Novelle (Sercambi)/Novella LXXXVI
Questo testo è completo. |
◄ | Novella LXXXV | Novella LXXXVII | ► |
LXXXVI
L>a prudenzia di Santo condusse con piacere la brigata all’ora del desnare in una villa bene de’ borghi piena, e in uno la brigata trovò aparecchiato. Lo preposto, sentendo il camino dubievole, dispuose che la sera s’aparacchiasse in quel luogo, dove comandò che l’altore contentasse la brigata di bella novella fine alla cena, senza che stormenti s’udisseno, ma prima dicesse qualche moralità. Lui presto disse:
«Io sono franca Magnanimitade
di sì alto e magnifico inteletto:
doppo il pensiero fornisco il diletto».
E poi l’altore, fatta la brigata condurre in un bellissimo chiostro, rivoltòsi a essa dicendo:
DE MAGNANIMITATE MULIERIS ET BONA VENTURA JUVENIS
Di Ciandro e de’ re don Alfons di Spagna.
N>el tempo che’ re don Alfons, re di Spagna, regnava, un mercadante di Barsellona chiamato Ciandro, uomo ricchissimo, venendo a morte, lassò du’ suoi figliuoli — il magior di anni xvii, l’altro di xv — di più di l mila fiorini ricchi. Morto il ditto Ciandro, rimasi li figliuoli — lo magiore nomato Passavanti, il minore Veglio — , inteseno a godere et a spendere in desnari cene bagordare per amor di donna, e tutte cose faccendo che si richiede a dovere consumare, non guardando che né come. E non mancando lo spendere senza alcuno guadagno, <e doppo> non molti anni la robba lassata loro dal padre mancando — intanto che alcune volte, non avendo di che, senza cena se n’andavano a dormire, e qual più era stato con loro aitare loro consumare la robba quelli più li fuggìa — , e vedendo Passavanti che di loro era fatto strazio e beffe, et anco perché niente aveano di mobile dove potesseno la loro vita sostentare, diliberonno andare in Ispagna là u’ pensonno aver qualche aviamento. <Passavanti> dicendo a Veglio sua intenzione. Veglio dice che li piacea. E fatto denari d’alquante loro massarizie, si partiron di Barsellona et in Ispagna caminano.
Et arivati in Sibilia, quine si concionno con alcuno mercadante con dovere avere certa parte di guadagno, e non molto tempo stèro che più di xx mila fiorini ebbeno guadagnato. Di che Passavanti disse al fratello: «Io voglio che tùe ne vadi in Barsellona con questi denari e di quelle cose che vendute abiamo ricomperai, e intendi alla mercantia acciò che noi possiamo ritornare innello onore che nostro padre ci lassò». Veglio disse ch’era contento d’andare, e Passavanti rimane in Ispagna.
Era questo Passavanti bellissimo quanto neuno che in Sibilia fusse, e con questo era piacevole oltra misura e savio. E dimorando Passavante in Ispagna, ogni dì in Barsellona rimettea denari. Veglio, che ritornato era, intendeva a godere, ritrovando di quelli che funno aitare consumar li primi denari; e non avendo freno allo spender li denari portati, gran parte n’avea consumati, sempre sperando che Passavanti ne li rimettesse. E aveaneli rimissi più di x mila oltra li primi.
E mentre che Passavanti dimorava in Ispagna, si mosse guerra tra lo re don Alfons e lo re Celetto di Granata. Per la qual guerra i guadagni che Passavanti facea funno perduti, et in sul capitale si vivea spettando che l’acordo si facesse, avendo sempre speranza, quando avesse consumato quello avea, ritornare in Barsellona in su quello che Veglio n’avea portato et in <su> quelli che mandati li avea (O Passavanti, che pensi poter tornare in Barsellona a que’ denari: certo veruno ve ne troverai per te, però che Veglio n’avea pochi a consumare!).
E durando la guerra tra que’ du’ re e non potendo venire a pace, per alcuni mezzani cercato l’acordo e non trovandolo se non con patto che lo re don Alfons desse Marzia sua figliuola bellissima di anni xv per moglie a re Celletto — il quale era pagano e vecchio di lx anni — , e altramente tal pace far non si potea; lo re di Spagna, vedendo che la pace far non si potea, arè’ consentito, per poter aver pace, di primo tratto, ma per non vituperarsi pensò di farlo assentire a Marzia sua figliuola; dicendole che pace far non si può se ella non sta contenta d’essere sua moglie, et aconsentendo, la pace serà fatta. Marzia, che ode quello che udir non volea, disse: «Padre, della pace fate come vi pare; di me faite quello che pare a me, e di tal marito non mi ragionate». Lo re isdegnandosi contra la figliuola minacciandola se non farà a suo senno che al tutto è disposto che moglie sia de’ re Celetto, Marzia donzella al padre niente risponde e pensa fuggire tale marito.
E subito a uno cavalieri de’ reame il quale l’avea più tempo amata, nomato messer Amon, narrò quello che il padre di lei far volea, dicendoli che se lui può trovare modo d’esser in corte di Roma per fare la dispensazione tra le’ e lui (perché era suo cusino) che altri che lui non l’arà. Messer Amon contento disse: «Io son presto». Marzia disse: «A queste cose vuole nuovo ordine: acciò che mio padre isforzosamente non me ne mandasse in Granata, e’ serà di bisogno, poi che <’l> vescovo di Tolletta è morto, che quelli calonaci facesseno elezione di me, et io a modo di vescovo a Roma caminerò e voi verrete meco; e faròmi chiamare il vescovo Marsilio». Messer Amon dice: «Voi avete ben pensato; et io arò subito li voti, e voi v’aparecchiate di quelle cose che vi piace e’ denari da spendere». E subito camino in Telletta e da’ calonaci ebe che Marsilio fusse vescovo, dicendo questo Marsilio esser suo nipote.
Fatto la elezione e le carri, ritornato messer Amon in Sibilia a Marzia aparecchiandosi per poter caminare; e mentre che tale aparecchiamento si facea, vennero léttore per fante proprio da Barsellona a Passavanti come Veglio suo fratello, avendo consumato ogni sua cosa, per disperazione una sera con una fune s’apiccò, e morto sarebbe se non che, la fante di casa gridando, fu dalla morte campato. La signoria ciò sentendo, Veglio prender hanno fatto, e se non ch’era d’antico parentado l’arenno apiccato, ma per amor de’ parenti la forca li levaron et a perpetua carcere condannato. Passavanti, che hae inteso come il fratello avea tutto il tesoro consumato e per disperazione volutosi apiccare et esser condannato a perpetua carcere, diliberò in Ispagna più non stare, con intenzione che se trova la cosa del fratello come la léttora dice, lui da divero con uno laccio apiccarsi per la gola in luogo che da altri aitato non potrà essere. E con tal deliberazione fe’ denari di tutto ciò che in Sibilia avea e messesi in <punto> per caminare di quine a tre dì.
Marzia donzella, ch’è fatta vescovo e vestita a modo di vescovo, volse che alquanti calonaci di Tolletta seco andassero. E fatto molte valigi di panni denari e gioielli, aparecchiato molta famiglia a cavallo, strettamente di Sibilia si parilo lo giorno innanti che Passavanti si movesse, venendo verso le parti di Italia senza che re don Alfons niente sapesse, né altri se non messer Amon a cui la giovana s’era allargata.
Passavanti, che ha tutto racolto, si mosse a cavallo, e tanto caminò faccendo buona giornata che giunse dove il vescovo nuovo Marsilio era arrivato, il quale era sposato in uno albergo con tutta sua brigata, là u’ Passavanti arrivò. E come fu innella sala dove lo vescovo era, subito Passavanti dal vescovo fu cognosciuto perché più volte l’avea veduto: e dimostratosi di non averlo mai veduto, lo domandò d’onde fusse e quale era il suo camino. Passavanti disse: «Io sono di Barselona e quine vo’ ire; e sono stato gran tempo in Sibilia dove ora è guerra grande e pace far non si puòe se i’ re don Alfons non dà Marzia donzella per moglie a’ re Celletto di Granata. E par che la fanciulla non sia stata contenta, e dove si sia andata lo re suo padre non sa, et ha fatto cercare e cerca tutta la Spagna per lei; e dicesi ch’ella n’ha portato di valente più di c mila doble e molti gioielli». Lo vescovo dice: «Io voglio che tu sti’ meco e vo’ che tu sii mio spenditore». Passavanti dice che non può, però che in Barsellona li conviene andare per traere uno suo fratello di prigione, che è condannato a perpetua carcere. Lo vescovo dice: «Tu verrai meco a Roma e poi faremo il camino d’Aragona e conteròti cavar il tuo fratello di prigione». Passavanti udendo questo steo contento. E fatto tesorieri e spenditore, caminano più giorni.
A venne una sera che ’l vescovo colla brigata capitonno in una villa innella quale altro che uno albergo era, innel quale erano capitati molti altri forestieri: nondimeno una cameretta per lo vescovo, con un letto di cortina fornito et altre cose orrevoli, fu trovata, e per li altri assai picciolissima cosa, che la magior parte, così calonaci come altri, innelle stalle, et anco stretti, dormire poteano.
La cena orevole, e messo il vescovo a letto e l’altra brigata, salvo Passavanti, il quale in sala coll’oste era stato per fare il conto e pagare acciò che la mattina caminar di buon’ora si possa; e pagato ch’ebbe l’ostieri, disse: «U’ dormo io?» L’oste disse: «In verità e’ non c’è luogo veruno, ché tutte le camere sono piene, e vedi che la mia donna e tutta la famiglia conviene in sala stasera dormire. Ma tu puoi far bene: io ti darò uno piomaccio con una carpita et in camera del vescovo in sul solaio ti concia; et altro miglior luogo non ci veggio». Dice Passavanti: «Come, non hai tu veduto che’ calonaci non ci sono voluti stare?» L’oste disse: «Deh, fa quello ti dico; noi vel metteremo per modo che ’l vescovo non lo sentiràe». Passavanti disse: «Io sono contento». Et aconcio i’ letto, l’oste di camera uscio et a dormir si puose. Passavanti piano si misse in su quello lettuccio.
Lo vescovo tutto sentito, avendo grande allegrezza di tal ventura, piano chiamò Passavanti dicendoli che inne’ letto dove lui era entrasse. Passavanti disse: «Io sto bene». Lo vescovo disse: «Io tel comando che qui entri». E Passavanti per ubidire innel letto entrò. Lo vescovo disse: «Passavanti, metti qua la mano». E Passavanti la mano distende. Lo vescovo la mano prende et in sul petto se la puone. Passavanti, che trova a modo di du’ meluzze, disse: «Che vuol dire questo?» Lo vescovo dice: «Passavanti, sappi che io sono Marzia figliuola de’ re don Alfons, e dìcoti, se vorrai, altri che tu non sarà mio marito, però, come ti viddi, tanto mi se’ piaciuto che amore m’ha stretta a perfettamente amarti. E non dubitare, ché di tutte tuoi aversitadi ti ristolerò; et acciò che vegghi che ciò sia vero, in fine avale vo’ che l’anello mi metti». E trattosi l’anello vescovale di dito, a Passavanti lo diè, e lui la sposò e poi si preseno diletto. E fu tanto il piacere che Marzia con Passavanti la notte si denno, che Marzia disse a Passavanti che ancora lo dì seguente aparecchiasse in quel luogo e la notte similmente dormissero insieme come fatto aveano. Passavanti levatosi la mattina et a l’oste ditto che aparecchiasse, dicendo alla brigata: «Il vescovo per oggi caminare non vuole»; e così si fe’ come è ordinato, e la notte similmente piacere si denno. E poi dienno a caminare tanto che a Roma giunsero.
E fatto fare la imbasciata al Santo Padre, di volere parlare, lo papa contento, il vescovo andato solo con messer Amon e con Passavanti, dicendo: «Padre Santo, posto che voi mi vegghiate vestito come vescovo, questo ho fatto perché altramente a voi non arei potuto venire. E pertanto, e la lezione e la veste è stato cagione che qui sono: e però sappiate che io sono Marzia, figliuola de’ re don Alfons re di Spagna, il quale volea che a uno che Cristo non adora mi maritasse, dando nome che la pace far non si potea. Di che io, udendo che a uno saracino e vecchio di lx anni maritar mi volea, deliberai che voi mi deste quello che a me è di sommo piacere, il quale meco ho condutto e quello voglio, e voi prego che in luogo di mio padre mi tegnate il dito, e lui, che qui presente è, sia contento che io sua sposa sia». Messer Amon, che sta colle orecchie levate presto a dir sì, spetta pur che ’l papa lo domandi. Era questo messer Amon di anni xl e più, et assai disutile della persona.
Veduto il papa la savia domanda e ’l savio modo preso, disse: «Et io son contento di tenerti il dito, ma non con cotesto abito, che licito non sarè’». Marzia, ch’era ita proveduta, disse: «Santo Padre, voi dite il vero che in sì fatta veste maritagio non si dé fare». E trattasela, rimase in una palandra dorata che parea una rosa, intanto che ’l papa disse: «Se al papa fusse licito di prender moglie, d’altri che di mia non saresti». E preso il dito a Marzia, le disse: «Eleggi». Marzia disse: «Costui è mio cusino, et è bene che a sì fatte cose si sia trovato: io eleggo Passavanti». Il papa, che Passavanti ha veduto, disse: «Donna, né miga se’ matt’a avertelo scelto bello come tu bella se’». Passavanti le misse l’anello, il papa li benedisse dicendo loro: «Crescete e multiplicate il vostro seme».
E prima che di quine Marzia si partisse, ordinò che ’l papa mandasse in aiuto a’ re don Alfons ii mila cavalieri, de’ quali, per ricompensazione che messer Amon non avea auto Marzia, lo fe’ capitano di que’ ii mila cavalieri. E simile ebbe léttore dal santo papa che lo re don Alfons fusse contento di quello che Marzia fatto avea. Apresso fe’ al signor di Barselona scrivere e comandare che Veglio fratello di Passavanti fusse delle prigioni dilassato; e tutte le ditte léttore funno osservate.
E messer Amon con que’ ii mila cavalieri e con Passavanti e con Marzia in Ispagna giunsero. E giunti, colle brigate cavalcarono a dosso a’ re di Granata e tutta sua brigata misero in isconfitta e lo re loro morto. E per questo modo si dilivrò quella battaglia e guerra.
Passavanti con Marzia si denno piacere. E sempre messere Amon, per la vittoria auta et anco per la ricompensazione che Marzia li volea fare, fu di continuo mentre che visse capitano generale. La signoria di Barsellona, vedute le léttore del papa, subito Veglio cavarono di prigione. E Veglio, sentito il fratello esser genero del re di Spagna, in Ispagna n’andò né mai poi patìo disagio di niente.
Ex.º lxxxvi.