Nuovi poemetti/I filugelli
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I FILUGELLI
canto primo
Con chi partisci quell’esigua messe?
La deve qualche luccioletta avere,
3che ti fa lume? o il ragno, che ti tesse?
o la formica? Le formiche nere
t’han fatto il mucchio, che somiglia un poggio?
6E mezzo devi il grano del podere,
e lo misuri: e il tuo ditale è il moggio.
T’han fatto, o Rosa, le formiche il mucchio.
Ora partisci, ben che sia d’aprile;
10San Marco, appunto; quando il gelso è in succhio.
E il tuo grano è una polvere sottile
e sembra nato tutto in una zolla...
13Lo tribbiò il grillo dentro il suo cortile,
e la vanessa ventilò la lolla.
Te lo tribbiò le lunghe sere il grillo
trillando acuto... Oppur codesto grano
17tu l’hai mietuto al regamo e al serpillo?
O scosso t’hai nel cavo della mano
l’urna del fiore dell’oblio, del fiore
20del dolce sonno? Vi s’udiva un vano
scrosciar di pioggia in un lontano albore...
E tu vuoi dunque seminare il sogno
del rosso fiore? Non è tardi? È molto
24che cadde il fiore al melo ed al cotogno.
Fiorisce il grano già da te sepolto.
Pendono ai rami i pomi verdi e lazzi.
27Fiorisce l’uva; e dal ciliegio folto
pendono bianche le ciliegie a mazzi.
Ma tu ti sganci il candido corsetto,
o bionda Rosa. Fuori è chiaro il sole,
31e due colombi tubano sul tetto.
Ti slacci il busto. Odore di viole
bianche è nell’orto. Oh! lascia come prima!
34Bello è come è. Non altro fior ci vuole.
Ci son due bocci ch’hanno il rosso in cima...
Non chiudere entro il bianco petto, o Rosa,
il fior del sonno. Non la notte e il giorno
38costì si veglia e mai non si riposa?
Ma senti a un tratto scalpicciare intorno
alla tua casa... Ora le lievi trine
41tu lieve agganci, ed il corsetto adorno
richiudi, a un grido delle tue vicine.
Chiamano: Rosa! A doppio le campane
suonano. Andate! Va con l’altre a schiera:
45prega da Dio la cara pace e il pane.
Peregrinando suoni la preghiera
per campi e selve, e per le vigne e gli orti.
48Ristate, o litanie di primavera,
avanti a croci, qua e là, di morti!
Appiedi, o Rosa, delle vecchie croci
prega anche tu: che venga alle su’ ore
52il grano e l’uva, e le gioconde noci
e le castagne; per il dolce amore
tuo, per quei morti, che non sai chi sono...
55Prega! Pregate che sfiorisca il fiore,
che il bello passi ma che lasci il buono.
Ai morti ignoti hanno pensato, ed anche
al seme chiuso che lor è sul cuore,
59covato già da due lievi ale bianche...
E vanno via le vergini canore
e il canto lor si perde nella valle.
62Cantano lontanando: Non si muore!
E poi: lo sanno insino le farfalle!...
canto secondo
Nati! Son nati nel tuo petto i semi!
Ah! che son bruchi, squallidi di pelo,
66neri, infiniti! Ma tu già non temi.
Tu cauta e pia nel piccolo suo telo,
in un paniere, adagi il tuo tesoro;
69e su vi spargi lievemente un velo
di foglie trite e di germogli d’oro.
Chè savio il gelso come se c’intenda,
ha messo a tempo. Ed ora ogni quattro ore
73tu recherai la piccola profenda,
al lor presepe, nell’ugual tepore
della tua stanza; ed essi pasceranno.
76Ma ecco, un dì, non toccano più fiore:
noia li prende; alzano il capo, e stanno.
Dormono. Or tu non romperai quel sogno
che forse fanno. Non portar più frasca;
80che non d’altro che d’aria hanno bisogno.
Un giorno; e par che il gregge tuo rinasca.
Par nuovo. E tu gli porgi qualche cima
83fresca a cui salga il nuovo gregge, e pasca;
e lo tramuti dal panier di prima.
Cerca tre volte tanta una canestra:
prendi i germogli con sur ogni foglia
87appeso un branco, e ponili giù destra.
Tre volte tanto mangiano. E tu spoglia
per loro i rami e spicca verdi i germi.
90Mangino. In capo de’ sei dì la voglia
del cibo è queta: alzano il capo, e fermi!
Dormono. Il corpo a qualche cosa attorno
hanno legato con sottili bave
94come di seta; e dormono un gran giorno.
Alfine ecco si svolgono dal grave
sonno, rifatti. Ed ecco a cento a cento
97li cogli a un ramo, e poni giù soave
in una stuoia il tuo cresciuto armento.
Tre volte tanto brucano foraggio
così cresciuti. Ma tre volte tanto
101verdeggia il gelso al puro sol di maggio.
Due rose aperte tu porrai da un canto.
Sognino nella stanza solitaria
104d’essere in Cina, i bachi, e per incanto
errar sui gelsi tra i color dell’aria!
Dormono... Ebbene: tristo sogno è il loro.
Ma no: vegliano, e sembrano, all’aspetto,
108in doglia grande od a crudel lavoro.
Non vedi come il torvo capo eretto
per tutto un giorno dondolano stanchi?
111Póntano i piè’ di dietro, alzano il petto,
e di sè stessi escono puri e bianchi.
Ora in tre stuoie li porrai, nè ora
più dalle rame sgrapperai le fronde.
115Porgi la rama florida, che odora.
Non le hai deposte ancora, eccole monde.
Ma tu gli alunni muterai dal primo
118letto, più volte, o almeno all’ultimo, onde
l’ultimo sonno non s’invìi sul fimo.
Dormono... O Rosa, siediti; chè giova.
Dormono alfin la grossa i filugelli
122che tu tenesti, nel tuo seno, in cova.
Ma tu mondi olivagnoli, e fastelli
scuoti, di cesti; vieni e vai; ti spicci,
125ti studi, entri, esci, apri, alzi, e sui castelli
tacita e grave stendi altri cannicci...
canto terzo
Or sì, conviene ai gelsi bianchi, ai mori,
dare il pennato, e portar foglia a fasci,
129con fruscìo grande e il fresco odor di fuori!
Ma su le prime indugi un po’; nè lasci
che il gregge impingui, e se ne perda il frutto:
132attenta, accorta, a man a man li pasci
più largamente, fin che indulgi il tutto.
Ed ecco allora nell’opaca loggia
piena di verde, uno scrosciare uguale,
136un grosso allegro strepito di pioggia.
Sembra l’oscurità d’un temporale
che fa fuggire con le falci in pugno
139le villanelle... Invece le cicale
cantano al sole, al nuovo sol di giugno.
Canta, nel sole immersa, la calandra
che inebbria il cielo. Tu tra i tuoi castelli
143nella fresca ombra vegli sulla mandra.
Di quando in quando vengono i fratelli
portando rami striduli a bracciate:
146entra con loro il canto degli uccelli,
entra con loro il soffio dell’estate.
Ma sazi alfine i tuoi voraci allievi,
or l’uno or l’altro, lasciano la foglia.
150Erano pigri, agili sono e lievi.
Vagano spinti da non so qual voglia.
Talvolta alcuno qua e là s’arresta.
153Sembrano ciechi che da soglia a soglia
vadano tentennando con la testa.
Tu sai, tu vegli: a tempo tu facesti
nella tua selva, o Rosa, quando c’eri
157pei primi funghi, irsute stipe e cesti.
Rami d’ulivi, anche di meli e peri,
anche di viti, tu serbasti insieme,
160e, quali alberi, piccoli ma veri,
gambi di rape, dopo colto il seme.
Di questi rami ed alberi minori
alzi in un tiepido angolo tranquillo
164un bosco secco senza foglie e fiori.
— Che rifiorisca? — par che rida il grillo.
Non ride il ragno: egli fa pur le tele!
167Nè l’ape ch’ama il regamo e il serpillo:
tutto può darsi; ella fa pure il miele!
Vanno inquïeti, contro lor costume.
Qual monta i ritti, qual s’appende al muro.
171Traspare il corpo, se si spera al lume.
Più nulla è in loro, che non sia futuro.
Par che la bocca un fil di luce aneli.
174Il verme è mondo, il verme è tutto puro...
O Rosa, è puro, e cerca ove si celi.
Prendili, o Rosa, con le rosee dita:
portali al bosco. Dentro pochi giorni
178l’arida selva rivedrai fiorita.
Vai dal castello al bosco, poi ritorni
dal bosco lieta al tuo castello: lieta,
181che l’un si vuoti e l’altro già s’adorni
di biondi grandi bozzoli di seta.
Non più castelli, o Rosa: altro non resta
che il bosco brullo. Or tu siedi romita,
185pensi all’amore, un po’ lieta un po’ mesta.
Dal bosco morto viene un’infinita
romba nel gran silenzio sonnolento.
188Tra le sue rame odi un ansar di vita...
le già sue foglie odi stormire al vento.