Oreste (Euripide - Romagnoli)/Quinto stasimo
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coro
Strofe
Ahimè, amiche, ahimè, or fate strepito,
strepito ed urla si déstino
dinanzi alla magion, sí che l’eccidio
tremendo, negli Argivi orror non ecciti,
né dei Signori alla magione accorrano,
prima ch’io possa veramente scorgere
nel sangue immerso d’Elena il cadavere,
o nuova me ne rechi alcun dei famuli:
ché alcuni eventi son certi, altri ambigui.
Fu la pena che inflissero
ad Elena gli Dei, piena giustizia.
Ch’essa l’Ellade tutta empie’ di lagrime,
per il fatal, per il fatale Pàride,
l’Idèo, che tutta trasse ad Ilio l’Ellade.
Ma della reggia, ecco, i serrami stridono.
Tacete: uno dei Frigi esce: da lui
sapremo quanto nella casa avvenne.
Dalla reggia esce esterrefatto uno schiavo frigio.
frigio
Fuggii la morte, l’argivo brando,
coi barbarici sandali
il soffitto varcando
di cedro, e i dorici
triglífi, fuor dell’atrio,
lontano lontano,
o Terra, o Terra,
con fuggi fuggi barbarico.
Ahimè, dove scampare, amiche, ahimè?
Spiccherò il volo per l’ètra candido?
O per il ponto, cui l’Oceano
testa di tauro
fra le sue braccia serra
e recinge la terra?
coro
O Idèo, ministro d’Elena, che avviene?
frigio
Ahimè Ilio, ahimè Ilio!
O zollifertile
sacra montagna d’Ida,
o dei Frigi città,
come il tuo gemo
fato supremo,
levando funebri funebri cantici,
con barbare grida,
per l’alicígneo
fulgore augelligènito
per la beltà
della cucciola di Leda,
d’Elena, tracollo
dalle torri polite d’Apollo,
fatale Erinni!
Ahimè, ahimè!
Dardania infelice per gl’inni,
per gl’inni funebri,
Dardania, lizza di Ganimede,
che sul giaciglio di Giove siede.
coro
Di’ chiaro quanto nella casa avvenne:
da quanto hai detto ancor poco argomento.
frigio
Ahi Lino, ahi Lino! — cosí cominciano
le querimonie di morte i barbari,
nella lingua dell’Asia,
quando alcuno dei principi trafitto a terra cade,
per le ferree spade dell’Ade.
Se brami che ti noveri
i fatti ad uno ad uno, venner due lioncelli
de l’Ellade, gemelli.
Del condottiero celebre l’uno d’essi era figlio,
l’altro, figlio di Strofio, giovin di reo consiglio,
simile a Ulisse, maestro di frode,
fido agli amici, nella lotta prode,
di guerra intenditore, truculento dragone.
La sua quïeta astuzia i Numi sperdano,
ch’esso è un birbone!
Or questi, al trono presso ove la femmina
sedeva cui sposò Paride arciero,
stavan come pitocchi,
molli di pianto gli occhi,
un di qua, un di là,
tenendola nel mezzo prigioniera.
E d’Elena ai ginocchi
tendevano le mani alla preghiera.
Ed accorsero, accorsero di botto
i frigi famuli,
e, presi da sgomento,
l’uno all’altro chiedevano
se non ci fosse qualche inganno sotto.
Chi diceva di no;
ma a qualcuno sembrò
che avviluppata avesse
in una trama infida
la figliuola di Tíndaro
il leon matricida.
corifea
Dov’eri tu? Te la battesti súbito?
frigio
Com’è costume frigïo frigïo,
vicino ai riccioli
d’Elena d’Elena,
presso alla guancia
l’aura agitavo, l’aura,
con rotonda compagine
di penne, all’uso barbarico.
Essa il lino sul fuso
avvolgea con le dita
— ed il filato al suol cadea profuso —
intenta una purpurea
veste a filare, ordita
di frigie spoglie,
dono pel tumulo
che Clitemnestra accoglie.
E Oreste favellò
alla donna lacona.
«Orsú, di Giove figlia,
il tuo seggio abbandona,
a terra posa il piede,
vieni dell’avo Pèlope
alla vetusta sede,
a udir le mie parole».
E la guida e la guida; e dove ei vuole
lo segue Elena, ignara
di ciò che si prepara.
E il malvagio Focese
badava ad altre imprese.
«Non volete andar via,
Frigi, trista genia?»
E nella casa, chi qua, chi là,
ci chiuse tutti quanti,
chi ne le stalle
de le cavalle,
e chi nell’una e chi nell’altra stanza,
l’un dall’altro divisi,
tutti dalla padrona a gran distanza.
coro
E quale evento a questo poi seguí?
frigio
O Madre o Madre Idèa,
terribile terribile Dea,
ahimè ahimè,
empi scempi,
cruenti orrori
perpetrarono perpetrarono
nella reggia dei Signori.
Dal buio dei purpurei
mantelli, e l’uno e l’altro il ferro trasse,
un di qui, un di lí, rotando il ciglio,
perché nessuno s’avvicinasse.
E quali montani cignali,
stando innanzi alla femmina,
dicon cosí:
«Morrai, morrai!
Ti uccide il tuo tristo consorte,
perché tradí
di suo fratello il figlio,
che, in Argo andasse a morte».
Ed ella un grido, un alto grido alzò,
ahimè, ahimè,
e il bianco braccio al seno si batté,
e il capo misero
percosse percosse,
e in fuga col pie’
l’orma dell’aureo
sandalo mosse mosse!
Ma spinse Oreste il micenèo calzare
sulla sua traccia:
e nelle chiome le dita le caccia,
le piega il collo su la spalla manca,
e il negro ferro s’appresta ad immergere
entro la gola bianca.
coro
Ed in aiuto i Frigi non accorsero?
frigio
Al grido, per la casa, e porte e stipiti
con leve scassinammo, e ognun, di dove
stava rinchiuso, move,
uno impugnando
per l’elsa un brando,
uno un pietrone, un altro un giavellotto,
e ci facciamo sotto.
Ma ci vien contro Pílade invincibile,
simile, in tutto al frigio Ettore simile,
o al Telamonio dal cimiero triplice,
ch’io vidi, vidi alle porte di Priamo.
Noi, con le spade tese
venimmo a zuffa. E allora fu palese
quanto in valor, nell’impeto
di Marte, all’Ellade
la Frigia in forza cede.
Chi volge a fuga il piede,
uno è cadavere,
uno è ferito, quest’altro supplica
d’aver salva la vita.
Fuggiamo per tutta la casa,
dove c’è piú oscurità.
E chi soccombe,
e chi sta per soccombere,
e chi caduto è già.
Ed Ermïone misera,
in casa entrò, mentre cadea ferita
la sciagurata che le die’ vita.
Su lei balzaron pronti,
simili a Mènadi
senza tirso, che un dàino
ghermiscono pei monti.
Poi di nuovo si volgono
alla figlia di Giove, per ucciderla.
Ed essa, dai talami,
traverso i palagi,
divenne invisibile,
o Giove, o Terra, o Notte, o etereo Lume,
sia per virtú di farmachi,
sia per arte di magi,
sia per furto d’un Nume.
Quello che poscia avvenne, io non so dirvelo:
ch’io dalla casa i passi
fuggitivi sottrassi.
Gravi spasimi, spasimi,
Menelao sopportò sotto Troia,
e poca del ricupero
d’Elena fu la gioia.
Dalla reggia esce Oreste.
corifea
Vedi che ai nuovi casi un caso nuovo
s’aggiunge: Oreste a concitati passi
muove innanzi alla casa, e un ferro stringe.
oreste
Dov’è quegli che sfuggito dalla reggia è al brando nostro?
il frigio
prostrandosi.
Io t’adoro, e con barbarica foggia, o prence, a te mi prostro.
oreste
Qui non siamo in Frigia: questo che calchiamo è suolo argivo.
il frigio
Per chi ha senno, dappertutto piú d’un morto vale un vivo.
oreste
Queste grida per chiamare Menelao levavi tu?
il frigio
No: chiamavo al tuo soccorso: perché tu vali di piú.
oreste
Giusta morte, dunque, inflitta fu di Tíndaro alla prole?
il frigio
Piú che giusta, e avesse avute, da segarle, anche tre gole.
oreste
Per viltà m’approvi a chiacchiere; ma la pensi in altra guisa.
il frigio
Rovinò la Frigia e l’Ellade: non fu giusto averla uccisa?
oreste
Giurar devi che non parli per lusinga; od io t’uccido.
il frigio
Per la mia vita lo giuro: non so giuro altro piú fido.
oreste
Anche in Troia, i Frigi tanto sbigottia del ferro il taglio?
il frigio
Allontanalo: di morte troppo orrendo è il suo barbaglio.
oreste
Temi tu che a mo’ di Gòrgone ti pietrifichi la spada?
il frigio
Non conosco questa Gòrgone; ma ho timor che morto io cada.
oreste
Tu sei schiavo, e temi l’Ade, che affrancarti può dai mali?
il frigio
Della luce, anche se schiavi, tutti godono i mortali.
oreste
Dici bene: orsú, rientra: salvo t’ha la tua prudenza.
il frigio
Non m’uccidi?
oreste
No, sei libero.
il frigio
Soavissima sentenza!
oreste
Ma cangiar proponimento ben potrei.
il frigio
Parola sozza!
oreste
Stolto! E pensi ch’io mi degni di tagliare a te la strozza?
No; ché tu, se non sei femmina, neppur uomo dir ti puoi.
Io di casa sono uscito per troncare gli urli tuoi;
perché quando un grido suona, si ridesta Argo al momento.
D’affrontare con la spada Menelao, non mi spavento:
venga pure, sopra gli omeri sfoggi pure i ricci biondi:
se avverrà che con gli Argivi questa casa egli circondi,
per punir la strage d’Elena, e salvezza neghi a me,
ed a Pílade, congiunto mio, che meco la compié,
ei veder dovrà due morte: la fanciulla e la consorte.
Entra nella reggia.
coro
I vari coreuti pigliano la parola a volta a volta.
a
Antistrofe
Ahimè, Fortuna, ahimè, ché dei Pelòpidi
la progenie precipita
in un altro, in un altro agone orribile!
b
Che faremo? Annunciar dobbiamo l’esito,
o il silenzio convien meglio?
c
Il silenzio.
Dalla reggia cominciano a levarsi nuvole di fumo.
d
Non vedi? Il fumo, che per l’aria rapido
sale, innanzi alla reggia, or dà l’annunzio.
e
Levan, per arder la magion tantàlea,
le faci, e dalla strage ancor non cessano.
f
Regge il fato degli uomini,
regge, e lo spinge ove esso vuole, un Dèmone.
g
Grande potere è quello.
h
Un Nume vindice
nel sangue questa magion precipita,
poi che dal cocchio un dí piombava Mírtilo.
Giunge correndo e minacciando Menelao.
coro
Menelao vedi, che a questa reggia appressa il pie’ veloce.
Degli eventi qui seguíti gli pervenne alcuna voce.
A sbarrar non v’affrettate, o d’Atreo figli, le porte,
coi chiavacci? È formidabile l’uomo a cui ride la sorte
contro l’uom da sorte oppresso — come, Oreste, or sei tu stesso.
Irrompe Menelao.
menelao
Son qui: le audacie udii, l'orride imprese
di due leoni: ché non vo’ chiamarli
uomini. Udii che la consorte mia
morta non è, ma che scomparve: ciancia
senza costrutto, che inventata alcuno
ha, per timore. Son questi artifíci
del matricida, e assai degni di riso.
Apra alcuno la casa: ai servi impongo
che schiudano le porte, affin ch’io salvi
dalle mani di questi empî omicidi
la mia figliuola, e la mia sposa prenda
con questa mano onde convien che muoiano
quelli che ucciser la compagna mia.
Sul tetto della reggia appare Oreste che tiene ghermita Ermione, e le appunta la spada alla gola. Pilade e altri dei suoi servi reggono le fiaccole.
oreste
Ehi lí, non appressar la mano all’uscio:
dico a te, Menelao, che di superbia
vai torreggiando; o ch’io gli antichi merli,
opra d’artieri, frango, e con un masso
ti spezzo il capo. Son da leve dentro
chiuse le imposte, e s’opporranno al tuo
zelo d’aiuto; qui non entrerai.
menelao
Ahimè, che avvien? Di fiaccole un fulgore
vedo in cima alla casa, e questi, come
in una torre, asserragliati, e il ferro
su la gola sospeso alla mia figlia.
oreste
Che preferisci? Interrogarmi o udirmi?
menelao
Né quel, né questo; e udirti pur dovrò.
oreste
M’appresto, sappi, a uccidere tua figlia.
menelao
Strage su strage? Or ora uccidesti Elena.
oreste
Fosse! Gli Dei deluso non m’avessero!
menelao
Neghi? E cosí mi parli per dileggio?
oreste
Tristo diniego. Oh, se potuto avessi!
menelao
Potuto che? Terrore in cuor m’induci.
oreste
Scagliar nell’Ade quel flagello d’Ellade.
menelao
Dammi la salma, ch’io le innalzi un tumulo.
oreste
Chiedila ai Numi; ed io tua figlia uccido.
menelao
O matricida! Morte a morte addoppi?
oreste
Vendico il padre che tradisti a morte.
menelao
Non t’è bastato della madre il sangue?
oreste
Mai stanco mi farà magalde uccidere.
menelao
E insiem con lui l’ucciderai tu, Pílade?
oreste
Col silenzio acconsente. Io parlo, e basta.
menelao
Poco lieto ne andrai, se a vol non fuggi.
oreste
Non fuggiremo: arderemo la casa.
menelao
Degli avi tuoi darai la casa al fuoco?
oreste
Meglio che a te. Morrà nel fuoco Ermíone.
menelao
Uccidila; e dovrai morto espiarla.
oreste
Sarà cosí.
Fa’ l’atto di trafiggerla.
menelao
Ahimè ahimè, non fare!
oreste
Taci, e la giusta pena allor sopporta.
menelao
È giusto che tu viva?
oreste
E ch’abbia il regno.
menelao
Il regno dove?
oreste
In questa Argo pelasgica.
menelao
Veramente potrai con sante mani
toccar l’acqua lustrale!
oreste
E come no?
menelao
E l’ostie prima della pugna abbattere.
oreste
E tu far lo potrai?
menelao
Pure ho le mani.
oreste
Ma non il cuore.
menelao
A te chi parlerà?
oreste
Chi onora il padre.
menelao
E chi la madre onora?
oreste
È un uom felice.
menelao
Non sei quello tu.
oreste
Le femmine perverse a me non piacciono.
menelao
Scosta da Ermíone il ferro!
oreste
Il falso parli.
menelao
Ucciderai mia figlia?
oreste
Or dici il vero.
menelao
Ahi, che farò?
oreste
Convinci il popol d’Argo.
menelao
A che?
oreste
Chiedi che a morte non ci mandino.
menelao
Oppur mia figlia ucciderete?
oreste
Appunto.
menelao
Misera Elena!
oreste
Ed io non sono misero?
menelao
Ostia l’addussi a te dai Frigi.
oreste
Oh fosse!
menelao
Molte pene affrontai.
oreste
Tranne per me.
menelao
Tu mi soverchi.
oreste
E tu non m’aiutasti.
menelao
Tu m’hai còlto.
oreste
Da te còlto ti sei,
con la perfidia tua. Su dunque, Elettra,
il fuoco appicca a questa casa. E tu,
il piú assennato degli amici miei,
Pílade, brucia della casa i merli.
menelao
O di Dànao terra, o cittadini
d’Argo l’equestre, non spingete il piede
a soccorrerci armati? Alla città
tutta costui sopruso fa, per vivere,
poi che alla madre die’ morte esecrabile.