Novelle (Cademosto)/Novella IV
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NOVELLA IV.
Fu già, non è guari di tempo, in Pavia, come che ancora alla memoria d’alcuni attempati si sovviene, un messer Antonio de’ Torelli che già all’ultima vecchiezza stava vicino. Et avendo tre figliuoli, ch’a ciascuno di loro moglie dato aveva, li venne poi desiderio di volere, prima che
Iddio altro di lui facesse, acconciar li fatti sua, dando loro la parte delle facultadi ch’egli aveva. Et fattogli a se venire, disse: voi vedete omai, ch’essendo io in questa età, s’appressa il fine del mio ultimo fine; et però m’è venuto desiderio, per contentezza mia et vostra nel rimanente della vita che mi resta, di volervi meglio accomodare di quel che sete, dandovi parimente ciò che vi s’aspetta et conviene; et a questo mio volere non sono per indugiare fino alla morte. Et tanto più ch’io possa aver questo diletto di comprendere chi tra voi più prudentemente si diporterà nel godere et debitamente spendere. Et così dipartendo loro le case et possessioni con il resto della roba, per testamento gli eredò; et appo secretamente senza altro testimonio apertogli un cassone ove dentro vi erano sei mila ducati, duo mila de’ quali a ciascuno ne dette, dicendo loro: figliuoli, quello ch’io fo, mi v’induce l’amor che vi porto et, come ho detto, la vecchiezza, la qual con il vero giudicio per molto tempo non è per allungarsi. Et
tanto più ch’io voglio fare al contrario della più parte di alcuni vecchi, li quali quanto più vivono, tanto più vengono avidi et desiderosi di governare, maneggiare, et di non mai vedersi sazii delle cose di questo mondo, et di continuo con lite et travagli, senza mai quiete et pace desiderare; li quai falsi desideri sono contrari, et come veleno al vivere umano. Però considero et questo solo i’ conchiudo, di conservarmi insieme con voi più lietamente ch’io potrò, et sempre, mentre a Iddio piacerà, conservarmi in sua buona grazia, et che voi, mentre quel poco vivere m’avanzarà, non manchiate alle mie bisogna. Alle quai parole di subito li figliuoli risposero, che tutto quello che dato gli aveva, volevano che più fusse alli suoi piaceri che di essi medesimi, et che sempre in ogni effetto sarebbero presti alli suoi comandamenti. Le quali parole fra pochi mesi furono diverse dalle false promesse. Perocchè il troppo buon vecchio or con l’uno et or con l’altro dei figliuoli andava, come gli piaceva, a
mangiare et recrearsi. La qual cosa per tre o quattro mesi amorevolmente succedette, ma poi per il contrario avvenne. Perocchè come in fastidio era devenuto a tutti loro et massimamente alle sue nuore, tra le quali alcuna diceva: mira fastidioso vecchio a che otta egli è venuto a desinare! L’altre dicevano: e’ non si contenta mai, o si lamenta che la minestra è troppo salata o che l’è sciocca. Et così biasmando lo proverbiavano tuttavia. Il quale di ciò molto bene avvedutosi, et dell’errore suo pentitosi, avendo in tal guisa innalzati li figliuoli, perchè tacitamente andoe a trovare un suo compare, da cui molto era reverito et amato, nominato Angelo Beccaria, narrandogli la perfida ingratitudine di questi suoi figliuoli, et disse: compar, sapete che vi dissi, ha già intorno sei mesi, ch’i’ voleva far testamento, et dar tutt’il mio a’ mie’ figliuoli, mentre ch’io viveva; et così fece in mia mal’ora. Et questo volli fare per non indugiare da infermità con la morte essere sovraggiunto, et starmi con più riposo, levandomi dagli impicci et
fastidi di governare case nè possessioni, Ma ora molto mi doglio di quanto ho fatto, ritrovandomi dell’amor che gli ho mostrato, male pagato, perocchè d’un tempo in qua i sono ’l mal veduto et peggio trattato. Questo vi ho voluto dire, perchè tra gli amici come voi che me amate et sempre cortese mi fuste, suol essere di molto giovamento lo isfogarsi et dolersi degli affanni loro, come che delle allegrezze altresi congratularsi. Alle quali parole, meglio che potè confortandolo, rispose, che gl’incresceva d’una tanta villania et ingratitudine di questi suoi figli, ch’avendoli, vivendo, meritati di tanta cortesia, impoverendosi di tutto il suo, loro arriccando, et di padrone fattosi servo, a cotal guisa lo trattassero. Onde stando alquanto sovra di se, disse: M. Antonio, compar mio, se a mio modo vorrete fare, vi troverete contento. Et questo è: io voglio darvi duo mila ducati, quali vi porterete a casa, retornandomegli poi fra duo o tre giorni; et che chiamiate li vostri figliuoli, l’uno da per se dell’altro,
strandogli cotesti danari, dando loro credere che siano i vostri, promettendogli che nella morte vostra saranno li sua; et con questa via, forse che ciascun farà per l’avarizia, con la speranza d’averli, quello che per debito et vero amore or non curano di fare. Et con il fin delle parole il compare raccolto il buon consiglio, insieme con la promessa, lo ringraziò. Al qual Angelo, apertogli una cassetta, tolse fuora li duo mila ducati, et annoveratili, gli ne dette, de’ quali gli ne fece la polizza del ricevuto et di tanta cortesia ringraziatolo, con li danari a casa ritornossi et come ’l compare detto gli aveva, tutto fece. Et chiamato a se Galeazzo, suo figliuolo, maggior di tempo degli dui, senza alcuno altro, disse lui: tu sai ch’a te et a’ tuoi frategli, vivendo io sano et di buona voglia, hovvi assignato et dato il più di quello ch’io aveva: ma non però del tutto mi sono voluto privare, che non mi sia riserbato qualche cosa. Et fattogli vedere un sacchetto colmo di ducati d’oro, dando lui a credere che voleva che
fussero nell’ultimo suo termine d’esso Galeazzo, et quello che a lui promesse di fare così agli altri dui, da per se l’un dall’altro, promesse. In modo che con questa falsa credenza fu da indi in poi sempre da essi ben veduto et accarezzato. Il quale dopo quattro giorni al suo compare Angelo ritornato con li danari, ringraziandolo che di tanto dispiacere con il suo ingegno tratto l’aveva, narrandogli che li figliuoli, veduto ch’ebbero li danari, della loro ingratitudine si cangiorno, divenendogli cortesi et grati, tal che, come a gara facevano, a chi più piacer far gli poteva, et al suo compare restituito i suoi danari, del suo tanto amore et fede che dimostrato gli aveva, obbrigato perpetuo se gli offerse. Dopo non molto tempo avvenne che il vecchio padre gravemente infermò. Il qual poi da’ figliuoli era atteso et governato con quelli opportuni acconci che tenuti erano; ma non forse tanto per vero amore et debito cui obbrigati stavano di fare, quanto che la speranza d’avere il danaio li faceva solleciti et amorevoli.
Onde il buon vecchio, prima ch’ei s’infermasse, compose una astutissima et piacevole facezia; e questo fu, che messe nel cassone, ove già stavano li sei mila ducati, un sacchetto di rena, con appresso una mazza di legno, sovra la qual v’era scritto una polizza a lettere di scatole che diceva: chi per altrui si spodesta, gli sia dato di questa mazza sulla testa. Avvenne poi ch’il padre fra pochi giorni, stato che sì fu infermo, passò di questa vita. Onde di botto li figliuoli vennero al cassone, ove già ’l padre all’uno et all’altro aveva fatto vedere li predetti danari. Per il che ritrovandosi ivi tutta tre per toglierli, et non sapendo alcuno di loro dove le chiavi del cassone si fussero, alquanto sospesi si stettero, l’uno l’altro guatando. Poi Galeazzo disse: frategli, ha già tre mesi che nostro padre mi mostrò un sacchetto colmo di ducati, dicendomi che erano duo mila, et che nel suo morire voleva che fussero li miei; però io son qui per toglierli di questo cassone. Alle quali parole Marc’Antonio et Giulio suoi
fratelli, così nominati, risposero: Galeazzo, tu dei sapere che ciò che nostro padre ha detto a te, ancora a me ’l simile disse. Et altresì Giulio rispose che detto gli ne lo aveva, et con queste parole l’uno et l’altro sulla sua si stava, considerando a che l’effetto reuscir dovesse, et forsi con fantasia di venire ad altro ch’a parole. Pur dopo considerando che di questa lascita non appareva alcuna fede che più dell’uno che dell’altro questi danari esser dovessino, conchiusero per meglior consiglio senza questione da buon fratelli parimente dividerli. Et di subito fatto venire un magnano, fu aperto il cassone, con dentro trovatovi il sacchetto della rena et la mazza con sovra la piacevole polizza. Della quale, come vergognati sogghignando, rimasero scornati. Dopo il compare messer Angelo predetto, udito ch’ebbe la bella trovata del suo compare, delle risa si smascellava con tutti quelli che la udirono. Però noi vecchi insensati dovemo star sopra di noi; che all’ultimo il merito che de’ nostri stenti et
miserie per aggradire et arricchire nostri figliuoli et nepoti non ne riportiamo altro che ingratitudine in vita, et dopo lei ne vien fatto per le anime nostre del cul trombetta.