Ode

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Introduzione

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PARIGI SBASTIGLIATO.

ODE.


All’armi, all’armi, un generoso grido
     Fa rintronar di Senna ambe le rive:
     All’armi, all’armi, eccheggia
     Francia intera dall’uno all’altro lido.
     5Forse fia che dell’Anglo ampia oste arrive?
     No: dalla infame reggia,
     Di tradimenti e di viltade nido,
     Sotto ammanto di pace esce l’atroce
     Seme di guerra. Ecco, al macello il segno
     10Dal capitano indegno
     Aspettar la masnada empia feroce,
     Che alla immensa cittade intorno accampa.
     Svizzera compra carne al regio sdegno
     Tacita serve; e, qual ferale vampa,
     15Pregna di stragi stassi.
     Ahi nube orrenda d’esecrati sgherri!
     Fia che il popol ti lassi
     Ber del suo sangue, e al tuo ferir si atterri?

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II.


Ma, da ben altra immortal reggia scende
     20Sovra l’ali dei Fati, in atto altera,
     (Bella e terribil Dea)
     Libertà, che da Palla ottien le orrende
     Gorgonee serpi, onde la turba fera,
     Cui già il terror vincea,
     25Freddo immobile sasso inutil rende.
     Sacra Diva, che il vile empio di corte
     D’un guardo annulli, e il cittadino allumi
     Di fiamma tal, che ai Numi
     Si estima ei pari; ad affrontar la morte
     30Per la patria verace, o Dea, tu traggi,
     Tu sola, a sparger di lor sangue fiumi,
     Le magnanime Guardie, in cui tuoi raggi
     Tanto penétri addentro,
     Che non più Guardie del comun nemico,
     35Ma di Parigi al centro
     Franche Guardie si fanno al Franco amico.

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III.


Invisibil così pendea sospeso
     E su le umíli e su le eccelse teste,
     Con la rovente spada,
     40L’Angel di morte, anch’ei d’orror compreso.
     Dato è il segnal: la cortigiana peste,
     Fa sì che in bando vada
     L’uom che sol regge or dello stato al peso;
     L’uom, che libero nato in strania terra,
     45Servo in Gallia ed in corte a far si venne,
     Sol per tor la bipenne
     Di man de’ rei, che a scellerata guerra,
     Vilmente arditi contra il volgo inerme,
     L’adopran sì, che n’è il servir perenne. ―
     50Ahi stolte al par che inique menti inferme!
     Perchè i raggiri impuri
     Vostri abbian dato ad un tant’uomo il bando,
     Sperate voi securi
     Starvi omai dietro al mercenario brando?

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IV.


55Quali urla sento? infra l’orror di negra
     Notte feral, quai torbe incese tede
     Correr ricorrer veggio?
     In men ch’io il dico, ampia cittade intégra
     Sossopra è volta; ogni uom vendetta chiede;
     60E il differirla è il peggio.
     Spade, aste, ogni arme, impugnan tutti; ed egra
     Alma non v’ha, ch’elmo rimembri o scudo.
     Andar, venire, interrogar; giurarsi
     Scambievol fe; mostrarsi
     65A gara ognun d’ogni temenza ignudo;
     Rintracciar l’orme del tedesco gregge,
     Sovr’esso a furia indomiti scagliarsi,
     Altri svenarne, altri fugarne, e legge
     A tutti imporre; è un punto.
     70Pria che in ciel la seconda alba sia sorta,
     E che al confin sia giunto
     L’esul ministro, è tirannia già morta.

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V.


Oltre l’usato il Sol sereno sorge
     A rischiarar queste beate spiagge;
     75E spettacol sublime,
     Agli occhi miei sì desiato, porge.
     Con bella antiqua mescolanza, in sagge
     Torme, uno stuolo imprime
     Rispetto, in cui la securtà risorge.
     80Rimiro io fatti i cittadin soldati;
     E più strano miracolo ai dì nostri
     Fia che in un mi si mostri,
     Nei regj sgherri a cittadin tornati.
     Già insieme tutti, a calda prova ognuno,
     85Gl’impotenti sfidaro aulici mostri. ―
     Ma, se matrona non si veste a bruno,
     Dei satelliti soli
     Non basta il sangue a rammollir lo scettro;
     Nè fia che in corte voli
     90Terror, se non vi appar nobile spettro.

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VI.


Loco è in Parigi che in Inferno avria
     Pregio più assai: detto è bastiglia; e dirsi
     Me’ dovria Malebolge.
     Ampia profonda fossa, ond’è ogni via
     95Intercetta all’entrar come al fuggirsi,
     Per ciascun lato il volge.
     Quadro-turrita in mezzo erge la ria
     Fronte una rocca di squallor dipinta:
     Atro-bigio è il gran masso. Alta corona
     100D’empio bronzo che tuona,
     Infra gli orridi merli al capo ha cinta:
     Del piè sotterra s’incaverna il fondo
     Più giù che il fosso, in parte ove non suona
     Raggio più omai dell’abitato mondo:
     105Dalle esterne sue parti,
     Fenestre no, ma taciti forami,
     Radi nel sasso ed arti,
     Barlume danno a quelle stanze infami.

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VII.


Gemma è primiera del regal diadema
     110Questo albergo di pianto. A guardia un truce
     Crociato carceriero
     Stavvi, ripien di crudeltade e tema,
     Che di monchi sicarj inutil duce,
     Dirsi ardisce guerriero. ―
     115Nunzj a costui di volontà suprema
     Dei vincitori cittadini, in lieto
     E pacifico aspetto, ecco, son giunti.
     Che indarno ei non impunti
     Nel negar l’arme, il prega un sermon queto.
     120Altro da lui non vuolsi. All’aure il bianco
     Segnal di pace, e i caldi preghi aggiunti,
     Il rancor di costui dovrian far manco.
     Blando, e mite, ei risponde;
     Che a ciò s’inoltrin quetamente i pochi.
     125Giunti appena alle sponde,
     Sovr’essi avventa il traditor suoi fuochi.

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VIII.


Donde han mai l’ali? qual non visto Nume
     Dei respinti al furore ali ministra
     Ad inaudito volo?
     130Ecco sgorgare, impetuoso fiume,
     Il gran popol da destra e da sinistra,
     Irresistibil stuolo.
     Leggieri più che ventilate piume,
     Oltre al ponte primier varcati in frotta
     135Già stanno: ivi urti, e palle, ed urla, e morti,
     E morenti, e risorti;
     Null’uom sa il come; ecco allentata, e rotta
     La catena che in alto ratteneva
     L’ultimo ponte. ― Oh generosi, oh forti,
     140Voi che sovr’esso, che a stento cadeva,
     D’audace slancio ascesi,
     Primi sboccar nell’empia rocca ardiste! ―
     Lor nomi indarno io chiesi,
     Perchè il debito onore a lor si acquiste.

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IX.


145Ve’ scorrer già la vincitrice piena
     Entro alle più riposte erme latébre
     Del trionfato ostello:
     Già il ferro ogni empio difensor vi svena;
     Già dalle eterne orribili tenébre
     150Del lor carcere fello
     Tratti sono alla pura aura serena
     I prigionieri miseri innocenti.
     Già già afferrato è il castellano iniquo,
     Che dell’oprar suo obbliquo
     155Pagherà tosto il fio tra rei tormenti.
     Preso esce già fra i cittadini, agli occhi
     Del popol tutto, il condottiero antiquo;
     Nè dardo avvien che incontro a lui si scocchi;
     «Alle Gemonie,» grida
     160Sola una voce della plebe immensa,
     Che con feroci strida
     Vieppiù sempre dintorno a lui si addensa.

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X.


Cruda, ahi! ma forse necessaria insegna,
     Vedeva io poi con gli occhi miei sua testa
     165Sovra lunga asta infissa
     Ir per le vie: nè sola ell’è; che degna
     Compagna un’altra, a quella orribil festa,
     Le viene a paro: è scissa
     Questa dal corpo d’uom, che invan s’ingegna,
     170Urban pretore, di far ire a vuoto
     Dei cittadini la guerriera impresa:
     E vilmente distesa
     Sua tronca salma io ne vedea nel loto.
     E i cittadin feri vedea, ma giusti,
     175L’alta vendetta lungamente attesa
     Sperar compiuta in que’ scemati busti. ―
     Ahi memorabil giorno!
     Atroce, è ver; ma fin di tutte ambasce:
     Di libertade adorno,
     180Fia questo il dì che vera Francia nasce.

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XI.


Deh! con qual gioja alla sconfitta rocca
     Io volgo il piè! Senza tremare, io passo
     Dentro all’orrida soglia.
     Già di pietade il core mi trabocca,
     185Solo in mirarmi attorno il negro sasso...
     Or, quai voci alla doglia
     Pari saran, se a me descriver tocca
     I funesti pensieri, onde la vista
     Dell’atre interne carceri mi aggrava?
     190Quì (dich’io) lagrimava,
     D’arbitrario insanir vittima trista,
     La intatta sempre-timida Innocenza,
     Cui di sua man Calunnia conficcava.
     Quì non si udia di giudice sentenza:
     195Quì due miseri carmi,
     Veri, o supposti; e quì un sorriso, un guardo,
     Un pensier, potean trarmi...
     Oh di qual giusto alto furor tutt’ardo!

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XII.


A terra, a terra, o scellerata mole;
     200Infranta cadi, arsa, spianata, in polve. —
     A gara ogni uom l’assale;
     A gara ogni uom spiccarne un sasso vuole,
     E le fere compagini dissolve:
     Sparita è già. — Ma, quale
     205Pompa diversa oggi rischiara il Sole
     Nelle affollate parigine vie?
     Ecco inerme e soletto il Franco Giove:
     Ei di sua reggia muove,
     Ripieno il cor di cittadine pie
     210Brame, in lui figlie di assoluto invito,
     Che al venir gli vien fatto in fogge nuove.
     Fiede il regale orecchio un non pria udito
     Alto e libero evviva,
     Cui non più re, ma nazíon, vi aggiunge
     215Quella sovrana Diva,
     Che dai bruti il verace uomo disgiunge.

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XIII.


Fra il nobil grido, il re procede intanto,
     Da Franche armi non compre attorníato,
     Ver la magione urbana.
     220Di duolo e gioja vario-misto un pianto,
     Cui da pria ’l pentimento ha in lui destato,
     D’ogni uom lo sdegno appiana.
     Ma, d’ora in poi quello ingigliato ammanto,
     E a chi ’l porta, e a chi ’l dona, assai men greve
     225(Spero) sarà. — Giunto è già il prence: ei giura,
     Che la orribil congiura,
     Ignota a lui, tutta imputar si deve
     Ai traditor, che in duro error lo han tratto.
     Pago è già il cittadin; già già secura
     230Torna del re la maestade, a patto
     Meglio adequato omai:
     Già espulsi ha gli empj, e richiamato ha il giusto:
     Nè a re lo errar più mai
     Concede il Nazional Consesso augusto.