Novelle (Sercambi)/Novella XXXIIII

Novella XXXIIII

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Novella XXXIII Novella XXXV
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XXXIIII


Giunti a Todi lo preposto colla brigata avendo udito la dilettevole novella e il savio modo tenuto per madonna Linora, voltatatosi a l’altore commendando la novella e dicendoli che una n’ordinasse per lo seguente dì che hanno a caminare verso Narni, ma prima dica qualche cosa morale, con reverenzia l’altore rispuose che di bella novella e di tutto contenterà la brigata.

E venuto la mattina, disse:

«Io mi specchio per vedermi bella,
con amor spesse volte rido e piango,
lusuriando come il porco in fango».

E poi l’altore rivoltatosi alla brigata disse:


DE VANA LUXURIA

<Di> monna Merdina vedova, de’ Buondalmonti di Firenze.


Fu nella città di Firenze in una contrada di frati predicatori una donna vedova nata de’ Buondalmonti, nomata monna Merdina, assai giovana bella e molto vana. Visitando spesse volte l’ordine e la chiesa de’ ditti frati, divenne che doppo il molto visitar la ditta chiesa, uno frate fiorentino nomato frate Balasta, avendo veduto più volte la ditta madonna Merdina e piacendoli, ordinò certo modo di poter con lei aver suo contentamento. E per non far troppo lungo dire, il ditto frate ebbe contentamento di lei. [p. 159 modifica]

Or avenne che uno giovano nomato Lamberto de’ Monaldi, il quale con uno mercadante di panni stava, andando in Mercato Vecchio per certi denari a una taula per quelli dare al suo maestro, e passando da certo luogo dov’erano certi che giocavano, il preditto Lamberto fermandosi e già cognoscendo più tempo il giuoco, vedendo far le poste dicea fra sé stesso: «Primo mio». Teneasi a mente le volte e per ventura sempre venia il suo; e così fe’ molte volte. Di che lui disse: «Per certo se io avesse ora giocato io arei vinto molti fiorini». E pensò volersi provare: e presi i denari dal banco che portar dovea a bottega e venuto al gioco, senza pagarsene di neuna volta quelli denari perdéo.

Lamberto, che hae perduti li denari del suo maestro, per volere quelli riscuotere andò a uno usorieri et i panni del dosso salvo la camicia e le mutande impegnò; e co’ denari tornò al giuoco, là u’ quine tutto perdéo. Et essendo stato veduto d’alcuni, e minacciatolo di dirlo a Giannotto Menaldi suo padre et al suo maestro, per vergogna si partìo et andòne alla chiesa de’ frati predicatori, e quine si nascose montando dove stanno li organi. E quine dimorò senza mangiare o bere tanto che fu notte scura. E chiusa la porta della chiesa, Lamberto stava pensoso del fallo comesso et eziandio che mangiato non avea.

Il padre, che ha sentito come Lamberto suo figliuolo era stato veduto nudo al giuoco e non vedendolo la sera a casa tornare, pensò fusse vero e gran malinconia avea, ma non potea più.

Dimorando Lamberto in sul pervio più di du’ ore di notte, sentìo picchiare la porta della chiesa. Frate Balasta uscìo del chiostro per una porticella ch’era sotto il pervio et intrò in chiesa con uno doppione acceso, tutto solo, et andòne alla porta. E apertola, entrò dentro monna Merdina con uno mantello nero e sotto una gran coverta. E chiusa la porta, fra’ Balasta e monna Merdina se ne vanno presso alla porticciola che va in chiostro, e quando funno sotto il pervio disse il frate: «Or che è cotesto, monna Merdina?» La donna rispuose: «È uno buono cappone e tre pani bianchi et uno fiasco del mio moscatello, che vo’ che noi ceniamo acciò che meglio possiate mettere il soldano in Babilonia». Lo frate disse: «Madonna, queste cose sono buone, ma prima che [p. 160 modifica]di qui ci partiamo io vo’ mettere il soldano in Babilonia» (aveano costoro tra loro ordinato, quando voleano fare quel fatto, di dire: «Metti il soldano in Babillonia». E però il frate allora volendo saziare il suo apetito disse volere mettere il soldano in Babillonia). E la donna dice: «Deh, non fate, andiamo in cella e quine ceneremo, e poi potrete mettere il soldano in Babillonia quanto vorrete». Lo frate, che avea desiderio perché più giorni erano stati che ritrovati non s’erano insieme, disse: «Per certo, Merdina, noi metteremo qui il soldano in Babillonia». E spogliatosi lo frate la cappa e messola distesa in terra, e preso il mantello bruno della donna e simile distesolo in terra; la donna, che volontà magiore che ’l frate n’avea, sta contenta. E posto il cappone pane e vino da parte, gittatasi riverta in su que’ panni, disse: «Frate, ora metti il soldano in Babillonia».

Lamberto, che tutto ha inteso e veduto il cappone e l’altre cose, disse fra se medesmo: «Come lasserò io entrare sì fatto signore com’è il soldano in Babilonia che almeno non ci sia alcuno stormento?» E pensò sonare li organi. Lo frate, vedendo la donna riverta e la babillonia aperta: «Ora voglio metter il mio soldano poi che la babillonia è aperta». E gittatosi in sul corpo di monna Merdina, Lamberto preso i mantici dell’organi co’ l’una mano e co’ l’altra sonando, lo frate subito di paura per lo chiostro si fuggìo. La donna stupefatta della porta della chiesa uscìo, e perch’era presso a casa se n’andò in casa sua con grande tremore. lassando lo mantello cappone pane e vino, e ’l frate la cappa e lo candello acceso.

Lamberto, vedendo la chiesa voita, scese del pervio, l’uscio che andava in chiostro chiuse e poi la porta serrò. E preso il pane e quel cappone e diessi a mangiare (ché apetito n’avea), e di quel vino che n’arè’ beuto li angiori si riscaldò. E non molto steo che quel cappone e pane mangiò e quel vino tutto bevé, e poi la tovagliuola in che avea aregato involto il cappone e pane e ’l fiasco in sul pervio delli organi messe. E preso quel mantello e quella cappa, la mattina a l’usorieri la ’mpegnò per tanti denari quanti erano quelli che dal banco avea auti e per quelli che i panni erano pegni, e più fiorini du’ per uno paio di calze e cappuccio che si [p. 161 modifica]volea comprare, tanto che funno in somma di fiorini xx; <et> è tornato a bottega.

Lo frate, stato più ora tutto ismarrito in cella, tornò in chiesa per la cappa sua e quella non trovò. Trovò la porta della chiesa aperta e stimò fra sé la donna averla portata a casa: rimase contento sperando riaverla. La donna, che senza il mantello era tornata a casa, stimò: «Frate Balasta l’ha racolto colla sua cappa»; e pensò la mattina andare per esso.

Venuto la mattina, lo frate in su l’uscio della chiesa, la donna giunta disse: «Areste voi auto il mio mantello che iarsera n’andai senza?» Lo frate disse: «O voi la mia cappa che non l’ho trovata dove io la distesi e voi v’eravate suso?». La donna disse: «No». Lo frate disse alla donna: «E’ sarè’ bene che qualche vostro parente andasse al podestà acusare chi furato ha il vostro mantello, e che li piaccia rinvenirlo, dicendo che uno ladro v’è intrato in casa e dalla pertica lo ’nfurò. Et io andrò a l’usorieri et a’ ricattieri a sapere se si trovano venduti o impegnati». La donna dice: «Et io così farò».

E dittolo a uno suo cusino, subito se n’andò al podestà e tutto disse. Lo podestà di subito li diè la famiglia, et all’usorieri se n’andaron là u’ quine trovonno frate Balasta, il quale dicea a l’usorieri se a lui era stato arregato una cappa nuova: «Che stanotte mi fu furata». Lo cavalieri disse: «Et anco noi siamo venuti che a una buona donna è stato furato uno mantello nero nuovo da donna». L’usorieri disse: «Stamane per tempo ci fu regato uno mantello et una cappa dicendo che altri li l’avea dati per bisogno di denari, et holi prestato fiorini xx». Lo frate, che vede la cappa, disse: «Questa è mia». Lo fratello della donna disse: «Questo è il mantello di mia sorella». Lo cavalieri dice: «Chi fu quello che queste cose t’ha arregate?» Disse l’usorieri: «Fue Lamberto figliuolo di Giannotto Monaldi». Subito lo fratello della donna disse: «Ieri fu veduto nudo in camicia in Mercato Vecchio aver giocato molto: per certo lui dé esser desso». Disse il cavalieri: «U’ dimora?» Fulli ditto: «Col tale mercadante». Lo cavalieri senza tornar a palagio andò a bottega, là u’ Lamberto tornava, e quine trovato fu menato al podestà, dicendoli lui esser ladro. [p. 162 modifica]

Giannotto Monaldi sente che Lamberto per ladro è stato menato al podestà: subito con suoi consorti se ne vanno al podestà per sapere di Lamberto la convenenzia, dubitando Giannotto e sperando fusse vero, perché la sera dinanti li era stato ditto come nudo fu veduto in Mercato Vecchio. E giunti al podestà e richiestolo dimandando del giovano, lo podestà dice: «Egli è ladro, et hami confessato che quello mantello e quella cappa impegnò per fiorini xx e che i denari ha convertiti in suo uso, salvo che fiorini ii, de’ quali spera comprarsi un paio di calze et uno cappuccio. E questo è verissimo, ché l’usorieri lo confessa che lui fu quello liel portò». Lo padre di Lamberto e li altri parenti piangendo disseno al podestà che li piacesse di lassare loro parlare al figliuolo. Alle quali parole lo podestà disse: «Volentieri». E fe’ venire lo giovano.

E vedendo Lamberto il padre e li altri parenti piangere, disse: «O padre e voi parenti, perché piangete?» Lo padre e li altri disseno: «Perché tu hai fatto cosa che mai non dobbiamo esser contenti, e duolci assai che per ladro tu convegna morire, che mai neuno di nostra casa non fu ladro e tu ora se’ diventato. E questo è il dolore che noi portiamo». Lamberto disse al padre et a’ suoi parenti: «Per Dio, non piangete, che se ’l podestà mi vorrà fare ragione io <vi> farò contenti». Lo podestà dice: «Se altro non ho, Io ti farò apiccare». Lamberto dice: «Se ragione mi farete, voi non farete così». Lo podestà disse: «Come, puoi tu negare che ’l mantello e la cappa non abbi impegnato et in tuo uso et utilità li denari convertiti?» Lamberto disse: «O podestà, io vi prego piaccia cavar il mio padre di questi pensieri e li altri miei parenti». Lo podestà disse: «Tosto i’ ne li caverò ch’è fatto di te giustizia, ma non lassate questo dolore». Lamberto risponde: «Siamo alle <vostre> mani e se le miei ragioni non son vere, fatemi morire; se altramente trovate il vero, asolvetemi». Lo podestà vedendolo tanto aldace disse: «Et io ti servirò. Che vuoi dire?» Lamberto disse: «Mandate per la donna e per li suoi parenti e mandate per frate Balasta, e quando saranno alla vostra presenzia io dirò la mia ragione e loro diranno la loro. E se io non hoe ragione fatemi quello volete. E prego il mio padre e li altri parenti che a voi non [p. 163 modifica]debiano imputare che torto m’abiate fatto». Lo podestà, udendolo parlare tanto fermo senza paura, disse: «Io ti servirò, che mandrò per quelli che hai ditto».

E mandato per loro e venuti, e simile venuto l’usorieri co’ panni, lo podestà disse: «Che vuoi dire, ribaldello?» Lamberto disse: «Messer, quale sono quelli che a voi di me hanno ditto che io sia ladro et a loro io abia rubato?» Lo podestà rivoltosi a madonna Merdina disse: «A questa buona et onesta donna questo mantello involasti». E poi rivoltosi a messer lo frate Balasta disse: «Et a questo frate hai involato la cappa». Lamberto udito il podestà disse: «O messer podestà, quello che voi dite già nol diceno ellino, ma lassate dire a loro quello che io hoe fatto e non vogliate voi esser loro giudici, poi che giudici dovete essere s’i’ ho furato di farmi apiccare». Lo podestà e’ suoi giudici disseno: «Tu hai ragione». E voltòsi alla donna e disse: «Dite quello che questo ladroncello v’ha fatto». La donna disse come uno mantello dalla pertica li fu furato, «e trovato in pegno, come sapete». E poi al frate rivoltòsi: «E tu, frate, che dici?» Lo frate disse: «Messer, a me non è licito acusare altrui, ma tanto dico che avendo la mia cappa non curo d’altro».

Lo podestà, avendo udito la donna e ’l frate, disse a Lamberto: «Or che vuoi dire?» Lamberto dice: «Ora intendete me. Ma tutti vi prego che fine che io non ho tutta la mia ragione ditta, alcuni che qui stanno non si possino partire». Lo podestà fe’ chiudere le porti: «Omai ti difendi».

Lo padre e’ parenti di Lamberto con dolore stanno pensosi, dicendo tra loro: «Che vorrà dire?» Lamberto, avendo udito quello che la donna e ’l frate aveano ditto, rispuose: «Messer podestà, io rispondo e dico che io son degno d’ogni male, ma non per questo. E acciò che io sia da voi libero vi dirò tutto». Dicendo: «Io avendo ieri giocato alcuna cosa, per paura del mio padre in camicia mi ricolsi et apiatta’mi innel pervio delli organi de’ frati predicatori», E narrò tutto come di sopra ho contato: «E pertanto vi dico che se in sì fatte feste com’è metter il soldano in Babilonia uno buffone e sonatore merita aver du’ robbe come costoro per loro piacer mi dienno, e che sia bene che io le renda quello che donato [p. 164 modifica]m’hanno, vi dico che se a me faranno tanto servigio che sia quanto io a loro feci, io donerò loro du’ tanti».

Frate Balasta domandato al podestà licenzia del partire per andare a dire vespro, la donna vergognata disse: «Messer podestà, io mi penso lo mantello non esser mio». Lo podestà vedendo et udendo dire questa materia, al giovano disse: «E tu hai ben meritato questo e magior dono».

E licenziato frate Balasta e monna Merdina, con loro vituperio le mandò a casa e Lamberto libirò et a l’usorieri comandò che i panni rendesse a Lamberto per fiorini xx. Li quali doppo alquanti dì per lo padre funno riscossi che valeano du’ tanti. E monna Merdina fu Svergognata e simile frate Balasta, e Lamberto intese a ben fare lassando le cose che fatte avea.

Ex.º xxxiiii.