Novelle (Sercambi)/Novella XXXIII

Novella XXXIII

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Novella XXXII Novella XXXIIII
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XXXIII


L>o preposto avendo udita la piacevole novella, non avendo ancora fatto mezzo il camino di Todi disse e comandò a l’altore che non mancasse di dire bella novella durante tal camino però che vedea della novella ditta la brigata averne preso diletto e piacere, ma ben volea che prima dicesse qualche moralità. L’altore, vedendo la volontà del preposto, disposto a ubidire i suoi comandamenti e per far la brigata lieta et allegra, disse che ubidirà; cominciando:

«Io servo pura e casta mia persona
e tengo immaculata mia bellezza,
come fa l’armellino in sua bianchezza».

E poi voltandosi alla brigata disse:


DE PRUDENTIA ET CASTITATE

Di monna Lionora e di Salvestro da’ Fieschi di Genova.


F>u una onestissima vedova donna di Genova nomata madonna Lionora Grimaldi, la quale sopra tutte l’altre donne di Genova portava d’onestà e di castità nome (e ben che questo vi debia parer meraviglia, che in Genova si debia di tal donne trovare, vi dico che Idio può concedere grazia in ogni luogo, e però non è di meravigliarsi se costei in una sì fatta città si trovasse perfetta).

E stando questa madonna Lionora onestissimamente, non potendo però la sua bellezza nascondere che almeno quando alla [p. 154 modifica]chiesa andava le convenia la sua faccia mostrare — posto che andasse chiusa — , la quale più volte fu da uno giovano Dal Fiesco nomato Salvestro veduta. E tal veduta le fu cagione d’anamorarsi di lei per tal modo che ogni dì come esmemorato stava innella sua contrada e mai di quine non si partìa fine che la notte venìa. Madonna Lionora di ciò non dando pensieri, durò tale stanza più di iii mesi che madonna Lionora alla finestra mai non si puose.

Vedendo Salvestro che madonna Lionora non dimostrava sua persona, come disonesto pensò un giorno volerla vituperare alla presenzia di molti, e con ardimento alla chiesa, dove alcuna volta dell’anno andava per comunicarsi, abracciarla e con disoneste parole apalesare il suo pensieri. E questo tenne in sé.

Madonna Lionora, che di queste cose niente sapea, senza alcuna sospeccione alla chiesa n’andòe. Salvestro, sentendo esser alla chiesa andata, subito si mosse e trovò madonna Lionora a uno altare che dicea suoi orazioni ginocchioni mentre che la messa si dicea. Salvestro senz’altro dire acostatosi a lei et abracciatola e basciatola dicendo: «Poi che io dormì teco, non so che si sia stato la cagione che mai non m’hai voluto vedere. Or come, non ti servì io bene la notte, che sai che più e più volte ti diedi piacere?»; madonna Lionora fornito le suoi orazioni non pregiando quello l’avea fatto né eziandio quello dicea, ma ferma stando senza alcuno motto dire; le persone circustanti odendo dire Salvestro e vedendo tacere monna Lionora, tali pensavano esser vero e tali pensavano Salvestro aver fatto male, dicendo: «Vedi come monna Lionora sta ferma a suoi orazioni». E tutto questo dire udiva monna Lionora.

E ditto le suoi orazioni e ditto la messa, monna Lionora si levò essendo quine Salvestro che sempre la infamava et altri gentili donne et omini come hoe ditto, e chi ne pensava e chi credea che Salvestro dicesse il vero. Madonna Lionora si volse a Salvestro e disse: «Salvestro, Salvestro, per certo tu mi dèi aver avuta morta e non viva». Salvestro disse: «Come, non sai che viva t’ho auta e giamai non moristi?» Madonna Linora disse: «O io ho sognato o veramente tu». E partitasi, uscìo fuor della chiesa. [p. 155 modifica]

Salvestro, udendo quello ch’ella l’ha ditto, disse: «Per certo costei vuol che io sia seco»; dicendo: «Vedi con quanta onestà ha confessato che io ho avuto a fare con lei morta. E però io mi vo’ mettere alla prova d’esser con lei».

E un giorno come baldanzoso vidde l’uscio aperto, che la fante l’avea lassato perch’era andata a fare alcuna facenda: e saglito Salvestro in casa di madonna Linora et andato su a lei volendola manimetere, madonna Linora ciò vedendo, tenendosi a mal partito e non vedendo modo poter il suo onore salvare — dicendo: «Se io grido non mi sera creduto né anco a gridare non mi lasserà, e se io aconsento ho perduto mia onestà» — , e pensò subito dire a Salvestro alcuna cosa. E disse: «Salvestro, tu sai che mai di me non avesti a fare, e sai quanto m’hai vituperata in chiesa, però che a me facesti e dicesti quello ti sai, e come ti dissi tu aver avuto a fare meco essendo morta; e quello dissi perché in per certo fusse creduto. Ora veggo che hai l’animo disposto a volere la tua sfrenata volontà adempiere; e pertanto ti dico che se desideri piacere, ora noi potresti avere, ma indugia alquanto et io ti caverò dell’animo questo pensieri con farti sazio della tua voluntà. E come ci se’ venuto te ne torna. E tu cognosci la mia fante: sono contenta che ora che la vedi li dichi tua volontà, et io, venendo il tempo, manderò per te». Salvestro parendoli aver fatto assai fu contento e partisi.

Monna Linora, venuta la fante, subito mandò per li parenti di Salvestro, dicendo loro: «Io veggo Salvestro a pericolo di morte, e perché s’è vantato di me, vi prego vogliate casticarlo e non riputare che io sia stata tanto sciocca che a me si sia acostato. Né mai s’acostò; ma se in altro luogo per le suoi cattive opere fusse trovato non se ne dia la colpa a Linora». Li parenti di Salvestro, che sapeano quanto Salvestro era di cattiva condizione, disseno a Linora che a loro ne increscea di quello che Salvestro avea ditto e che loro teneano lei per casta, e se male intervenisse a Salvestro li serà molto bene.

Madonna Linora, auto da’ parenti il loro pensieri, per cessare la sua infamia ordinò con uno ordine di frati che come morisse una femmina, che piacesse loro condurla in una casa d’una sua vicina. [p. 156 modifica]Li frati, che madonna Lionora teneano per santa e che da lei aveano buone offerte perché era ricca, promissero. E non molti dì passarono che una giovana moglie di uno barcaiuolo morìo et a’ luogo di que’ frati fue portata a soppellire. Li frati ciò sentendo notificarono a madonna Lionora come aveano una giovana soppellita, che quando vuole l’arà. Madonna Linora subito mandò la fante a Salvestro che la notte rivegnente fusse innella casa della sua vicina, e quine serà Linora, e potrà di lei aver diletto: «Ma guardi bene che, come altra volta li dissi, che lui non abia a fare con una morta». La fante tutto intese.

Madonna Linora ordina che la fante si corichi innel letto dove la morta giace <che> fatta avea aregare e nuda in quella casa della sua vicina inne’ letto l’avea messa; et amaestrando la fante, dicendole: «A te non è cura che con Salvestro ti godi però che ogni dì tale opera fai, ma ben ti dico che senza lume, come li hai ditto, sarai. E senza favellare coricati insieme; e come lo vedi adormentato, acostali la morta a lato e tu colla nostra vicina ve ne venite in casa lassando<lo> innel letto».

La fante amaestrata si come madonna Lionora l’avea ditto, venuto la sera, innel letto senza lume e senza parlare, Salvestro, credendo esser con madonna Linora, si diè piacere colla fante, la fante dandoli di quello volea tanto che Salvestro s’adormentò. E uscita del letto, acese una lampana, uscìo di camera e colla vicina di monna Linora a ca’ di monna Linora amendue se n’andarono.

Salvestro, essendo acostato alla morta, Svegliandosi abracciandola sentendola freddissima e non muoversi, di paura saltò del letto, e preso uno lume et intrato innel letto per vedere monna Linora, trova esser morta. Stupefatto di paura tramortì <e> stiè, venendoli una terribile febra. La mattina li vicini tragano sentendo la vecchia gridare dicendo: «Omèi, io non sòe che in casa m’è intrato!» E tratto alla camera fu cognosciuto Salvestro dal Fiesco, e quasi morto stava al lato della donna morta. Venuto li parenti di Salvestro, confortandolo e volendo vedere chi quella femina morta era, fu cognosciuto esser quella che lo dì dinanti era stata soppellita. [p. 157 modifica]

Salvestro di paura stimò Idio averlo fatto per amor di monna Linora; e confessato il suo peccato et asoluto dal prete, passò di questo mondo et in una fossa colla morta fu soppellito. E per questo modo, Salvestro volendo isvergognare fu isvergognato.

Ex.º xxxiii.