sono rifugi dell’ignoranza, e del poco merito ecc. e che questo non è il modo di arrivare alla fama ecc.

Mondo. Gaglioffo, non sai che altro è quello che si dice, altro quello che si fa? E da lunghissimo tempo non c’è memoria di (i) persona che abbia conformato i fatti alle parole? Govèrnati com’io ti dico, e non cercar altro. Quanto ai premi che propongono le accademie, ti racconterò una storiella antica. Quando Alessandro macedone stava in punto di morte, vennero i suoi generali e gli domandarono a chi lasciasse il regno. Rispose Alessandro : * Al piú forte ’. La stessa cosa fanno tutte le accademie, e tutti coloro che propongono premi letterari. Sicché volendo concorrere a qualche premio, non guardare su tu sei piú degno degli altri, ma piú forte. Se non sei piú forte, quando anche fossi una musa, non venire (i) E da tempo immemorabile non s’è trovata. [p. 351 modifica]in competenza nemmeno colle ranocchie, perché tu sarai fischiato, e le ranocchie andranno intorno colla medaglia (corona). Con questa considerazione ti dovrai regolare in qualunque altra concorrenza letteraria. Questo sia detto in ordine alla letteratura. Adesso torniano al proposito della maniera che tu mi devi servire. Primieramente, ficcati bene in testa che tu dovrai contenerti e vivere come fanno tutti gli altri.

Galantuomo. In ogni cosa?

Mondo. In ogni cosa di fuori; e di dentro piú che potrai, vale a dire che devi porre ogni studio a conformare non solamente i detti, i fatti e le maniere, ma anche i geni, le opinioni e le massime tue con quelle degli altri. Pensa che in chiunque mi serve, io non voglio nessunissima cosa straordinaria a nessunissimo patto; e se qualcuno è straordinario o singolare per natura, bisogna che si corregga se vuol piacere a me.

Galantuomo. Vostra Eccellenza mi perdoni. Ma che bellezza o piacere troveremo quando tutti saranno uguali, e diranno e faranno le stesse cose?

Mondo. A questo non devi pensare. Non ci dev’essere un uomo diverso da un altro, ma tutti debbon essere come tante uova, in maniera che tu non possa distinguere questo da quello. E chiunque si lascerá distinguere sará messo in burla ecc.

Galantuomo. Sicché posto ch’io mi trovassi in un paese dove tutti fossero ciechi da un occhio, bisognerebbe ch’io me ne cavassi uno per non lasciarmi distinguere (0.

Mondo. Questo sarebbe il dover tuo. Ma lasciamo i casi immaginari.

Galantuomo. Certo che se Vostra Eccellenza andasse a un teatro di burattini, e che tutti i burattini fossero vestiti d’una forma, e si movessero d’una maniera, e che facessero dir loro le stesse cose, Vostra Eccellenza s’attedierebbe mortalmente ecc. ecc. e pretenderebbe che gli restituissero il danaro che avesse pagato. Nessuna cosa è piú necessaria alla vita, della varietá ecc. perch’è la sola medicina della noia che segue tutti i piaceri.

Mondo. Tu dunque presumi di servire il Mondo, e temi la noia? Non sai che chiunque mi serve, si può dire che non faccia altro che annoiarsi? E che tutti i beni ch’io posso dare si risolvono nella noia? Sicché cercando i miei benefizi e conseguendoli, (1) Per appareggiarrui cogli altri. [p. 352 modifica]non avrai altra compagna né altra mèta che questa? Non accade ora come quando ogni cosa umana era piena di vita, di movimento, di varietá, d’illusioni, in maniera che la gente non s’annoiava. Ma oggidí, non avere altra speranza che d’attediarti in eterno, e di morire felicemente a ogni tratto, perch’io non voglio piú vita, né strepiti, né disordini, né mutazioni di cose. L’ignorante e il fanciullo non s’annoia, perch’è pieno d’illusioni, ma il savio, conoscendo la veritá d’ogni cosa, non si pasce d’altro che di noia.

Galantuomo. Ma se Vostra Eccellenza odia lo straordinario, odierá quasi tutte le buone e belle e grandi azioni ; e se dovremo far sempre quello che fanno gli altri, non potrá stare che non operiamo tutto giorno contro natura, non solo perché dovremo adattarci alle inclinazioni altrui, ma perché la massima parte degli uomini opera a ritroso della sua stessa natura.

Mondo. Che diavolo è questo che mi vieni ingarbugliando? Che ha da fare il mondo colla natura? (0 Sempre che ti sento parlare, stimo che sia risuscitata mia nonna, o di trovarmi ancora in conversazione < 2 ) colla balia. Siamo ai tempi d’Àbramo o dei re pastori, o della guerra troiana? La natura mi fece la scuola da fanciullo, ma ora, come succede spesso in fatto di maestri, è mia somma e capitalissima nemica, e la mia grande impresa è questa di snidarla da qualunque minimo cantuccio, dov’ella sia rannicchiata. Ed oramai son vicino a riuscire, e spero che fra poco le farò dare un bando generale che la scacci da tutto quanto il genere umano, e non si troverá piú vestigio della natura fra gli uomini.

Galantuomo. Vostra Eccellenza senza fallo dev’essere amica della ragione.

Mondo. Sí, ma di quella fredda freddissima, e dura durissima come il marmo. A questa sí le voglio bene, povera vecchia, debole quanto una pulce.

Galantuomo. È stata sempre cosi debole, o solamente dopo invecchiata ?

Mondo. Sempre da quando nacque. Appena ha forza di dare il fiato. E non solamente è stata debole, ma ha snervato e snerva chiunque l’ha seguita o la segue. Fo che tenga una bottega dove (1) Che ho da far io. (2) Compagnia della. [p. 353 modifica]una quantitá di politici, filosofi eco. ci stanno da garzoni, e lavorano il giorno e la notte a farmi il sorbetto e altre cose ghiacciate, che mi piacciono sommamente e mi giovano moltissimo.

Galantuomo. Vostra Eccellenza non ama il caldo?

Mondo. Dio mi scampi dal caldo. Quand’era giovane, andava alla bottega della natura dove stavano i poeti (ma quei poeti d’allora) e gli altri scrittori magnanimi, che tutti facevano all’amore con lei, perch’è stata sempre una bellissima ragazza. E questi mi davano certe bolliture e certi spiriti che mi mettevano il fuoco nelle ossa. Il fatto sta ch’io veniva nerboruto, svelto, leggero, asciutto come un tisico, non istava mai fermo, faticava e sudava come una bestia, sognava mille scempiaggini e non credo che passassi due giornate nello stesso modo. Finalmente ho conosciuta la veritá delle cose, e pigliato il vero partito. Non mi levo piú da sedere, non vorrei muovere un dito per tutto l’oro della terra, non fo piú niente, ma invece penso tutto giorno, e trovo cento belle cose; e di tutte le mie giornate non c’è una che differisca dalla precedente. Cosi godo una salute perfettissima, ingrasso sempre piú, anzi mi si gonfia sino la pancia e le gambe. Certa gente malinconica grida ch’io scoppierò, ma prima essi morranno di mal sottile, o s’infilzeranno il cuore. Dunque la prima cosa ch’io voglio è che tu debba far tutto quello che fanno gli altri. La seconda che ti debba scordare affatto della natura.

AGGIUNTA

Mondo. Vediamo adesso se tu capisci niente di quello ch’io ti dico. In materia de’ tuoi pregi o difetti, come pensi di averti a contenere verso gli altri ?

Galantuomo. Dissimulare i pregi ch’io stimo d’avere; condurmi sempre modestamente; e se ho qualche difetto o corporale o intellettuale, confessarlo in maniera che gli altri mi compatiscano; e in somma non arrogarmi nessuna cosa, massimamente dove so di non aver merito.

Mondo. Bravo, bravissimo. Va’ via che sarai fortunato come il cane in chiesa. M’avvedo bene che la porta del tuo cervelluccio è piú stretta del bocchino di una smorfiosa, e a volere che gl’insegnamenti miei ci possano entrare, bisogna ch’io ti parli piú chiaro del mezzogiorno. Dunque sappi che quando io fui d’etá [p. 354 modifica]fra maturo e vecchio, e lasciai la bottega e i cibi della natura per quelli della ragione, mi prese una malattia simile a quella che Dante ecc. Perché la testa e le gambe mi si cominciarono a voltare in maniera che la faccia venne dove sta la nuca, e il ginocchio dove sta l’argaletto (0 sicché il davanti restò di dietro, e quello che tu vedi non è il petto né il ventre, ma la schiena e il sedere. E perciò non posso piú camminare altro che a ritroso, e quelli che gridano che il mondo è tutto il rovescio di quello che dovrebbe, si maravigliano scioccamente. Allora bench’ io guardassi e considerassi il mio cammino assai piú di prima, siccome 10 guardava di traverso, e in un modo pel quale io non era fatto inciampava, cadeva, errava ad ogni passo. Cosi finalmente mi risolsi di mettermi a sedere, e non muovermi piú ecc. Sappi ch’io son fatto eunuco, sebbene ancora libidinoso. Questo dunque ti serva di regola per giudicare e far giusto concetto della natura delle cose umane e de’ tuoi doveri nella societá ; e in ogni caso, in cui per essere novizio, dubiterai della maniera di contenerti o di pensare, appigliarti sempre al contrario di quello che ti parrebbe naturalmente. Come nel nostro proposito: naturalmente andrebbe fatto come tu dici. Dunque va fatto tutto il rovescio. Negli uomini non si trova piú compassione, sicché non vale il confessare i propri difetti o svantaggi. Neanche si stimano piú i pregi veri, se non se ne fa gran chiasso, sicché la modestia non può far altro che danno. E se chi li possiede non se ne mostra persuasissimo, è come se non gli avesse. La prima regola in questo particolare è di fornirsi di una buona dose di presunzione, e mostrare a tutti di tenersi per una gran cosa. Perché se gli altri da principio ne sono ributtati, a poco a poco ci si avvezzano, e cominciano a credere che tu abbi ragione. Ciascuno s’adopra a piú potere che il vicino sia piú basso di lui. Sicché il vicino bisogna che faccia altrettanto. Se è piú basso da vero, non s’aspetti nessunissima discrezione quando voglia cedere e confessare che 11 fatto sta cosi. Anzi tanto piú bisogna che s’adoperi per pareggiarsi agli altri, e coprire il vero, e farsi stimare, e conseguire quello che non merita. E perciò conviene che l’ignorante s’arroghi dottrina, il plebeo nobiltá, il povero ricchezza, il brutto bellezza, il vecchio gioventú, il debole forza, il malato sanitá e via discor(i) Parola falsa. [p. 355 modifica]rendo. Tutto quello che tu cederai devi stimare che sia perduto intieramente, e non ti verrá nessun frutto dall’averlo ceduto. Che se da te medesimo ti porrai mezzo dito piú basso degli altri in qualunque cosa, gli altri ti cacceranno un braccio piú giú. Per venire a capo degli uomini ci vuole gran forza di braccia da fare alle pugna come s’usa in Inghilterra, e gran forza di polmone da gridare, strepitare, sparlare, bravare, minacciare piú forte degli altri e domar gli uomini come si domano i cavalli e i muli, e come quella povera Badessa, e quella povera educanda che riferisce Tristano Scendi, trovandosi sole in viaggio, vinsero quel cavallo restio con una parolaccia che per iscrupolo di coscienza la dissero mezzo per una. E però bisogna far muso tosto, e buona schiena da portar francamente le bastonate e non perdersi mai di coraggio né stancarsi per cosa che sia : ma procurare d’aggiustarsi la persona appresso a poco sulla forma di quei trastulli, che i ragazzi chiamano saltamartini, i quali capovolgili, corcali, mettili come vuoi, sempre tornano in piedi.

Galantuomo. Ma tutto questo come s’accorda con quanto Vostra Eccellenza mi ha comandato, ch’io debba far tutto quello che fanno gli altri?

Mondo. Primieramente s’accorda benissimo per mille capi. Secondariamente non ti ho detto ch’io non posso piú caulinare altro che a ritroso? Laonde se una volta le contraddizioni non si soffrivano, ora nelle cose mie sono frequentissime, e quasi tutti i precetti miei contraddicono gli uni agli altri. Resterebbero molte altre cose, ma toccheremo le principali. Tu saprai quello che fanno le scimmie quando vogliono passare un fiume ecc. ecc. Nella stessa maniera voi altri servitori miei, quando non potete arrivare a qualche fine da voi soli, bisogna che facciate molti insieme una catena come le scimmie.

Galantuomo. Vostra Eccellenza intende parlare dell’amicizia?

Mondo. Eccoti sempre colle parole antiche e rancide. Saresti proprio al caso di fare il rigattiere o il proposto d’un museo d’anticaglie. L’amicizia non si trova piú, o se vuoi chiamarla con questo nome, devi sapere eh’è fatta uso di quelle fibbie o fermagli che servono ad allacciare mentre bisogna, e finito il bisogno si slacciano, e spesse volte si levano via. Cosi le amicizie d’oggidi. Fatte che sieno, quand’occorre s’allacciano e stringono: finita l’occorrenza, alle volte si slacciano ma si lasciano in essere, tanto [p. 356 modifica]che volendo si possano riallacciare; altre volte si levano via del tutto, e ciascuno resta libero e sciolto come per l’addietro. Dal che viene che laddove gli antichi appena stimavano che un uomo sommo potesse trovare un solo amico, oggi per lo contrario un uomo da nulla ne trova tanti, che sapendo contare tutte le altre cose che possiede, questi soli non si cura né gli darebbe l’animo di contarli. Ma senza questa molteplicitá di fermagli non si viene a capo di nessuna cosa. Tuttavia si danno anche presentemente di quelle amicizie strettissime ed eterne come le antiche, anzi superiori alle antiche, in quanto contengono essenzialmente un principio ingenito d’indissolubilitá. E sono quelle amicizie che due o tre persone stringono insieme per aiutarsi scambievolmente nelle truffe, tradimenti, ecc. in somma in ogni sorta di malvagitá squisita ed eroica. Queste non si possono sciórre perché ciascheduno teme che l’altro non divulghi le sue scelleraggini, e perciò è forza che durino eternamente, e s’abbiano sempre in cura quanto la vita. Ma queste non sono proprio del volgo, ma degli eroi di questo secolo. E se i poeti non fossero cosi scimuniti, lascerebbero i Patrocli e i Piladi e i Nisi e gli altri frittumi antichi e farebbero argomento di poema e di tragedia queste amicizie moderne molto piú nobili e degne, perché quelle giovavano alla virtú, alle imprese temerarie e vane, alla patria, e agli altri fantasmi di quei tempi, ma queste conducono alle vere e grandi utilitá della vita. (Qui seguano alcune parole dove ironicamente si provi che le cose moderne sono adatte alla poesia molto piú delle antiche. E il Mondo si dolga che queste siano preferite, e quelle altre neglette dai poeti. Si potrá anche introdurre una satira dei romantici, lodandoli di voler sostituire la freddezza e la secchezza e viltá dei soggetti moderni, al calore, magnanimitá, sublimitá ecc. degli antichi.) (Poi venga un discorso sugl’ intrighi, e la necessitá della cabala, e come questa sia quella cosa che governa il Mondo; sopra l’inutilitá anzi dannositá del vero merito e della virtú.)

Galantuomo. Adesso capisco perché la massima parte, anzi, si può dire, tutti quelli che da giovani avevano seguita la virtú ecc. entrati al servizio di Vostra Eccellenza, in poco tempo mutano registro, e diventano cime di scellerati e lane in chermisino. Vostra Eccellenza mi creda ch’io gl’imiterò in tutto e per tutto, e quanto per l’addietro sono stato fervido nella virtú e galantuomo, tanto per l’avanti sarò caldo nel vizio. [p. 357 modifica] Mondo. Se avrai filo di criterio. Io voglio che tu mi dica una cosa da galantuomo per l’ultima volta. A che ti ha giovato, o giova agli uomini la virtú?

Galantuomo. A non cavare un ragno da un buco. A fare che tutti vi mettano i piedi sulla pancia, e vi ridano sul viso e dietro le spalle. A essere infamato, vituperato, ingiuriato, perseguitato, schiaffeggiato, sputacchiato anche dalla feccia piú schifosa, e dalla marmaglia piú codarda che si possa immaginare.

Mondo. Guarda mo’ se torna meglio a lasciarsi scorticare e sbranare per amor di una cieca e sorda che non vede e non sente, e non ti ringrazia e non s’accorge né punto né poco di quello che tu soffri per cagion sua, piuttosto che a servir uno, il quale quando tu sappia dargli nel genio, non può fare che non ti paghi largamente, e non ti soddisfaccia in quasi tutte le cose che potrai desiderare.

Galantuomo. Sappia Vostra Eccellenza che, s’io fossi stato sempre vizioso, non sarei cosi buono a servirla, com’Ella mi proverá. Perché quelli che non hanno mai sperimentato il vivere onesto, non possono avere nella scelleraggine quella forza c’ha un povero disgraziato, il quale avendo fatto sempre bene agli uomini, e seguita la virtú sin dalla nascita, e amatala di tutto cuore, e trovatala sempre inutilissima e sempre dannosissima, alla fine si getta rabbiosamente nel vizio, con animo di vendicarsi degli uomini, della virtú e di sé stesso. E vedendo che se avesse voluto far bene agli uomini, tutti avrebbero congiurato a schiacciarlo, si determina di prevenirgli, e di schiacciargli esso in quanto possa.

Mondo. Qual è il tuo nome, ch’io lo metta in lista insieme cogli altri?

Galantuomo. Aretofilo Metanoeto al servizio di Vostra Eccellenza. {Aretojilo Metanoeto è quanto dire «virtuoso penitente», cioè penitente della virtú, come diciamo peccator penitente colui che si pente del vizio.)