Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 10

Canto 10

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Canto 9 Canto 11

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CANTO DECIMO



 [1]

F
Ra quāti Amor ſra quante fede al mondo

     Mai ſi trouar: ſra quanti cor conſtanti:
     Fra quate o per dolente o per iocondo
     Stato, ſer proue mai famoſi amanti:
     l’in toſto il primo loco ch’il fecondo
     Darò ad Olympia: e ſé pur non va inaliti
     Ben voglio dir che ſra gli antiq e nuoui
     Maggior del amor ſuo non ſi ritmoui.

 [2]
E che con tante e con ſi chiare note:
     Di qſto ha fatto il ſuo Bireno certo,
     Che dona piū far certo huomo nò puote
     Qn ancho il petto e ’l cor moſtraffe apto
     E s’anime ſi ſide e ſi deuote
     D’ū reciproco Amor dèno hauer merto
     Dico ch’Olympia e degna che nò meno
     Anzi piū che ſé anchor, l’ami Bireno.

 [3]
E che non pur non l’abandoni mai
     Per altra donna, ſé ben foſſe quella
     Ch’Europa & Aſia meſſe in tanti guai:
     s’altra ha maggior titolo di bella:
     Ma piū toſto che lei laſci co i rai
     Del Sol, P udita, e il guſto, e la fauella:
     E la vita, e la fama, e f altra coſa
     Dire o penſar ſi può piū preciofa.

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 [4]
Se Bireno amo lei: come ella amato
     Bireno hauea: ſé ſu ſi a lei fedele
     Come ella a lui: ſé mai non ha voltato
     Ad altra via che a ſeguir lei le vele:
     O pur s’ a tanta ſeruitu ſu ingrato:
     A tanta fede, e a tanto amor crudele,
     Io vi uo dire e far di marauiglia
     Stringer le labra & inarcar le ciglia,

 [5]
E poi che nota l’impieta vi ſia
     Che di tanta bontá ſu a lei mercede,
     Donna alcuna di voi mai piú non ſia
     Ch’a parole d’Amate habbia a dar fede
     l’Amante per hauer quel che deſia,
     Seza guardar che Dio tutto ode e vede:
     Auiluppa promeſſe e giuramenti
     Che tutti ſpargon poi per l’aria iuenti.

 [6]
I giuramenti e le promeſſe vanno
     Da i venti in aria diſipate e ſparfe:
     Toſto che tratta queſti amanti s’ hanno
     l’auida ſete che gli acceſe & arſe:
     Siate a prieghi & a pianti che vi fanno
     Per qſto eſempio a credere piú ſcarfe,
     Bene e felice quel Donne mie care
     Ch’effere accorto all’altrui ſpeſe ipare.

 [7]
Guardateui da queſti che ſui fiore
     De lor beglianni il viſo han ſi polito:
     Che preſto naſce in loro e preſto muore
     Quaſi vn ſoco di paglia ogni appetito,
     Come ſegue la lepre il cacciatore
     Al ſreddo, al caldo, alla mòtagna, al lito
     Ne piú l’eſtima poi che preſa vede
     E ſol dietro a chi ſugge affretta il piede.

 [8]
Coſi fan queſti gioueni: che tanto
     Che vi moſtrate lor dure e proterue:
     ;' amano, e riueriſcono con quanto
     Studio de far chi fedelmente ſerue,
     Ma non ſi toſto ſi potran dar vanto
     De la vittoria: che di donne ſerue
     Vi dorrete eſſer fatte, e da voi tolto
     Vedrete il falſo amore e altroue volto.

 [9]
No vi vieto per queſto (e’ haurei torto)
     Che vi laſciate amar: che ſenza amante
     Sareſte come inculta vite in horto
     Che non ha palo oue s’ appogi o piante,
     Sol la prima lanugine vi eſhorto
     Tutta a ſuggir: volubile e inconſtante:
     E corre i ſrutti non acerbi e duri,
     Ma che no ſien perho troppo maturi.

 [10]
Di fopra io vi dicea ch’una ſigliuola
     Del Re di Friſa quiui hanno trouata,
     Che ſia per quanto n’han moſſo parola
     Da Bireno al ſratel per moglie data,
     Ma a dire il vero eſſo v’ hauea la gola
     Che viuanda era troppo delicata,
     E riputato hauria corteſia ſciocca
     Per darla altrui leuarſela di bocca.

 [11]
La damigella non paſſaua anchora
     Quattordici anni: & era bella e ſreſca,
     Come roſa che ſpunti alhora alhora
     Fuor d la buccia, e col ſol nuouo creſea
     Non pur di lei Bireno s’ inamora
     Ma fuoco mai coſi non acceſe eſca.
     Ne ſé lo pongan l’inuide e nimiche
     Mani talhor, ne le mature ſpiche.

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 [12]
Come egli ſé n’ acceſe immantinente
     Come egli n’arfe ſin ne le medolle,
     Che fopra il padre morto lei dolente
     Vide di pianto il bel viſo far molle,
     E come ſuol ſé l’acqua ſredda ſente
     Quella reſtar che prima al fuoco bolle,
     Coſi l’ardor ch’acceſe Olympia, vinto
     Dal nuovo ſucceſſore: in lui ſu eſtinto.

 [13]
Non pur ſatio di lei, ma faſtidito
     Ne giá coſi che può vederla a pena,
     E ſi de l’altra acceſo ha l’appetito
     Che ne morra ſé troppo i lungo il mena,
     Pur ſinche giunga il di e’ ha ſtatuito
     A dar ſine al diſio: tanto raffrena
     Ch par ch’adori Olympia, no che V ami:
     E ql che piace a lei ſol voglia e brami.

 [14]
E ſé accarezza l’altra, che non puote
     Far che non l’accarezzi piú del dritto:
     Non e chi queſto in mala parte note,
     Anzi a pietade anzi a bota glie aſſeritto
     Che rileuare vn che Fortuna ruote
     Talhora al fondo, e conſolar l’afflitto,
     Mai non ſu biaſmo: ma gloria ſouente,
     Tanto piú vna fanciulla vna innocente.

 [15]
O ſommo Dio come i giudicii Immani
     Speſſo offuſcati ſon da vn nèbo oſcuro:
     I modi di Bireno empii e profani,
     Pietoſi e fanti riputati ſuro,
     I Marinari giá meſſo le mani
     A i Remi, e ſciolti dal lito ſicuro:
     Portauan lieti pei falati ſtagni,
     Verſo Selandia il Duca e i ſuoi cópagni

 [16]
Giá dietro rimaſi erano e perduti
     Tutti di viſta i termini d’Olanda:
     Che per non toccar Friſa piú tenuti
     S’ eran ver Scotia alla finiſtra banda:
     Quando da vn vento fur foprauenuti
     Ch’errado in alto mar tre di li manda,
     Surfero il terzo giá preſſo alla Sera,
     Doue inculta e deſerta vn’Ifola era.

 [17]
Tratti che ſi fur dentro vn picciol ſeno:
     Olympia venne in terra, e con diletto
     In compagnia del’infedel Bireno
     Ceno contenta, e ſuor d’ogni ſoſpetto:
     Indi con lui la doue in loco ameno
     Teſo era vn padiglione entro nel letto,
     Tutti glialtri compagni ritornaro
     E fopra i legni lor ſi ripofaro.

 [18]
Il trauaglio del mare, e la paura
     Che tenuta alcun di l’haueano deſta.
     Il ritrouarſi al lito hora ſicura:
     Lontana da rumor ne la foreſta:
     E che neſſun pender neſſuna cura:
     Poi che ’l ſuo amate ha ſeco: la moleſta,
     ſur cagió e’ hebbe Olípia figra ſonno
     ch gliorfi ei ghiri hauer maggior noi póno

 [19]
Il falſo Amante, che i penſati inganni
     Veggiar facea: come dormir lei ſente:
     Pian piano eſce del letto: e de ſuoi pani
     Fatto vn faſtel: no ſi veſte altrimente,
     E laſcia il padiglione: e come i vanni
     Nati gli ſian: riuola alla ſua gente:
     E li rifueglia, e ſenza udirli vn grido
     Fa entrar nel alto, e abandonare il lido.

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 [20]
Rimaſe a dietro il lido: e la meſchina
     Olympia che dormi ſenza deſtarfe,
     Fin che l’Aurora la gelata Brina
     Da le dorate ruote in terra ſparfe,
     E s’ udir le Alcione alla marina
     De l’antico inſortunio lamentarſe,
     Ne deſta ne dormèdo, ella la mano
     Per Bireno abbracciar ſtefe: ma i vano.

 [21]
Neſſuno truoua: a ſé la man ritira:
     Di nuouo tèta: e pur neſſuno truoua:
     Di qua l’un braccio: e di la l’altro gira,
     Hor l’una hor V altra gaba, e nulla gioua
     Caccia il sono il tior, gliocchi ap e mira
     Nóvede alcúo, hor giá no ſcalda e coua
     Piú le vedoue piume: ma ſi getta
     Del letto e ſuor del padiglione infretta.

 [22]
E corre al mar graſſiandoſi le gote:
     Preſaga e certa hormai di ſua fortuna:
     Si ſtraccia i crini: e il petto ſi percuote
     E va guardando (che ſplendea la luna)
     Se veder coſa ſuor che’l lito puote:
     Ne ſuor che’l lito vede coſa alcuna,
     Bireno chiama: e al nome di Bireno:
     Riſpodean gl’Antri ch pietá n’hauieno.

 [23]
Quiui ſurgea nel lito eſtremo vn ſaſſo,
     C’haueano l’onde col picchiar ſrequete
     Cauo e ridutto a guiſa d’arco al baffo:
     E ſtaua fopra il mar curuo e pendente,
     Olympia in cima vi ſali a gran paſſo,
     (Coſi la facea l’animo poſſente)
     E di lontano le gonſiate vele
     Vide ſuggir del ſuo Signor crudele.

 [24]
Vide lontano, o le parue vedere
     Che l’aria chiara anchor non era molto
     Tutta tremante ſi laſcio cadere
     Piú biaca, e piú che nieue ſredda ivolto
     Ma poi che di leuarſi hebbe potere:
     Al camin de le naui il grido volto,
     Chiamo qjto potea chiamar piú ſorte
     Piú volte il nome del crudel conſorte.

 [25]
E doue non potea la debil voce
     Supliua il piato, e ’lbatter palma a palma
     Doue ſuggi crudel coſi veloce?
     NO ha il tuo legno la debita ſalma,
     Fa che lieui me anchor, poco gli nuoce
     Che porti il corpo poi che porta l’alma
     E con le braccia e con le veſti ſegno,
     Fa tuttauia: perche ritorni il legno.

 [26]
Ma i venti che portauano le vele
     Per l’alto mar di quel giouene inſido
     Portauano ancho i prieghi e le querele
     De l’inſelice Olympia, e ’l piato e ’l grido
     Laqual tre volte a ſé ſteffa crudele
     Per affogarti ſi ſpicco dal lido:
     Pur al ſin ſi leuo da mirar l’acque,
     E ritorno doue la notte giacque.

 [27]
E con la faccia in giú ſtefa ſui letto:
     Bagnandolo di pianto: dicea lui:
     Hierſera deſti inſieme a dui ricetto:
     Perche inſieme al leuar non ſiamo dui ?
     O perfido Bireno, o maladetto
     Giorno ch’al mondo generata ſui:
     Che debbo far? che poffio far qui fola?
     Chi mi da aiuto (ohimè) chi mi còfola.

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 [28]
Huomo nò veggio q: nò ci veggio opra
     Donde io polla ſtimar e’ huomo qui ſia,
     Naue non veggio, a cui ſalendo fopra
     Speri allo ſcampo mio ritrouar via,
     Di diſagio morrò: ne che mi cuopra
     Gliocchi fará, ne chi ſepolchro dia:
     Se ſorſè in ventre Ior non me lo danno
     I Lupi (ohimè) ch’in qſte ſelue ſtano.

 [29]
Io ſto in ſoſpetto, e giá di veder panni
     Di queſti boſchi, Orſi o Leoni vſcire,
     O Tigri o ſiere tal, che natura armi
     D’aguzzi denti, e d’ ungne da ferire:
     Ma quai fere crudel potriano farmi
     Fera crudel peggio di te morire?
     Darmi vna morte ſo lor parrá assai,
     E tu di mille (ohimè) morir mi fai.

 [30]
Ma preſupògo anchor e’ horhora arriui
     Nochier: che per pietá di qui mi porti:
     E coſi Lupi: Orſi, Leoni, ſchiui
     Strati, diſagi, & altre horribil morti:
     Mi porterá ſorſè in Olanda? s’ ini
     Per te ſi guardan le ſortezze, e i porti ?
     Mi porterá alla terra oue ſon nata?
     Se tu con ſraude giá me l’hai Iettata?

 [31]
Tu m’hai lo ſtato mio ſotto preteſto
     Di parentado, e d’ amicitia tolto:
     Ben foſti a pomi le tue genti preſto
     Per hauer il dominio a te riuolto,
     Tornerò 1 Fiadra? oue hovèduto il retto
     Di che io viuea bèche no ſoſſi molto,
     Per fouenirti e di prigione trarte
     Miſchina doue andrò? nò ſo in qual pte.

 [32]
Debbo ſorſè ire in Friſa? oue io potei
     E per te non vi volſi eſſer Regina?
     Ilche del padre, e de i ſratelli miei
     E d’ogn’ altro mio ben ſu la ruina,
     Quel e’ ho fatto per te non ti vorrei
     Ingrato improuerar, ne diſciplina
     Dartene, che non men di me lo fai
     Hor ecco il guiderdo che me ne dai.

 [33]
Deh pur che da color chevano in corſo
     Io non ſia preſa: e poi venduta ſchiaua:
     Prima che qſto, il Lupo, il Leon, l’Orfo
     Vèga e la Tigre: e ogn’ altra ſera braua:
     Di cui l’ugna mi ſtracci, e ſraga il morſo
     E morta mi ſtrafeini alla ſua caua,
     Coſi dicendo le mani ſi caccia,
     Ne capei d’oro, e a chiocca a chiocca ſtraccia

 [34]
Corre di nuouo in ſu l’eſtrema ſabbia
     E ruota il capo, e ſparge all’aria il crine:
     E ſembra ſorienata: e ch’adoffo habbia
     Non vn Demonio ſol: ma le decine,
     O qual Hecuba ſia conuerſa in rabbia,
     Viſtofi morto Polydoro al ſine,
     Hor ſi ferma s’ un ſaſſo e guarda il mare,
     Ne men d’un vero ſaſſo vn ſaſſo pare.

 [35]
Ma laſcianla doler ſin ch’io ritorno
     Per voler di Ruggier dirui pur ancho,
     Ch nel piú itèſo ardor del mezo giorno,
     Caualca il lito affaticato e ſianco,
     Percuote il Sol nel colle, e fa ritorno:
     Pi ſotto bolle il ſabbion trito e bianco,
     Mancaua all’arme e’ hauea indoſſo poco
     Ad eſſer come giá tutte di fuoco.

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 [36]
Mentre la ſete: e de l’andar fatica
     Per l’alta ſabbia, e la ſolinga via
     Gli facean lungo quella ſpiaggia aprica
     Noioſa e diſpiaceuol compagnia:
     Trouo, ch’all’ombra d’una torre antica
     Che ſuor de l’onde appreſſo il lito vſcia
     De la corte d’Alcina eran tre donne
     Che le conobbe a i geſti, & alle gonne.

 [37]
Corcate ſu tapeti Alleſſandrini
     Godeanſi il ſreſco rezo in gran diletto,
     Fra molti vaſi di diuerſi vini
     E d’ ogni buona ſorte di confetto,
     Preſſo alla ſpiaggia co i flutti marini
     Scherzádo le aſpettaua vn lor legnetto
     Fin che la vela empieſſe ageuol’Ora
     Ch’un ſiato pur non ne ſpiraua allhora

 [38]
Queſte ch’andar per la no ferma ſabbia
     Vider Ruggiero al ſuo viaggio dritto
     Che ſculta hauea la ſete in ſu le labbia
     Tutto pien di ſudore il viſo afflitto:
     Gli cominciaro a dir, che ſi non habbia,
     Il cor voluntaroſo al camin ſitto
     Ch’ alla ſreſca e dolce Obra no ſi pieghi
     E riſtorar lo ſtanco corpo nieghi.

 [39]
E di lor vna, s’ accoſto al cauallo
     Per la ſtaffa tener, che ne ſcendeſſe:
     l’altra con vna coppa di chryſtallo
     Di vin ſpumante: piú ſete gli meſſe:
     Ma Ruggiero a ql ſuon nò entro I ballo,
     Perche d’ ogni tardar che fatto haueffe
     Tèpo di giunger dato hauria ad Alcina
     Che venia dietro, & era homai vicina.

 [40]
Non coſi ſin Salnitro, e Zolfo puro
     Tocco dal fuoco ſubito s’ auampa,
     Ne coſi ſreme il mar quando V oſcuro
     Turbo diſcède, e in mezo ſé gliaccampa
     Come vedendo che Ruggier ſicuro
     Al ſuo dritto camin l’arena ſtampa
     E che le ſprezza (e pur ſi tenean belle)
     D’ira arſe, e di furor la terza d’elle.

 [41]
Tu non fei ne gentil, ne caualliero
     (Dice gridado quanto può piú forte)
     Et hai rubate l’arme: e quel deſtriero
     Non faria tuo per veruna altra ſorte:
     E coſi come ben m’appongo al vero
     Ti vedeſſi punir di degna morte:
     Che ſoſſi fatto I quarti, arſo o impiccato
     Brutto ladron, villan ſuperbo ingrato.

 [42]
Oltr’ a queſte, e molt’ altre ingiurioſe
     Parole, che gliuſo la donna altiera,
     Anchor che mai Ruggier nò le riſpofe
     Che de ſi vii tenzon poco honor ſpera:
     Con le ſorelle toſto ella ſi poſe
     Su ’l legno I mar, che al lor ſeruigio v’era
     Et affrettando i remi, lo ſeguiua
     Vedendol tuttauia dietro alla riua.

 [43]
Minaccia ſempre, maledice e incarca
     (Che l’onte fa trouar per ogni punto)
     In tanto a quello ſtretto, onde ſi varca
     Alla fata piú bella, e Ruggier giunto,
     Doue vn vecchio nochiero, vna ſua barca
     Scioglier da l’altra ripa vede apúto,
     Come auiſato, e giá prouiſto, quiui
     Si ſtia, aſpettado che Ruggiero arriui.

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 [44]
Scioglie il nochier come venir lovede
     Di traſportarlo a miglior ripa lieto,
     Che ſé la faccia può del cor dar fede
     Tutto benigno, e tutto era diſcreto,
     Poſe Ruggier fopra il nauilio il piede,
     Dio ringratiando, e per lo mar quieto
     Ragionando venia col Galeotto,
     Saggio, e di lunga eſperientia dotto.

 [45]
Quel lodaua Ruggier, che ſi ſé haueffe
     Saputo a tempo tor da Alcina, e inanti
     Che ’l calice incantato ella gli deſſe
     C hauea al ſin dato a tutti glialtri amati:
     E poi che a Logiſtilla ſi traheſſe:
     Doue veder potria coſtumi fanti,
     Bellezza eterna, & inſinita gratia
     Chel cor notriſce e paſce, e mai nò fatia.

 [46]
Coſtei (dicea) ſtupore, e riuerenza
     Induce all’alma oue ſi ſcuopre prima,
     Contempla meglio poi l’alta preſenza
     Ogn’ altro ben ti par di poca ſtima,
     Il ſuo amore ha da glialtri differenza
     Speme o timor ne glialtri il cor ti lima,
     In queſto il deſiderio piú non chiede,
     E contento riman come la vede.

 [47]
Ella t’ inſegnera ſtudii piú grati
     Che ſuoni, daze, odori, bagni, e cibi,
     Ma come i penſier tuoi meglio ſormati,
     Poggin piú ad alto, che per l’aria i Nibi,
     E come de la gloria de beati
     Nel mortai corpo parte ſi delibi,
     Coſi parlando il Marinar veniua
     Lontano anchora alla firura riua.

 [48]
Quando vide ſcoprire alla marina
     Molti nauili, e tutti alla ſua volta,
     Con quei ne vien l’ingiuriata Alcina
     E molta di ſua gente haue raccolta:
     Per por lo ſtato: e ſé ſteffa in mina
     O racquiſtar la cara coſa tolta,
     E bene e Amor di ciò cagion non lieue
     Ma l’ingiuria non men che ne riceue.

 [49]
Ella non hebbe ſdegno da che nacque
     Di qſto il maggior mai c’hora la rode,
     Onde fa i remi ſi affretar per l’acque
     Che la ſpuma ne ſparge ambe le prode
     Al gran rumor, ne mar ne ripa tacque
     Et Eccho riſonar per tutto s’ode
     Scuopre Ruggier lo ſcudo che biſogna
     Se non fei morto o preſo con vergogna.

 [50]
Coſi diſſe il nocchier di Logiſtilla,
     Et oltre il detto, egli níedefmo preſe
     La tale ,i, e da lo ſcudo dipartilla,
     Et ſé il lume di quel chiaro e paleſe
     L’incantato ſplendor che ne sfauilla
     Gliocchi de gli auerſari coſi oſſeſe
     Che li ſé reſtar ciechi allhora allhora:
     E cader chi da poppa e chi da prora.

 [51]
Vn ch’era alla veletta in ſu la rocca
     De l’armata d’ Alcina ſi ſu accorto,
     E la campana martellando tocca,
     Onde il ſoccorſovien ſubito al porto,
     l’artegliaria: come tempeſta ſiocca
     Cétra chi vuole al buO Ruggier far torto
     Si che gli venne d’ ogni parte aita,
     Tal che ſaluo la liberta e la vita.

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 [52]
GiOte ſon quattro dóne, in ſu la ſpiaggia
     Che ſubito ha mandate Logiſtilla,
     La valoroſa Andronica, e la ſaggia
     Phronefia, e l’honeſtiffima Dicilla,
     E Sophroſina caſta, che come haggia
     Quiui a far piú ch l’altre arde esfauilla
     l’eſercito ch’al mondo e ſenza pare
     Del cartello eſce, e ſi diſtende al mare.

 [53]
Sotto il cartel ne la tranquilla ſoce:
     Di molti e groſſi legni era vna armata
     Ad vn botto di ſquilla: ad vna voce
     Giorno e notte a battaglia apparecchiata
     E coſi ſu la pugna, aſpra & atroce:
     E per acqua, e per terra incominciata,
     Per cui ſu il regno fottofopra volto,
     C’hauea giá Alcina alla ſorella tolto.

 [54]
O di quante battaglie il ſin ſucceſſe
     Diuerſo a quel che ſi credette inante,
     Non ſol ch’Alcina alhor non rihaueffe
     (Come ſtimoffi) il ſugitiuo amante,
     Ma de le naui, che pur dianzi ſpeffe
     Fur ſi, ch’apena il mar ne capia tante
     Fuor de la ſiamma che tutt’ altre auapa
     Con vn legnetto ſol miſera ſcampa.

 [55]
Fuggeſi Alcina, e ſua miſera gente
     Arſa e preſa riman, rotta e ſommerſa,
     D’ hauer Ruggier perduto ella ſi ſente
     Via piú doler che d’ altra coſa auerſa,
     Notte e di per lui geme amaramente
     E lachryme per lui da gliocchi verſa,
     E per dar ſine a tanto aſpro martire
     Speſſo ſi duol di non poter morire.

 [56]
Morir non puote alcuna Fata mai
     Fin chel Sol gira, o il ciel nò muta ſtilo
     Se ciò non ſorte: era il dolore assai
     Per muouer Cloto ad inaſparle il ſilo
     O qual Didon ſinia col ferro i guai,
     O la Regina ſplendida del Nilo
     Hauria imitata con mortifer ſonno:
     Ma le Fate morir ſempre non ponno.

 [57]
Torniamo a ql di eterna gloria degno
     Ruggiero, e Alcina ſtia ne la ſua pena
     Dico di lui, che poi che ſuor del legno
     Si ſu condutto in piú ſicura arena,
     Dio ringratiando, che tutto il diſegno
     Gliera ſucceſſo, al mar volto la ſchena
     Et affrettando per l’aſciutto il piede
     Alla rocca ne va, che quiui ſiede.

 [58]
Ne la piú ſorte anchor ne la piú bella
     Mai vide occhio mortai pria ne dopo,
     Son di piú prezzo le mura di quella
     Che ſé Diamante ſortino o Piropo,
     Di tai gemme qua giú non ſi fauella
     Et a chi vuol notitia hauerne, e d’uopo
     Che vada quiui: che non credo altroue
     (Se non ſorſè ſu in ciel) ſé ne ritruoue.

 [59]
Quel che piú fa, che lor ſi ichina e cede
     Ogn’ altra géma, e che mirando in eſſe
     L’huom ſin in mezo all’anima ſi vede
     Vede ſuoi vitii, e ſue virtudi eſpreffe,
     Si che a luſinghe poi di ſé non crede,
     Ne a chi dar biaſmo a torto gli voleſſe,
     Farti mirando allo ſpecchio lucente
     Se ſteffo conofeendofi prudente.

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 [60]
Il chiaro lume lor ch’imita il Sole
     Mada ſplédore, in tata copia intorno
     Che chi l’ha, ouúqj ſia, ſemp chevuole,
     Phebo (mal grado tuo) ſi può far giorno
     Ne mirabil vi ſon le pietre ſole:
     Ma la materia, e l’artificio adorno
     Contendon ſi: che mal giudicar puoffi
     Qual de ledue eccelleze maggior ſoſſi

 [61]
Sopra glialtiſſimi archi che puntelli
     Parean che del ciel ſoſſino auederli:
     Eran giardin ſi ſpatiofi, e belli
     Che faria al piano ancho fatica hauerli
     Verdeggiar gli odoriſeri arbuſcelli
     Si puon veder ſra i luminoſi merli,
     Ch’adorni ſon l’eſtate, e il verno tutti
     Di vaghi fiori, e di maturi ſrutti.

 [62]
Di coſi nobili arbori non ſuole
     Produrſi ſuor di queſti bei giardini,
     Ne di tai Roſe, o di ſimil Viole,
     Di Gigli, di Amaranti, o di Germini
     Altroue appar come avn medeſmo Sole
     E naſca, e viua, e morto il capo inchini,
     E come laſci vedouo il ſuo ſtelo,
     Il fior ſuggetto al variar del cielo.

 [63]
Ma quiui era perpetua la verdura,
     Perpetua la beltá de fiori eterni:
     Non che benignitá de la Natura
     Si temperatamente li gouerni:
     Ma Logiſtilla con ſuo ſtudio e cura
     Senza biſogno de moti ſuperni
     (Quel che a glialtri impoffibile parea)
     Sua primauera ogn’hor ferma tenea.

 [64]
Logiſtilla moſtro molto hauer gTato
     Ch’a lei veniſſe vn ſi gentil ſignore,
     E comando che foſſe accarezzato
     E che ſtudiaffe ogn’ un di fargli honore,
     Gran pezzo inanzi Aſtolfo era arriuato
     Che viſto da Ruggier ſu di buon core,
     Fra pochi giorni venner glialtri tutti
     Ch’a l’effer lor Meliſſa hauea ridutti.

 [65]
Poi che ſi fur poſati vn giorno e dui
     Venne Ruggiero alla fata prudente
     Col duca Aſtolfo, che non men di lui
     Hauea deſir di riueder Ponente
     Meliſſa le parlo per amendui,
     E ſupplica la fata humilemente,
     Che li conſigli fauorifea e aiuti
     Si che ritomin d’onde era venuti.

 [66]
Diſſe la Fata io ci porro il penderò,
     E ſra dui di te li darò eſpediti:
     Diſcorre poi tra ſé, come Ruggiero
     E dopo lui, come quel Duca aiti,
     Cochiude in ſin, che’l volator deſtriero
     Ritorni il primo a gli Aquitani liti,
     Ma pria vuol che fegli facciavn morſo,
     Con che lo volga, e gli raffreni il corſo.

 [67]
Gli moſtra eoe egli habbia a far ſevuole
     Che poggi in alto, e come a far che cali,
     E come ſé vorrá che in giro vole
     O vada ratto, o che ſi ſtia ſu l’ali,
     E quali effetti il cauallier far ſuole
     Di buon deſtriero in piana terra, tali
     Facea Ruggier che maſtro ne diuenne,
     Per l’aria del deſtrier e’ hauea le penne.

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 [68]
Poi che Ruggier ſu d’ogni coſa in puto
     Da la Fata gentil comiato preſe,
     Alla qual reſto poi Tempre congiunto
     Di grande amore, e vſci di quel paeſe,
     Prima di lui che ſé n’ andò i buon puto:
     E poi diro come il guerriero Ingleſe
     Tornaffe con piú tempo e piú fatica,
     Al magno Carlo, & alla corte amica.

 [69]
Quindi parti Ruggier, ma non riuenne
     Per quella via ch ſé giá ſuo mal grado:
     Allhor che ſemp l’Hippogripho il tene
     Sopra il mare: e terre vide di rado
     Ma potendogli hor far batter le penne
     Di qua di la doue piú gliera agrado
     Volſe al ritorno far nuouo ſentiero
     Come ſchiuando Herode i Magi fero.

 [70]
Al venir quiui, era laſciando Spagna
     Venuto India a trouar per dritta riga,
     La doue il mare Orientai la bagna,
     Doue vna fata hauea con l’altra briga,
     Hor veder ſi diſpoſe altra campagna
     Che quella doue i venti Eolo inſtiga:
     E ſinir tutto il cominciato tondo,
     Per hauer (come il Sol) girato il modo.

 [71]
Quinci il Chataio, e quindi Mangiana
     Sopra il gran Quinſai, vide paſſando:
     Volo fopra l’Imauo, e Sericana
     Laſcio a man deſtra, e ſempre declinado
     Da l’Hiperborei Scyti a l’onda Hircana
     Giunſe alle parti di Sarmatia, e quando
     Fu doue Aſia da Europa ſi diuide:
     Ruffi e Pruteni e la Pomeria vide.

 [72]
Bè che di Ruggier foſſe ogni delire
     Di ritornare a Bradamante: preſto
     Pur guſtato il piacer, e’ hauea di gire
     Cercando il mondo, no reſto per queſto
     Ch’alli Pollacchi, a gli Hungari venire
     No voleſſe ácho, alli Germani, e al reſto
     Di quella Boreale horrida terra
     E venne al ſin ne l’ultima Inghilterra.

 [73]
Non crediate Signor che perho ſtia
     Per ſi lungo camin ſempre ſu l’ale,
     Ogni ſera all’albergo ſé ne giá
     Schiuádo a ſuo poter d’ alloggiar male,
     E ſpeſe giorni e meſi in queſta via
     Si di veder la terra, e il mar gli cale,
     Hor preſſo a Londra giunto vna matina,
     Sopra Tamigi il volator declina.

 [74]
Doue ne prati alla citta vicini
     Vide adunati huomini d’ arme, e fanti
     Ch’ a ſuondi trombe, e a ſuon di taburini
     Venian partiti a belle ſchiere auanti
     II buon Rinaldo honor de Paladini
     Del qual ſé vi ricorda, io diſſi inaliti
     Che mandato da Carlo era venuto
     In queſte parti, a ricercare aiuto.

 [75]
Giunſe apunto Ruggier, che ſi facea
     La bella moſtra ſuor di quella terra:
     E per ſapere il tutto, ne chiedea
     Vn cauallier, ma ſcefe prima in terra,
     E quel ch’affabil’era gli dicea,
     Ch di Scotia, e d’ Irlada, e d’ Inghilterra,
     E de l’Iſole intorno eran le ſchiere
     Che quiui alzate hauean tate bandiere.

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 [76]
E ſinita la moſtra che faceano
     Alla marina ſé diſtenderanno,
     Doue aſpettati per ſolcar l’Oceano
     Son da i nauili che nel porto ſtanno,
     I Franceſchi aſſediati ſi ricreano
     Sperado in queſti che a ſaluar li vano:
     Ma accio tu te n’ informi pienamente
     10 ti diſtinguero tutta la gente.

 [77]
Tu vedi ben quella bandiera grande
     Ch’infieme pon la Fiordaligi e i Pardi:
     Quella il granCapitano all’aria ſpáde
     E qlla ha da ſeguir gli altri ſtendardi,
     II ſuo nome famoſo in queſte bande
     E Leonetto, il fior de li gagliardi
     Di conſiglio e d’ardire in guerra maſtro
     Del Re nipote: e Duca di Lincaſtro.

 [78]
La prima appreſſo il gonſalon reale
     Ch’el vento tremolar fa verſo il monte
     E tien nel campo verde tre bianche ale
     Porta Ricardo di Varuecia conte,
     Del Duca di Gloceſtra e quel ſegnale
     C ha duo Corna di Ceruio e meza ſròte
     Del Duca di Chiarenza e quella face,
     Quel arbore e del Duca d’ Eborace.

 [79]
Vedi in tre pezzi vna ſpezzata lancia
     Glie’l guſalo del Duca di Northfotia,
     La ſulgure, e del buon Conte di Cancia,
     11 Gryphone e del Cote di Pembrotia,
     Il duca di Sufolcia ha la bilancia,
     Vedi quel giogo che due Serpi afTotia,
     E del conte d’Efenia, e la ghirlanda
     In capo azurro, ha quel di Norbelanda.

 [80]
Il conte d’Arindelia, e quel e’ ha meſſo
     In mar quella barchetta che s’ affonda,
     Vedi il Marcheſe di Barchlei, e appſſo
     Di Marchia il cote, e il cote di Rithmòda
     Il primo porta ! biaco vn mote feſſo
     L’altro la palma, il terzo vn pin ne l’Oda,
     Quel di Dorfetia, e cote e quel d’ AntOa
     Che l’uno ha il carro, e l’altro la corea.

 [81]
Il Falcon che ſui nido i vanni inchina
     Porta Raimondo il Conte di Deuonia,
     Il giallo e negro ha quel di Vigorina,
     Il can ql d’ Erbia, vn’ Orio ql d’ Ofonia,
     La croce che la vedi chryſtallina
     E del ricco prelato di Battonia,
     Vedi nel bigio vna ſpezzata fedia,
     E del Duca Ariman di Sormofedia.

 [82]
Gli huomini d’arme, e gliarcieri a cauallo
     Di quarantaduo mila numer fanno,
     Sono duo tanti, o di cento non fallo
     Quelli ch’a pie ne la battaglia vanno,
     Mira qi ſegni, vn bigio, ú verde, giallo
     E di nero, e d’azur liſtato vn panno,
     Gofredo, Hérigo, Ermante, & Odoardo,
     Guidan pedoni, ognú col ſuo ſtédardo.

 [83]
Duca di Bocchingamia e quel dinante,
     Henrigo ha la Contea di Sariſberia,
     Signoreggia Burgèia ilvecchio Ermate
     Quello Odoardo e conte di Croifberia,
     Queſti alloggiati piú verſo Leuante
     Sono gl’Inglefi, hor volgeti all’Heſpia
     Doue ſi veggion trenta mila Scotti,
     I):i Zerbin figlio del lor Re condotti.

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 [84]
Vedi tra duo Vnicorni, il gran Leone
     Che la ſpada d’ argento ha ne la zampa,
     Queir e del Re di Scotia il gonſalone
     Il ſuo figliol Zerbino iui s’ accampa,
     Non e vn ſi bello in tante altre perſone:
     Natura il fece: e poi roppe la ſtampa:
     Non e in cui tal virtú, tal gratia luca:
     O tal poſſanza: & e di Roſcia Duca.

 [85]
Porta in azurro vna dorata sbarra
     Il Conte d’Ottonlei ne lo ſtendardo,
     l’altra bandiera e del Duca di Marra
     Che nel trauaglio porta il Leopardo,
     Di piú colori, e di piú augei bizarra
     Mira l’infegna d’Alcabrun gagliardo,
     Che non e Duca Conte ne Marcheſe
     Ma primo nel ſaluatico paeſe.

 [86]
Del Duca di Trasfordia e quella iſegna
     Doue e l’augel ch’ai Sol tie gliocchi ſrachi
     Lurcaio Cote ch’i Angoſcia regna
     Porta ql Tauro e’ ha duo veltri a i ſischi
     Vedi la il Duca d’Albania, che ſegna
     Il campo di colori azurri e bianchi,
     Quel Auoltor ch’un drago verde lania,
     E l’infegna del Conte di Boccania.

 [87]
Signoreggia Forbeſſe il ſorte Armano
     Che di bianco e di nero ha la bandiera:
     Et ha il Conte d’Erelia a deſtra mano,
     Che porta in campo verde vna lumiera,
     Hor guarda gl’Hiberneſi appſſo il piao,
     Sono duo ſquadre, e il Cote di Childera
     Mena la prima, e il Conte di Defmonda
     Da ſieri monti ha tratta la feconda.

 [88]
Ne lo ſtédardo il prio ha ú pino ardete,
     L’altro nel bianco vna vermiglia bada:
     Non da ſoccorſo a Carlo ſolamente
     La terra Ingleſe, e la Scotia, e l’Irlada:
     Ma vien di Suetia, e di Noruegia gente,
     Da Tile, e ſin da la remota Iſlanda:
     Da ogni terra in ſomma, che la giace,
     Nimica naturalmente di pace.

 [89]
Sedici mila ſono, o poco manco
     De le ſpelonche vſciti, e de le ſelue
     Hano piloſo il viſo, il petto, il ſianco,
     E doſſi, e braccia, e gambe, come belue
     Intorno allo ſtendardo tutto bianco
     Par che quel pian di lor lance s’ inſelue,
     Coſi Moratto il porta il capo loro
     Per dipingerlo poi di ſangue Moro.

 [90]
Mentre Ruggier di quella gente bella:
     Che per ſoccorrer Francia ſi prepara
     Mira le varie inſegne, e ne fauella
     E de i Signor Britanni i nomi impara,
     Vno & vn’ altro a lui: per mirar quella
     Beſtia fopra cui ſiede vnica o rara:
     Marauiglioſo corre e ſtupefatto,
     E toſto il cerchio intorno gli ſu fatto.

 [91]
Si che per dare anchor piú marauiglia
     E p pigliarne il buo Ruggier piú gioco:
     Al volante Corſier ſcuote la briglia:
     E cogli ſproni a i ſischi il toccavn poco
     Quel verſo il ciel p l’aria il carni piglia
     E laſcia ogn’ uno attonito in quel loco
     Quindi Ruggier (poi ch di bada í bada,
     Vide gl’Ingleſi) andò verſo l’Irlanda.

[p. 111 modifica]


 [92]
E vide Hibernia fabuloſa, doue
     Il ſanto vecchiarel fece la caua:
     In che tanta merce par che ſi truoue,
     Ch lhuo vi purga ogni ſua colpa praua,
     Quidi poi fopra il mare il deſtrier muoue,
     La doue la minor Bretagna laua,
     E nel paſſar vide mirando a baffo
     Angelica legata al nudo ſaſſo.

 [93]
Al nudo ſaſſo, all’Iſola del pianto
     (Che l’Iſola del pianto era nomata
     Quella che da crudele, e ſiera tanto
     Et inhumana gente era habitata,
     Che (come io vi dicea fopra nel canto)
     Per varii liti ſparfa iua in armata,
     Tutte le belle donne depredando
     Per farne a u Moſtro poi cibo neſando.

 [94]
Vi ſu legata pur quella matina,
     Doue venia per trangugiarla viua
     Quel ſmiſurato moſtro Orca marina,
     Che di abhorreuole eſca ſi nutriua,
     Diſſi di fopra come ſu rapina
     Di quei che la trouaro in ſu la riua,
     Dormire al vecchio incantatore a canto
     Ch’ iui l’hauea tirata per incanto.

 [95]
La ſiera gente inhoſpitale e cruda
     Alla beſtia crudel nel lito eſpofe
     La belliſſima donna coſi ignuda
     Come Natura prima la compoſe,
     Vn velo non ha pure: in che richiuda
     I bianchi gigli: e le vermiglie roſe
     Da non cader p Luglio, o per Dicebre
     Di che ſon ſparfe le polite membre.

 [96]
Creduto hauria che foſſe ſtatua ſinta
     O d’Alabaſtro: o d’altri marmi illuſtri,
     Ruggiero, e ſu lo ſcoglio coſi auinta
     Per artificio di ſcultori induſtri,
     Se non vedea la lachryma diſtinta
     Tra freſche roſe, e candidi liguſtri
     Far rugiadoſe le crudette pome,
     Et l’aura fuentolar l’aurate chiome.

 [97]
E come ne begliocchi gliocchi affiffe
     De la ſua Bradamante gli ſouenne,
     Pietade e Amore a vn tempo Io traffiſſe,
     E di piangere a pena ſi ritenne,
     E dolcemente alla donzella diſſe
     (Poi che del ſuo deſtrier ſreno le pene)
     O donna degna ſol de la cathena
     Con chi i ſuoi ſerui Amor legati mena

 [98]
E ben di queſto, e d’ ogni male indegna:
     Chi e quel crudel che co voler puerſo,
     D’importuno liuor ſtringendo ſegna
     Di queſte belle man l’auorio terſo?
     Forza e ch’a quel parlare ella diuegna
     Quale e di granavn biaco auorio aſpfo
     Di ſé vedendo quelle parte ignude
     Ch’ anchor ch belle ſian, vergogna chiude

 [99]
E coperto con man s’haurebbe il volto
     Se non eran legate al duro ſaſſo,
     Ma del pianto ch’almen non l’era tolto
     Lo ſparfe: e ſi sforzo di tener baffo,
     E dopo alcun ſignozzi il parlar ſciolto
     Incomincio con ſioco ſuono e laſſo:
     Ma non ſegui che dentro il ſé reſtare
     Il gran rumor che ſi ſenti nel mare.

[p. 112 modifica]


 [100]
Ecco apparir lo ſmiſurato Moſtro
     Mezo aſcofo ne l’onda, e mezo ſorto:
     Come foſpinto ſuol da Borea o d’Oſtro,
     Venir lungo nauilio a pigliar porto,
     Coli ne viene al cibo che le moſtro
     La beſtia horréda, e l’intervallo e corto
     La Donna e meza morta di paura
     Ne per conſorto altrui ſi raſſicura.

 [101]
Tenea Ruggier la lancia non in reſta
     Ma fopramano, e percoteua l’Orca:
     Altro non ſo che s’ aſſimigli a queſta
     Ch’una gran maſſa che s’aggiri e torca,
     Ne ſorma ha d’ animai ſé non la teſta,
     C’ha gliocchi e i dèti ſuor eoe di porca,
     Ruggier I ſròte la feria tra gliocchi
     Ma par che vn ferro, o vn duro ſaſſo tocchi

 [102]
Poi che la prima botta poco vale
     Ritorna per far meglio la feconda,
     l’orca che vede ſotto le grandi ale
     L’ombra di qua e di la correr ſu l’onda:
     Laſcia la preda certa litorale
     E quella vana ſegue ſuribonda:
     Dietro quella ſi volue: e ſi raggira,
     Ruggier giú cala, e ſpeſſi colpi tira.

 [103]
Come d’alto venèdo Aquila ſuole
     Ch’ errar ſra l’herbe viſto habbia la biſcia
     O che ſtia fopra vn nudo ſaſſo al Sole
     Doue le ſpoglie d’oro abbella e liſcia:
     Non aſſalir da quel lato la vuole
     Onde la velenoſa, e ſoſſia e ſtrifeia,
     Ma da tergo la adugna, e batte i vanni
     Accio non ſé le volga, e non la azzani.

 [104]
Coſi Ruggier co l’haſta, e con la ſpada:
     Non doue era de denti armato il muſo:
     Ma vuol che ’l colpo tra l’orecchie cada
     Hor ſu le ſchene, hor ne la coda giuſo,
     Se la ſera ſi volta, ei muta ſtrada,
     Et a tempo giú cala, e poggia in ſuſo,
     Ma come ſempre giunga in vn diaſpro
     Nò può tagliar lo ſcoglio duro & aſpro

 [105]
Simil battaglia fa la moſca audace
     Cetra il maſtin, nel polueroſo Agoſto,
     O nel meſe dinanzi: o nel ſeguace,
     l’uno di ſpiche, e l’altro pien di moſto:
     Ne gliocchi ilpuge, e nel griſo mordace
     Volagli ítorno, e gli ſta ſempre accorto
     E quel fuonar fa ſpeffo il dente aſciutto
     Mavn tratto ch gliarriui appaga il tutto.

 [106]
Si ſorte ella nel mar batte la coda
     Che fa vicino al ciel l’acqua inalzare
     Tal che non fa ſé l’ale in aria ſnoda
     O pur ſel ſuo deſtrier nuota nel mare:
     Glie ſpeffo che diſia trouarſi a proda
     Ch ſé lo ſprazzo I tal modo ha a durare
     Teme ſi l’ale inaffi all’Hippogryfo
     Ch brami í vao hauere, o zucca o ſchifo

 [107]
Preſe nuouo conſiglio, e ſu il migliore
     Di vincer co altre arme il moſtro crudo
     Abbarbagliar lo vuol con lo ſplendore
     Ch’ era incantato nel coperto ſcudo:
     Vola nel lito, e per non fare errore
     Alla donna legata al ſaſſo nudo,
     Laſcia nel minor dito de la mano
     L’annel che potea far l’incanto vano.

[p. 113 modifica]


 [108]
Dico l’annel che Bradamante hauea
     Per liberar Ruggier tolto a Brunello:
     Poi per trarlo di man d’ Alcina rea
     Mandato in India per Melitta a quello,
     Meliſſa (come dianzi io vi dicea)
     In ben di molti adopero l’annello,
     Indi l’hauea a Ruggier reſtituito,
     Dal qual poi ſempre ſu portato in dito,

 [109]
Lo da ad Angelica hora: perche teme
     Che del ſuo ſcudo il ſulgurar nò viete:
     E perche a lei ne ſien difeſi inſieme
     Gliocchi, ch giá l’hauea preſo alla rete:
     Hor viene al lito e ſotto il ventre preme
     Ben mezo il mar la ſmiſurata Cete,
     Sta Ruggiero alla poſta: e lieua il velo
     E par ch’aggioga vn’ altro Sole al cielo,

 [116]
Feri ne gliocchi l’incantato lume
     Di quella ſera, e fece al modo vſato:
     Quale o trota o ſcaglion va giú pel ſide
     C’ha con calcina il montanar turbato
     Tal ſi vedea ne le marine ſchiume
     Il Moſtro horribilmente riuerſciato
     Di qua di la Ruggier percuote assai
     Ma di ferirlo via non truoua mai.

 [117]
La bella Donna tutta volta priega
     Ch’in van la dura ſquama oltre no peſti
     Torna per Dio Signor, prima mi ſlega
     (Dicea piangendo) che l’Orca ſi deſti:
     Portami teco: e in mezoil mar mi aniega
     No far ch’i vètre al brutto peſce io reſti
     Ruggier comoffo duqj al giuſto grido
     Slego la Dona: e la leuo dal lido.

 [118]
Il deſtrier punto, pota i pie all’arena
     E ſbalza in aria, e per lo ciel galoppa:
     E porta il caualliero: in ſu la ſchena
     E la donzella dietro in ſu la groppa,
     Coſi priuo la ſera de la cena
     Per lei ſoaue e delicata troppa:
     Ruggier ſi va volgendo: e mille baci
     Figge nel petto: e ne gliocchi viuaci.

 [113]
Non piú tenne la via come propoſe
     Prima, di circundar tutta la Spagna,
     Ma nel propinquo lito il deſtrier poſe
     Doue entra I mar piú la mior Bretagna:
     Sul litovn boſco era di querce ombroſe
     Doue ogn’ hor par ch Philomea piagna,
     Ch’i mezo haueavn pratel, co vna ſonte
     E quinci e quindi vn ſolitario monte.

 [114]
Quiui il bramoſo cauallier, ritenne
     l’audace corſo, e nel pratel diſceſe,
     E ſé raccorre al ſuo deſtrier le penne,
     Ma non a tal, che piú le hauea diſtefe,
     Del deſtrier ſcefo, a pena ſi ritenne
     Di ſalir altri: ma tennel l’arnefe
     L’arnefe il tenne, che biſogno trarre
     E contra il ſuo diſir meſſe le ſbarre.

 [115]
Frettoloſo, hor da qſto hor da ql canto,
     Confuſamente l’arme ſi leuaua:
     Non gli panie altra volta mai ſtar tanto
     Ch s’un laccio ſciogliea: dui n’anodaua
     Ma troppo e lúgo hormai Signor’ il cato
     E ſorſè ch’ancho l’aſcoltar vi graua
     Si ch’io differirò l’hiſtoria mia,
     In altro tempo che piú grata ſia.