Panegirico di Plinio a Trajano/IX
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Ecco dunque, ecco al tacer degli eserciti, rivivere, rifiorire la libertà. Ecco disperdersi quelle folte nubi d’armati che Roma ingombrando, incutono pure, ancor che il principe nol voglia, un fiero timore nel cuore dei cittadini: e dal timore, virtù nessuna giammai. Ecco Trajano, che d’imperatore fattosi cittadino, le pretoriane coorti in un più gradito nobile e dignitoso corteggio ha cangiate. I cittadini in folla lo accerchiano; beato si reputa chi più lo ha mirato da presso; lui benedicono; lui vero padre con voci di giubilo gridano. Ritorna a poco a poco negli animi lungamente avviliti ed oppressi l’amor della patria (or che patria può dirsi), il verace valore, l’emulazione al ben fare, l’ardente divino furore di acquistarsi con chiare opere eterna la fama. Incese veggio, incenerite e spianate quelle insultanti moli, che sopra il Palatino torreggiano, già destinate ad albergo di assoluto signore. Trajano è il primo ad abbatterle; ed in privata magion ricovrandosi, di ben altra grandezza ei fa pompa, che non quei superbi vili signori nel fare dei loro immensi edificj orgoglioso velo alla lor nullità. Quell’alto seggio, da cui nel senato ei mi ascolta, egli primo comanda, che agli altrui si pareggi: ben certo è Trajano, che fra gli altri sedendosi, non sarà perciò mai fra gli altri confuso.
Al grido, che tosto la rapida rimbombante fama di sì maraviglioso cangiamento fino all’estremità dell’impero ne porta, in folla da ogni più rimota parte di esso vengono i sudditi, d’ogni età, d’ogni grado, a rimirar co’ loro occhi un uom sì divino, una così incredibile ed inaudita virtù; e testimonj poi ne riportano alle loro genti l’ammirazione, l’amor di Trajano, della patria, della restituita libertà.
Ogni padre, baciando ed abbracciando i suoi figli, per l’allegrezza piange, ed esclama: «Figli miei, che tali da oggi soltanto a riputarvi e nomarvi incomincio; figli miei cari, assicurati mi siete da oggi, e non prima. Osservando io le sacre leggi, non pavento che la violenza e la crudeltà dai miei Lari oramai vi rapisca; da voi in tutta sicurezza e pace gli antichi moribondi occhi miei saran chiusi; voi, legittimi eredi delle sostanze mie, non tremo che spogliati ne siate; nè voi, donzellette, dal fianco dei dolci ed amati mariti disvelte: non l’ossa mie perturbate, e disperse: non la mia fama, che assai peggio pur fora, calunniata e ritolta.»
Là veggo il ricco, non più tremante, non più sollecito nel custodire e nascondere i suoi tesori; che se male acquistati non sono, intatti glie li serberanno le leggi: in vece che i passati principi non contenti di spogliarnelo affatto, anco la vita e la fama, sotto il velo di apposti delitti, iniquamente gli toglieano.
Quà il povero con innalzata fronte rimiro passeggiarsene pel foro, dalla oppression dei potenti securo; e, dal passato avvilimento e timore, nobile sprone all’inacerbito suo core s’è aggiunto, per farsi colla virtù chiaro, e in cittadinanza superare chi di ricchezza il soverchia.
Ma il lusso, mortifero fomentatore, e principesco padre di ogni vizio e delitto, non raffrenato o sbandito da sontuarie leggi, inutili sempre ad estirpare quell’Idra, ma vilipeso bensì dai modesti privati esempli di Trajano; per la cangiata opinion dei Romani, con cittadinesco decoro e vantaggio, rivolto è oramai il lusso soltanto alla magnificenza dei pubblici edifizj. Le immense ville, boschetti, e giardini, che la Italia tutta occupando, degli utili e robusti abitatori la dispogliavano, al pristino aratro restituiti, di dorate copiose messi fan liete le novelle famiglie dei liberi agricoltori. Già già quei luoghi sì lungamente stati il ricovero d’ogni ozio e mollezza, testimoni ritornano delle antiche domestiche virtù; ossequio ai genitori ne’ figli; verace amore nei padri; modestia e fede nelle mogli; maschia fierezza ne’ giovani alla libertà educati; maturo consiglio, avvedimento provido, e timore nessuno, nei vecchi in libertà ritornati e vissuti; infra i vicini, pace; infra i congiunti, amorevolezza; parsimonia ed innocente letizia, fra tutti.
Le tremule voci ascolto dei vecchi, a cui finora la male spesa, e con fatica serbata vita incresceva, felicitar se stessi d’averla fin quì strascinata, poichè a sì lieto giorno del vedere rinascer repubblica, conservata pur l’hanno. Contenti muojono; han visto Trajano.
La gioventù baldanzosa, dove per l’addietro nei teatri, nei circhi, negli osceni conviti, e fra gl’infami gladiatori per anco, i giorni interi, con danno espresso della salute, dei costumi, e del virile animo, consumava; eccola di bel nuovo discesa nel campo di Marte: là di feroci destrieri domar la possanza; quì con generosa lotta addestrare a militar fatica le robuste, libere, e non più contaminate sue membra; altrove, di nobil sudore sotto le pesanti armi cospersa, nell’acqua lanciandosi, con forte nuoto soverchiare del Tevere l’onda: e per tutto in somma mostrarsi crescente speme alla repubblica, dolce e verace sollievo a’ suoi genitori, maraviglia e terrore ai nemici.
Già odo nel foro risorta quella maschia, libera e veramente romana eloquenza, per cui dalla tribuna tuonando, là i popolari tribuni, quà i consoli, delle importanti leggi, del muover la guerra, dell’accordar la pace discutono. Oratori veri son quelli, a cui la sublimità del soggetto materia al ragionare mancar mai non lascia; a cui libertà, maestra dell’energico parlare primiera, di lodevole ardire, di caldo amor per la patria, e di tenace costanza soccorre. Ma dispersi, avviliti, e confusi, tacciono quegli altri parlatori pur tanti, che nella lunga nostra servitù di oratori il nome usurpavansi; colpa dei tempi, nol niego; ma, colpa di essi non meno, che con sordide adulazioni una così nobile arte prostituivano; mentre, se libero non era il parlare, liberissimo era pur sempre il tacersi.
In questo augusto senato, oramai più non odo, con così poca maestà di tal ordine, contendere i giorni interi, per decretar poi a gara mentiti ed infami onori al vizio imperante; non più conoscere delle concussioni dei proconsoli e questori nelle desolate provincie; non più le reciproche accuse di lesa maestà; non più d’esigli, di confische, di morti, di proscrizioni. Il senato di Roma, al suo antico e sacro uffizio riassunto, alla sicurezza dei cittadini veglia e provvede; la pace mantiene, ove con decoro del romano popolo mantenersi ella possa; la guerra ordina; e, per mezzo di cittadini soldati, e di capitani cittadini, coll’antica virtù e felicità ogni guerra più disastrosa e terribile vince.
La sacra via, che al Campidoglio conduce, un’altra volta di veri romani trionfi si adorna. Non sovra eccelso carro un imperatore, coi nemici (che visti non ha) effeminato ed imbelle; coi proprj soldati timido inesperto capitano; coi cittadini suoi crudele, assoluto, e feroce; ma un imperator sottoposto alle leggi rimiro tra i veri applausi di libera gioja modestamente ascendere in Campidoglio; e del proprio valore, e di quel dei soldati, ascrivere piamente al solo massimo Giove la cagione, ed i frutti.
Delle superbe immagini, e marmoree statue, che il maggior foro ed i pubblici edificj non ben dirò se più adornino, o sfregino, gran parte abbattute ne veggo, ben giusto e dovuto scherno alla oltraggiata plebe rimanersi nel fango. Le poche erette a una vera virtù, che in liberi cittadini con manifesto utile della repubblica si mostrasse, rimangono: ovvero, se esse, dallo sfacciato vizio rovesciate, giaceano vilipese, or che a vicenda la virtù ripreso ha l’impero, rialzate, rifatte, riadorate si veggono. E fra queste, sola di chi l’impero assoluto avesse occupato, coronata di fiori, moltiplicata in tutte le parti dell’impero, per tutto accerchiata di prosternati cittadini, torreggia la immagine di Trajano. Ritornato in onore, per la rarità e la scelta, ciò che, per la sterminata quantità e la prostituzione, avea intieramente cessato di esserlo, si riaccenderanno a virtù i cuori dei cittadini; si riudiranno quei generosi magnanimi incredibili sforzi, che per la patria si videro così diversi, così frequenti, in Roma già libera; e ad ottenere pubbliche statue, a mille a mille gareggieranno i Romani in virtù, allorchè dimostrato ben sia, che non più mai ottenute, senza essere veramente meritate, verranno.
Le ultime provincie dell’impero, se acquistate sopra liberi popoli sono, in libertà, ma romana, tornate, e della loro pristina memori, null’altro avvedendosi di aver perduto nell’esser vinte da Roma, che la loro barbarie; tanto più diverranno romane, quanto all’ombra di migliori leggi, più ricche, secure, e libere diverranno. A difender se stesse dalle invasioni dei nemici, basteranno i loro popoli, con disciplina romana, da roman capitano condotti; a non mai ribellarsi da Roma, basterà loro la perpetua certezza di non essere da ribaldi, avari, ed assoluti ministri predate, oppresse, e sconvolte. Ma, se all’arbitrario potere di un re le avranno sottratte le romane armi, tanto più lieve sarà, di serve divenute compagne, nell’ordine, nella fede, nella felicità mantenerle. Nella Italia intera non miro oramai nè l’ombra pure di un soldato; i cittadini vi moltiplicano in folla; e se Roma ha nemici, soldati son tutti, e la salvano; ma se ha Roma un tiranno, cittadini son tutti, e lo spengono.
Già già questa Roma seconda, in virtù alla primiera agguagliandosi, nella felicità e fama l’avanza. E di una tanta virtù, di così lieto vivere, di chiarezza sì luminosa, di un nome sì venerando e terribile, più che il restitutore, il novel creatore è Trajano. Non Romolo col fondar la città, poichè libera intieramente non la lascia; non Bruto col cacciarne i tiranni, poich’egli a se stesso signoria nessuna non ritoglieva, anzi, insieme con la propria e pubblica libertà, eminenza di grado ad un tempo a se procacciava; non i tanti e tanti altri nostri eroi cittadini col servire difendere ed accrescere Roma, poichè ai doveri di cittadino col latte succhiati soddisfaceano; nessuno, per certo, di questi, agguagliare si potrà mai a Trajano: a Trajano, che di assoluto padrone di essa, se ne facea spontaneamente cittadino; che di schiava ch’ella era, in libertà la tornava; che di avvilita, grande; di contaminata, pura; di viziosa in somma, rea, scellerata, ed infame, la trasmutava in giusta, costumata, e d’ogni alta virtù vivo specchio ed esempio.
Trajano, nato tremante, e non libero, sotto all’impero di Claudio; sfuggito, per miracoloso volere dei Numi, alla persecutrice crudeltà dei susseguenti tiranni, e pervenuto finalmente all’impero, avendo egli, per propria esperienza, nell’orribile stato di assoluta signoria, conosciuto non meno i timori e l’incertezza, e l’impossibilità di esercitar la virtù in chi serve, che i timori, i rimorsi, e la viltà di chi assoluto comanda; Trajano, sceglieva, come più nobile e più sicura e sola dignità veramente orrevole all’uomo, di farsi e di essere cittadino di roma. E, per esserlo egli con securtà e diletto, un tanto bene a tutti gli uomini del romano imperio viventi, e nei futuri tempi ai più lontani nepoti, sotto custodia di ben restituite leggi, assicurava.