Novelle (Sercambi)/Novella CVII

Novella CVII

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CVII


Giunta la brigata con piacere a Orbino, là u’ con canti e suoni cantarono in questo modo:

«E’ non è, donna, gioco
tener chi ama con lusinghe in foco.
Non sola pasce lo ’nfiamato core
la cosa amata per mostrarsi altrui;
ma che è quel che fa vivere? È amore;
amar chi ama è quel voler che lui.
Mercé! i’ son colui:
amando te i’ ardo a poco a poco».

E cenato, a posar si denno fine alla mattina che levati tutti fumo, il proposto a l’altor comandando che una novella dica fine che a Caj seranno giunti. Al qual e’ disse che fatto serà; e voltatosi alla brigata disse: «A voi, omini che prendete donne gentili essendo voi di bassa mano, quello che tali donne ordinano per adempiere il loro cattivo proponimento ad exemplo dirò una novella quasi simile d’una che messer Johanni Boccacci ne scrive»; incominciando in questo modo, cioè:

DE MALITIA MULIERIS ADULTERE

Innella città di Vinegia fu bellissima donna nomata Santina da Ca’ Baldù.

Nella città di Vinegia, più d’inganni piena che d’amore o carità, fu una bellissima donna nomata Santina, nata d’uno [p. 470 modifica]gentiluomo da Ca’ Baldù di ricchezza poga; la qual per non esser ricca il padre maritandola a uno mercadante fiorentino faccitore di panni, omo ricco e assai della persona apariscente nomato Ranaldo, il quale onorevilmente la menò faccendo bella festa. E stata mona Santina alquanto tempo con Ranaldo, cognoscendo sé esser nata di gentil generazione e vedendosi maritata a uno faccitore di panni, stimò tale uomo non esser degno di aver per moglie una gentile come lei, e pensò che Ranaldo con lei acostare non si dovesse se non isforzatamente, ed un altro che a le’ sodisfaccia trovar modo d’avere.

E <non> molti giorni la ditta Santina si steo che vedendo uno omo d’età d’anni xxx assai piacevole e gentile, il cui nome la ditta Santina < . . . . . . . . . . . . . . . . . . > et a lei andar li potesse venir fatto, stimò per certo non potere con onesto modo tale imbasciata mettere in efetto.

E crescendo l’amore e la rabbia a Santina di volere che il giovano amato sappia quello che desidera, dandosi a vedere dove il giovano amato usava, trovò che uno prete di San Canzano nomato prete Montone molto con lui traficava come amico. E posto giù ogni vergogna, Santina col prete Montone fe’ dire che confessare si volea. Lo prete presto si puose in chiesa a sedere, dove Santina da lui si confessò. Et auta l’asolugione, Santina disse: «Deh, santo prete, io vi prego che d’una seccaia, che a me di continuo ogni dìe viene, me la leviate da dosso, ch’è sì di necessità per salvare il mio onore che uno uomo, il quale si dimostra vostro amico, non riceva danno. E la cagione si è perché pare che altra donna non sia in Vinegia che io, a darmi tanta noia che Dio lo sa; e se non se ne rimarrà io serò costretta di dirlo al mio marito et a’ parenti». Prete Montone dice: «Donna, lassa fare a me che io li dirò tanto che di queste cose più non s’impaccerà». La donna, impietoli la mano di denari, a casa si ritornò.

Lo prete subito ebbe trovato l’amico suo a chi disse che facea gran male a dare tanta noia quanta dava a madonna Santina da Ca’ Baldù. L’amico scusandosi, lo prete dicendoli: «Tu non ti puoi scusare, ché ella medesma me l’ha ditto; e se non che io l’ho temperata, et anco me l’ha promesso di non dirlo a’ [p. 471 modifica]fratelli et al marito, che già t’arè’ loro accusato; e pertanto non vi passar pù». L’amico, che niente di queste cose sapea, fra sé stimò quello ch’era, dicendo al prete: «Io non vi passerò più».

E partitosi, subito per la contrada dove monna Santina stava se n’andò. Lei, che stava atenta a una finestra, vedendolo venire, con un dolce e bello sguardo lo guardò. L’amante, che di ciò acorto s’era, spesso di quine passava.

E non potendo madonna Santina sofferire lo ’ndugio, ma volere tosto l’opra ordita tessere, se n’andò al prete dicendo: «Messer, per certo quel vostro amico credo che abia il diavol a dosso, che poi che io vi parlai di lui più spesso che mai per la contrada è passato con fare assai atti disonesti. E più, che m’ha mandato una feminella con alcune imbasciate disoneste e con una borsa et una cintora, stimando che io si’ da pogo che delle borse e delle cintre non debia avere; ma grazia del mio marito io n’ho una cassetta piena, e vada a porger si fatte cose e parole a quelle che n’hanno bisogno e che sono triste come lui. E dìcovi, sere, che quella feminetta che a me mandò, io ne la rimandai colla borsa e co la cintora con mal suo grado. E se non che <non> volsi fare più che consigliata m’avavate, io l’arei ritenuta et a’ miei fratelli et al mio marito arei fatto assapere tutto. E poi che alla fante ebbi data la borsa e la cintra, la richiamai stimando che ella non se la tenesse et avesse ditto a l’amico vostro che io avuta l’avesse; e questo feci per potervela mostrare e che a lui la rendiate: prima che io suoi cose volesse, sosterei ogni gran peso di penitenza. E sòvi dire che della malanconia che mi venne, tutta notte sono stata con morti; et infra li altri mi parve vedere mia madre tanto difunta: dimandandola perché, mi disse: — Per lo dispiacere che io veggo che t’è fatto — . E però, sere, io vi prego che dichiate le xl messe di San Grigoro; e per l’anima sua tenete questi tre ducati et a quel maladetto li rendete la sua borsa e la cintra, e diteli che non tegna questi modi». Lo prete lietamente prese li ducati et alla donna disse che a lui lassase fare che aumilierè’ si l’amico suo che mai de’ suoi fatti non s’impaccerè’.

E partitosi la donna, lo prete ebbe l’amico dicendoli: «Deh, traditore malvagio, come m’hai attenuta la ’mpromessa di non [p. 472 modifica]passare quine u’ monna Santina sta; e più, che vituperosamente ti se’ a una femminetta appalesato a dirli quello che hai in pensieri, a mandarli una borsa et una cintra come se fusse di quelle del brocco, cattiva la vita tua! Che se ella l’avesse a’ fratelli et al marito ditto, oggi non saresti vivo. Et innel malanno tienti questa borsa e questa cintra e di lei non t’impacciare, che sai che in Vinegia di bontà non hae la pari». L’amico, che vede la borsa e la cintra et ode le parole che ella ha ditto al prete, disse: «Io cognosco bene questa borsa e questa cintra e cognosco che io ho fatto male: io noi farò più». Lo prete nel prega.

E non molti giorni passaron che Rannido, marito di Santina, per suoi bisogni a Bologna camino. E come fu partito, madonna Santina se n’andò al prete con lagrime assai gittando, dicendo: «Omai veggo che converrà che cosa che promessa v’abbia non atenerla, poi che <’l> diavolo del vostro amico m’ha preso a vituperare. E perché a voi ogni cosa dir posso, vi dico che non so da chi s’abbia saputo che ’l mio marito è ito a Bologna, che stanotte essendo innella mia camera, e per lo caldo avea una finestrella assai elta lassata aperta acciò che un pogo di oraggio innella camera dess’e nuda inne’ letto mi stava pensando alla visione che fatta m’avea quando mia madre viddi; e mentre che in tal modo stava, sentì alcuno romoretto alla finestra quasi per modo che <alcuno> dentro entrar volesse; et io, temendo che ladri fusseno per lo tesoro del mio marito, senza che di niente le carni mi coprisse, ignuda de’ letto uscì e chiusi quella finestrella per la quale mi parea che tale entrar dentro volesse. E fattami secura, alla finestra con una palandra alle spalli mi puosi per voler vedere e saper chi fusse. Et essendo la luna piena, quasi come se fusse stato di mezzogiorno, cognovi quel maladetto di chi tanto mi sono doluta essere con una scala venuto et alla finestra l’avea appogiata, né miga se ne serè’ infinto d’entrar dentro se io non fusse savia stata che, senza mettermi (com’ho ditto) alcuno vestimento, riparai (che molte serenno state a vedere quello che era e arenli dato agio, e come entrato fusse dentro, con onesto modo senza vergognarmi <non> l’arei potuto da me partire: certo a me era di necessità gridare o consentire al suo volere, la qual cosa mai [p. 473 modifica]non arei fatto se morta ne dovesse essere stata). Ora potete comprendere come la cosa sta. E vedendolo partire colla scala, la finestra chiusi e non con quella serrata che far solea la notte passata dormii, intanto che pogo sonno mi venne. E pur, passato alquanto della notte et ogni cosa quietata, lo spirito mio fatto suo corso, mi parve vedere che la mia madre mi dicesse: — Figliuola savia, le tuoi messe che hai fatto dire m’hanno molto allegerata la pena. — E così parendomi, vi prego che non restiate di orare per lei; et acciò che meglio possiate esercitare a tali orazioni vi doe questi iii ducati e pregovi che amaestrate l’amico vostro, ché mai per questi fatti più innanzi non vi verrò».

Lo prete lieto per li ducati e malcontento di quello che li ha ditto dell’amico suo, e licenziata <la donna>, non molto di lungi era la donna, quando l’amante giunse a prete Montone. Il quale come dinanti da lui fu, lo prete l’incorniciò a dire villania, dicendoli: «Traditore, or come hai ardimento di venirmi dinanti? A dire che abbi fatto contra tutto ciò che promesso m’hai, di non andare dov’è quella onestissima donna e più che beata; e tu come cattivo non curando né di Dio né del diaule, per seguire il tuo apetito cattivo, ora che sentito hai che Renaldo, marito di <madonna> Santina — che ben si può dire madonna la santa! — <è ito a Bologna>, una scala alla finestra della camera per dentro vituperosamente intrare appogiasti; né già non rimase da te che dentro non intrasti, se non che ella, donna savia, nuda di letto uscìo per chiudere alcuna finestrella acciò che dentro entrar non potesse; e se non che a me, come altra volta ti dissi, mi promisse di non dolersene, arè’ gridato. E tu, cattivello isvergognato, celare nol puoi, però ch’ella ti vidde per lo chiarore grande della luna, che ben m’ha ditto tutto ciò che facesti: che non potendo di celato dentro a lei entrare, la scala che portato avei in collo te la mettesti et innella malora te ne andasti. E pertanto ti dico, poi che a tuo senno far vuoi, io mi ti scuso, che a lei dirò che questa cosa non tegna più celata, e tu a me innanti non m’aparire».

L’amante, inteso il prete, fra suo cuore disse: «Questo prete ci va assai simplicemente, ché io veggo quello che monna San- [p. 474 modifica]Santina vuole». E disse al prete: «Io ho fatto male e penso far sì che quella buona donna non tornerà più a voi».

E partitosi, andò a vedere quella finestra e quanto era elta. Vedendo esser assai bassa, procacciò una scala e la notte rivegnente se n’andò a quel luogo dove misse la scala. La donna, che tutto vede, disse: «Ben ha fatto il sere la mia imbasciata»; e stava a vedere. Intanto l’amante giunse in camera. La donna entrata inne’ letto dicendo: «Chi è venuto per me godere, inne’ letto entri!»; l’amante allegro inne’ letto entrò e con lei si diè sommo piacere, ordinando tale andata per modo che spessime volte si davano piacere. Né mai la donna al prete per tal cosa ritornò.

E così si stenno avendo fatto giorgio quel santo prete.

Ex.º cvii.