Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova/IV
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PER L’ARCIDUCHESSA
CRISTINA
D’AUSTRIA
in marmo
IV.
Umanità, pietà, generosità, tutte le amabili virtù, che Natura schiudendo i benefici suoi tesori di rado ai mortali concede, inevitabile punto ci rapisce per sempre; nè ad alleviare alquanto l’immenso nostro dolore altro rimane che la dolce memoria, o l’emblematica rappresentazione di queste care e preziose figlie del Cielo. E chi poteva meglio rappresentarci quelle dell’immortale Cristina Arciduchessa d’Austria, figlia di Maria Teresa, di colui, che ne ha i germi tutti nel cuore, nella mente l’archetipo, e nell’obbediente scarpello il più fido e felice esecutore? Il Duca Alberto di Saxe-Teschen, sposo (per rinchiuderne in una parola l’elogio) degno della consorte sua, potè in qualche modo confortare il proprio dolore dicendo ad un Canova: rendila tu nel marmo immortale, e risplendente qual essa fu sopra la terra, e qual essa lo è tutt’ora nel mio cuore; e fa’ che l’opera la più insigne, la più commovente e patetica che sia mai uscita dall’immaginoso pensiero e dal tenero cuore di Canova, pienamente corrisponda alla nobile brama d’Alberto.
Posta sopra un basamento, da cui sporgono innanzi due gradini, una Piramide di marmo di Carrara che si alza da terra circa trentadue palmi, ed è larga in proporzione, simile nella sua figura a quelle, che solevano erigere per la superba spoglia dei loro Re gli Egizj, forma, dirò cosi, il fondo di questo magnifico Monumento; e quattro gruppi la parte drammatica eloquentissimamente compongono.
Vedesi il primo a sinistra dello spettatore, e rappresenta la Virtù sotto le forme di una giovane matrona dignitosamente mesta, la quale, dopo di aver montati i due gradini diagonalmente ricoperti di un magnifico tappeto, si trova nel mezzo della Piramide, alla porta delle ceneri, sul di cui architrave sta scolpita la seguente iscrizione: christinae . avstriacae . alberti . saxoniae principis . conivgi . Essa appoggia la pura sua fronte sopra l’urna cineraria, che tiene divotamente con ambe le mani. I suoi lunghi capelli sciolti e sparsi sopra le spalle vengono raccolti da una emblematica corona di ulivo, che le circonda il capo. Vestita di una ricca tunica, dagli omeri le cade il peplo grandiosissimamente ripiegato, il quale stendendosi per tutta la persona le riveste sì anche le braccia, che accresce il rispetto con cui essa tiene l’urna contenente le ceneri dell’estinta sua amica. Queste ampie vesti che la ricuoprono, un emblema a me rappresentano di quella candida modestia, con cui le tante sue virtù, indarno però, di occultar tentava quell’egregia Donna. La sommità dell’urna serve di appoggio all’estremità di due belle ghirlande di fiori, dei puri fiori, che, con idea profondamente morale e religiosa, al doppio ufficio furono destinati di ornare il palpitante seno delle vergini spose, e il muto orror delle tombe. Scendono queste, e passano con grazia e con naturalezza per le braccia di due giovani Sacerdotesse, e cadono loro fino al ginocchio. Precede l’una, e l’altra siegue la Virtù. Arrivata al limitare della tomba la più giovinetta, che volge interamente il dorso allo spettatore, sta nel punto, piegando dolcemente il suo corpicciuolo, d’inoltrarvi il piede sinistro, quasi arretrandolo, pel naturale ribrezzo che sentir deve una fanciulla tristamente commossa nel punto d’entrare in un sepolcro. Onde illuminare a sè medesima l’oscurità di quel tetro sentiero, essa abbassa alquanto la facella che ha in mano e la testa per meglio vederci. L’attitudine di questa fanciulla, i suoi bei capelli sciolti che si spargono in simetriche masse, il suo semplice ed elegante vestito, il suo passo modesto, tutto è così amoroso in lei, così pieno di grazia, che io non credo che matita o scarpello abbia mai destate senzazioni più tenere ed affettuose, senza il soccorso della eloquente fisionomia. L’altra di età alquanto maggiore, che mirasi di profilo, di un carattere semplicissimo, è acconciata e vestita come la sua compagna. Le braccia e le mani che in lei si veggono sono corrispondenti, per la loro bellezza e per la purità dei loro contorni, a tutto il restante della bellissima persona. Segue essa la Virtù con divoto e mesto passo, abbassando il tenero suo volto verso il petto e le mani, con cui tiene una facella accesa, ed appoggiata sopra la spalla sinistra, per funebre pompa soltanto, e come colei che seguendo la Virtù d’altra scorta non abbisogna. Queste tre figure sono così meravigliosamente aggruppate, mercè l’unanime sentimento che le guida, le ghirlande di fiori, ed il tappeto sopra cui sono collocate, che sole basterebbero a formare uno dei più bei monumenti che veder si potesse.
L’altro gruppo, non meno, anzi forse più del primo commovente, che a qualche distanza ed a guisa di processione, gli vien dietro, è composto da una giovane, che alla soavità del suo bel volto, ed al pietoso suo ufficio si ravvisa per la santa Beneficenza. Semplicemente da un Greco vestito ricoperta, e nuda solo la metà inferiore delle braccia, una fascia a tre giri le ravvolge leggiadramente i capelli, lasciandone uscire nella sommità della testa alquante ciocche oltre modo graziose. In questa eloquente figura lo scultore ad emular giunse il poeta, perchè la più sublime poesia nulla di più affettuoso direbbe, che già detto e scolpito non venisse tosto nel cuor d’ognuno che ammira questa donna di Paradiso. Ha essa già montato il primo gradino, e tiene dolcemente e mestamente alquanto ripiegata la graziosa sua testa verso la terra; ed in terra pure tiene fisi gli occhi, quasi che non osi alzargli, e vedere tanto suo danno. Con bell’atto pietoso ha le mani abbandonate in croce sotto del seno, e porge il braccio diritto ad un povero vecchio cieco, che ricurvo seguendola, nel di lei braccio ospitale ha già passata la mano sinistra con cui tiene la sommità di una ghirlanda di fiori, onde farne offerta alle ceneri di Lei che più non è, mentre con la diritta s’appoggia ad un bastone, ed in quello fa forza per montare il primo gradino che alla tomba conduce. Egli s’avanza con quel passo lento ed incerto ch’è proprio del suo misero stato; e rivolgendo la faccia, sopra cui sta dipinta la dolente anima sua, verso il sepolcro, ove sente inoltrarsi la funerea pompa, par che dica, in lei tutto ho perduto. La interessante fisionomia di questo vecchio, le sue forme appassite ma non ignobili, la squisita sensibilità che dimostra, tutto ci avverte ch’egli non nacque nello stato abietto in cui lo vediamo: e questa trista riflessione, che accresce la compassione ch’egli ci desta, viepiù riesce sensibile a noi viventi del secolo decimottavo, risvegliando nella nostra mente mille tetri fantasmi, e mille amare reminiscenze. Il di lui vestito è composto di un grosso panno, che, attaccato alla spalla destra ed allacciato ai lombi, lo ricuopre dalla cintura fino poco sopra al ginocchio. Al manco lato gli sta presso una bambina, che, malgrado la tenerella sua età di soccorso pur essa bisognevole, serve a reggerlo in piedi, facendogli quasi puntello alla coscia sinistra, nell’atto che l’alza per montare il gradino. Questa innocente fanciulla semplicemente acconciata, e non meno semplicemente vestita da una leggera tunichetta, che assettata sotto del petto le ricuopre solo la metà inferiore della persona, tiene l’afflitto suo volto alquanto inclinato al seno ed alle mani, che ha giunte in atto di chi priega; e stringe con esse l’estremità di quella ghirlanda di fiori che cade dalle mani del vecchio. La soave Beneficenza, che ci rappresenta questo patetico gruppo, è vicina a quelle due estreme e penose età della vita, che tanto del di lei soccorso abbisognano; e sono una felice e parlante allusione di quella sollecita e vigilante virtù, che più d’ogn’altra distingueva la Principessa Cristina. Una ricca ghirlanda di fiori, che giace a terra, riunisce il breve spazio che resta fra il primo e questo secondo gruppo, il quale occupando il gradino inferiore, forma una bella linea diagonale, che, dopo aver soddisfatto pienamente il cuore, l’occhio pure meravigliosamente soddisfa.
Dall’opposto lato a dritta dello spettatore, e sopra il gradino medesimo che fa base al primo gruppo, si vede un magnifico Leone giacente, che appoggia il largo suo mento sopra le zampe che tiene incrociate, rivolgendo alquanto la testa grave della più dolorosa espressione verso la tomba, in atto di avvertirci che di quella vuol essere il fido ed eterno custode, come pure dello stemma della Principessa, il quale appoggiato alla parete della Piramide viene a collocarsegli presso la testa. Sopra il secondo gradino sta seduto, un Genio, il quale, gettata la sua clamide sopra il dorso del Leone, su quello s’abbandona mestissimamente, tenendo sopra la giuba ripiegato il braccio diritto, onde la mano gli serva d’appoggio alla faccia, che su quello lascia languidamente cadere; e stende la sinistra sopra lo scudo gentilizio della Casa di Sassonia, posto fra il primo ed il secondo gradino, in atto di additarci che a quella egli appartiene. I suoi occhi sono dolorosamente rivolti verso quell’urna che le ceneri rinchiude d’ogni passata sua gioja. Questo bel Genio di forme veramente celesti occupa con tutta la persona i due gradini della Piramide su’quali è steso, avendo un’estremità della clamide ripiegata in modo, che passando sopra la di lui coscia destra e sotto la sinistra, gli cuopre la metà della persona, si stende sopra tutti i gradini, e forma tappeto alle delicate sue membra. Essendo allusivo questo magnifico gruppo, nel Leone alla costante fermezza d’animo di Cristina, nel Genio sensibile al tenero affetto d’Alberto per essa, che nell’appoggiarsi al Leone pare che pur tuttavia alla di lei fermezza si raccomandi onde non soccombere al suo estremo dolore, non potea essere né più felicemente ideato, nè con maggior perfezione scolpito. Il Re degli animali dispiega qui la maestosa possanza delle superbe sue forme, ed il sentimento morale di dolore che non è straniero all’altera anima sua; mentre che all’eleganza dei puri contorni delle belle membra del Genio, ai suoi vaghi capelli che si dividono in anella, e gli adornano il collo gentile, alla sua dolce fisionomia, il Genio dell’amore, della riconoscenza, dell’amicizia, in lui si ravvisa.
Sopra la porta della tomba finalmente si vede il quarto gruppo, ben diversa scena rappresentante, e quale conviensi a Lei, che lasciato il terreno soggiorno sta per godere di un’eterna gloria. Scolpita in bassorilievo havvi la figura della Felicità, di grandezza naturale, che volando da sinistra a destra, e rivolgendo alquanto il dorso volando da sinistra a destra, e rivolgendo alquanto il dorso agli spettatori, tien sollevato il Ritratto vivo e parlante della Principessa formato a medaglione, e circondato da un serpente, simbolo dell’eternità. Questa amabile figura, come appunto la felicità medesima, non puossi adeguatamente descrivere. La leggerezza della sua mossa, il bel carattere della giovinetta sua testa, l’ovale grazioso del sereno suo volto, i suoi vaghi capelli che sopra la testa leggiadramente si annodano, e che poi sciolgonsi all’aria, le mani vezzose, i piedi, e per fino la leggiadra sua veste che in ondeggianti pieghe l’aria volge e rivolge in mille maniere diverse, tutto è del gusto il più scelto, della più felice esecuzione. Dall’opposto lato un vago Genietto lietissimo le porge la palma della gloria alle sue virtù ben dovuta.
Favorita dal Cielo per gli aurei suoi doni sparsi sulla felice tua culla, favorita dal Cielo, pur sei nel tuo sepolcro, o Cristina, ove sì belle e risplendenti stanno le tue Virtù, mercè le quali innamorando altrui, giovar t’è dato pur fino oltre alla tomba: quella tomba, ove le fredde tue ceneri verranno riscaldate mai sempre dalle lagrime dì tenerezza per Te, d’ammirazione per Canova, da chiunque vive divoto d’ogni bell’arte e della più pura virtù.