Novelle (Cademosto)/Novella VI

Novella VI

../Novella V IncludiIntestazione 21 ottobre 2024 75% Da definire

Novella V

[p. 70 modifica]

NOVELLA VI.

Scipione Sanguinaccio padovano fa il suo testamento, e lascia ogni cosa del suo per Dio, tal che suoi figliuoli restano poveri. Galeazzo servitore di casa, morto il padre, fa rimettere così morto secretamente in una altra camera, et egli entra nel proprio letto, e fa testamento, fingendo d’essere Scipione; et rompe il primo, et a se medesimo ordina al notajo che egli abbia d’aver duo mila ducati.


Non è molto tempo che fu in Padova un gentiluomo, nominato Scipione Sanguinaccio, il quale la maggior parte del tempo di sua vita si diede talmente all’avarizia e miseria, che fu oltre modo tirato dal suo ansioso desiderio di prestare ad usura, volendo trasricchire, dando a se stesso via et nota sempre di pubblico e famoso usuraio. Il quale pervenuto alla sua estrema vecchiezza, infermò, [p. 71 modifica] ordinando il suo testamento. Et come quello che solea alcuna volta raccordarse delle infinite offese contro a Iddio commesse, perchè compunto de’ suoi peccati, cercò nell’ultima sua partita di placar l’ira d’Iddio, lasciando per elimosine la più parte del suo male acquistato a chiese, spedali, et altri luoghi pii. Per la qual cosa annullò quasi d’ogni sua faculta duo suoi figliuoli che aveva. Li quali udendo si fatta disposizione, oltra il dolersi del disamorevole padre, dopo più loro discorsi, si diedero a pregare alcuni più fidi amici di quello benivoli, che gli persuadessero di non voler togliere, per altrui dare, lo proprio loro sussidio; et che altrimenti ne venivano a perpetua calamità; e che la carità et elimosine cominciano da se stesso, et appo al suo proprio sangue. Le quali ragioni il duro padre non solamente non mossono, ma fecero lui si ostinato, che se dalla repente morte non fosse subito stato tolto, avrebbe loro altresi d’ogni rimasa facultà privati, sempre restando più saldo nel medesimo proponimento. Il quale, [p. 72 modifica] come a Dio piacque, di questa vita si passó. L’onde avvenne che la dannosa di sposizione di questo vecchio contro a’ suoi figli, innanti la morte di esso, pervenne agli urecchi d’un suo fido et antico servidore, il quale, dopo alcune appassionate parole, disse loro: M. Angelo, e voi Alberto, che così avevano nome, quando io intesi che il vostro padre, a me padrone, con si poco suo onore e lode, l’altr’ieri contro di voi fece uno sì inragionevole testamento, io non vi potrei dire quanta doglia ne ricevessi, considerando il vostro particolare affanno. Onde tra me pensando circa questo effetto mi sovvenne alla mente un rimedio, del quale, se a me confidentemente ne lasciarete la cura, spero che fie bastante di tanto intrico e pericolo trarvi con l’aiuto di Iddio. Questo voglio che sia, se ad amendui piacerà, che come egli di questa vita sarà uscito (che dubbio è non avvenga questa seguente notte), che senza strepito, nè saputa d’alcuno altro ma che di noi tre, con agevole et accorto modo operando, prima che niuno di casa [p. 73 modifica] qui tra noi non entri, e che la principal porta della casa stia serrata, poi così morto in un’altra camera lo metteremo; et io dappoi con mia sanità, per vostro servigio, nel letto ove egli prima il passato testamento scriver fece, mi porrò; al quale voi d’intorno farete guardie e orazioni, che a Iddio piaccia levare di tale infermitade e pericolo il vostro padre; e questa dimostrazione farete, acciocchè paia esso non esser morto ma vivo. Poi la mattina vegnente per tempo farete ritornare il notaio, che del passato rogossi, e con buon modo a vostro utile rifarò un altro testamento, tutto al primo contrario. Di che li giovani già afflitti e sbigottiti, sentendo tanto astuto et accorto consiglio, et una simile amorevolezza, dissero: Galeazzo, che cosi aveva nome, noi sempre ti abbiamo cognosciuto, lasciamo stare uomo d’ingegno e dabbene, ma ancora nostro affezionatissimo. Però se da te quello che disponi di fare riuscirà cosa che ci pervenga in utilitade, che tu ne avrai da noi la parte tua, nè giammai di ciò ti saremo [p. 74 modifica] ingrati. E queste e simili altre parole tra loro dette che furono, morto il padre, subito con li sovraddetti modi ordinati, fu in un’altra cameretta rimesso. Dopo seguito questo, il predetto Galeazzo entrando nel letto con le finestre della camera serrate, e bene ritirate le cortine, con un pochetto di lume d’olio, che pareva che ad ora ad ora stinguer si volesse, et questo a fine di non esser cognosciuto. Giunto adunque il notaio con li testimoni, Galeazzo già di prima nel letto coricato, con un berrettone in testa tirato infino in su gli occhi, con sommessa voce disse: messer Pietro, che così si chiamava il notaio, non avendo io più maturamente considerato l’altr’ieri nell’ordinare del mio testamento, chente e quale debba essere la bontà paterna verso i suoi figliuoli, et non fermamente aver sperato nella misericordia d’Iddio, credendo via più essere a salute dell’anima lasciare altrui il mio, e torlo a’ miei figliuoli, onde meco medesimo mi sono consigliato e consiglio, disposto tutto il contrario a quello che scritto avete, ma che essi siano universali eredi di [p. 75 modifica] tutto quello che con tanto sudore per loro faticosamente hommi acquistato, acciò non abbino a restar sì poveri. E però scrivete che tutto il mio stabile e instabile sia il loro. Et appresso lascio e voglio che Galeazzo nostro antico servidore, per la sol lecitudine e servitù, quale avemo sempre in esso cognosciuta, ch’egli abbia d’avere del mio ducati duo mila, et che la metà gli si diano questo Natale prossimo che viene, e gli altri mille alla Pasqua di Resurrezione. Onde li figliuoli che si stavano in un’altra camera ivi a quella aggiunta, udendo che Galeazzo ordinava una sì fatta stratagemma, con fargli stare in duo mila ducati, vennero di quella fuori, e dissono: padre, tutto quello che disponete di lasciare dopo voi, è in vostro arbitrio, perocch’egli è tutto vostro, sicchè disporre ne possete come vi piace; ma a noi parrebbe che si facessi con quel modo che ricerca il debito e l’amore del vero padre. Noi sappiamo molto bene che Galeazzo merita per la sua servitù esser premiato e da voi e da noi, ma non forse di tanto quanto ordinate nel vostro [p. 76 modifica] mento. Pure perchè siamo sempre per ubbedire, ogni vostro desiderio e volontà sarà osservato; ma quando Galeazzo ne avesse mille, vi si potrebbe stare per l’una e l’altra parte. Alli quali il padre posticcio rispose: or hasta, io voglio così, abbiate pazienza; io non posso mancare per molti rispetti alla vera e frequentata servitù con venti quattro anni di Galeazzo. A cui essi risposero: certamente, padre, che voi ci fate torto. Alli quali Galeazzo mezzo che sdegnato, disse: voi andate cercando di farmi adirare, e che io mi levi questa berretta di capo, et esca di cotesto letto. Li quali udendo l’ultima intenzione del posticcio padre, mal grado loro, non feciono più parole. L’onde esso fornito l’astuto testamento, il quale in parte e non in tutto ad Angelo et Alberto non piacque, perocchè essi dissero a Galeazzo: veramente tu ti sei verso noi con molto inganno, e come a te è piaciuto, diportato; cosa che mai non avremmo creduto, non che fatta, ma pensata avessi. Onde non poco ti sei dimostrato esserti di noi fidato, ordinando tu medesimo in cotal guisa ogni [p. 77 modifica] tuo acconcio, e a tuo proposito, come se proprio nostro fratello fussi stato. Bene sapevamo che la tua servitù meritava esser guidardonata da fedel servidore, ma non già da parente: ma poichè così ti è piaciuto, sia con Dio. Alle quali parole Galeazzo pieno d’isdegno, rispose: M. Angelo, et voi M. Alberto, non poco mi ho a dolere di voi, non aspettando io d’un tanto beneficio una sì fatta ingratitudine riportarne, dolendovi di me, come di un vostro rubello. Et che non da servidore, ma da fratello mi sia diportato, rispondo, che non solo da fratello, ma da padre amendui vi ho trattato et giovatovi. Et di me vi rammaricate in cotal guisa, avendovi io, col mio ingegno et amor che vi porto, recuperato il valore d’intorno a dodici mila ducati; e per avermene io fatto parte di duo mila, così agramente vi dolete; cosa che far non dovresti, tutto che mai ch’io non avessi avuta altra servitù con voi, ma solamente avervi levato di tanta angustia et affanno. Ma poich’io ho inteso la discortese openione vostra contro me dital talento, io vi chieggio buona licenza, [p. 78 modifica] perocchè più non intendo stare con voi, ma farete apparecchiarmi, con il tempo ordinato, di soddisfarmi di quello che vi ho chiesto per la mia passata servitů, esortandovi sopra tutto, che non sarà se non bene et utile et vostro e mio, di tenere segreto quello che si occultamente insieme tramato abbiamo. Onde sarò sempre sforzato esservi buono et affezionato servidore, e mi vi raccomando. Al quale promissono che alli dovuti termini per esso ordinati, avrebbe da loro li duo mila ducati, ma non troppo volentieri. Però ciascuno padrone et signore procuri di farsi amare et ben volere da’ suoi servidori, et massimamente quando sono uomini svegliati et d’ingegno, perchè molte volte fanno sì, che i suoi signori escono di gravi travagli e impicci.


Lettori, malgrado, et a dispetto di fortuna vi do queste sei novelle, che più non ve ne posso dare, perocchè al tempo del sacco di Roma me ne furono rubate ventisette: et notate bene che queste sei che vi do sono accascate verissime. [p. 79 modifica]

Edizione di soli ottanta esemplari in carta comune, due in carta d’Olanda, due in carta colorata di Francia, ed uno in membrane d’Augusta.