Novelle (Bandello, 1853, III)/Parte II/Novella XXXIII

Novella XXXIII - Infortunato ed infausto amore di madama di Cabrio provenzale con un suo procuratore, e morte di molti

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Novella XXXIII - Infortunato ed infausto amore di madama di Cabrio provenzale con un suo procuratore, e morte di molti
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[p. 43 modifica]come vide la cognata, il pazzo, che non diede altro impaccio al falconiero, ma disse che era ito per arrostir l’augello e che il falconiero era ito per levarglielo. La donna vide in quello la gazacca e molto si smarrì; ma il pazzo come la vide, pensando che fosse la sua, senza dir altro se la prese e di camera uscì. Il falconiero, veggendo finita la questione e che il pazzo se n’era andato in sala a mangiarsi l’astore mezzo arrostito, se n’andò per veder il falcone infermo e trovò la gazacca del pazzo, e meravigliandosi pur assai disse tra sè: – Come sta questa cosa? Io ho pur visto che il pazzo nel partir di camera di madama aveva in spalla la sua gazacca, ed ora mi par di vederla qui. Ma io piglierò questa e la farò tigner in negro. – E così fece, di modo che mai alcuno non se n’accorse se non Gian Cornelio, che sapeva certamente aver lasciata la sua in camera di madama ed a certo segno de la fodra la conobbe indosso al pazzo, e più volte con la sua innamorata ne rise, con la quale fin che dimorò in Guascogna si diede buon tempo ogni volta che vi fu la comodità.


Il Bandello a madamigella di Vaulz madama Anna de la Vigueria


Era questi dì madama Fregosa, la signora Gostanza Rangona, a Montbrano, castello di questo vescovado di Agen, per fuggir i caldi de la città che adesso sono molto intensi, ove ancor voi spesso solevate venire a diportarvi e tener compagnia ad essa madama. Avvenne che un giorno furono portate lettere da Grassa, città in Provenza, a madama la quale domandò al messo se in quelle contrade era niente di nuovo. Egli le rispose che non altro se non che una gentildonna che aveva fatto ammazzar il marito, per essersi scoperto l’omicidio, se n’era fuggita. Quivi si ritrovava alora monsignor Bartolomeo Grimaldo da Nizza canonico di Agen, che aveva quel giorno desinato con madama, il quale narrò l’istoria interamente com’era seguìta, perciò che diceva da uno dei suoi fratelli, che era venuto da Nizza a vederlo, aver inteso minutamente il tutto, essendo Nizza assai vicina a Grassa. Parve a tutti, che eravamo ad ascoltarlo, esser il caso molto strano. Voi alora, [p. 44 modifica]che di brigata eravate con noi, mi diceste che in vero questa novella era ben degna d’esser messa al numero de le mie, e che per ogni modo io la devessi scrivere, il che vi promisi di fare; e così la descrissi del modo che era stata narrata. Pensando poi a cui donar la devessi, determinai tra me che poi che voi indutto m’avete a scriverla, che meritevolmente sia vostra. Onde al nome vostro quella ho intitolata, e ve la dono non già per appagare in parte alcuna tanti piaceri da casa vostra, la vostra mercè, ricevuti, ma per mostrar almeno la gratitudine de l’animo mio che sempre è ricordevole di voi e si confessa debitore. E chi non sa oggimai che essendo, madama e tutti noi altri, stranieri e venuti d’Italia, sempre siamo stati da voi troppo amichevolmente veduti ed accarezzati, come se del sangue vostro fossimo nati? Certamente le cortesie vostre sono state tante a tali verso noi che non hanno bisogno d’esser raccontate, essendo a tutti note. Pigliarete adunque questo picciolo dono con quella grandezza de l’animo vostro che a tutti vi rende amabile e grata, e che voi altrui sì cortesemente e liberamente il vostro donate. E feliciti il nostro signor Iddio ogni vostro pensiero. State sana.

Infortunato ed infausto amore di madama di Cabrio provenzale con un suo procuratore e morte di molti.


Io vi narrerò, madama eccellentissima, il caso di cui v’ha parlato il messo, che a Grassa è occorso, nè più nè meno come mio fratello me l’ha detto, il quale, per esser Grassa vicina a Nizza, suole assai spesso quivi praticare ed averci molta domestichezza, e conosce molti di quelli che ne l’istoria sono intervenuti, familiarmente. Grassa, come potete aver inteso, è città non troppo grande, ma di sito dilettevole assai, perchè è posta parte in piano e parte in colle piacevole e fruttifero, con freschissimi e lucidi fonti per entro in diversi luoghi e con belli ed amenissimi giardini di naranci, cedri, limoni e d’ogni altra sorte di frutti, quanto altra che in Provenza sia. Il vivere è molto domestico, con conversazione continova allegra. È nel contado di Grassa un castello lontano da la città circa duo miglia, che si chiama Cabrio, nel signor del quale era maritata una gentildonna del paese che fu sorella di monsignor di Calliam e di Mas. Questa, essendo stata lungo tempo col marito, [p. 45 modifica]gli fece di molti figliuoli dei quali io ne conosco dui, uno canonico di Grassa e sagrestano de la chiesa catedrale, l’altro che di presente dimora in Tolosa e dà opera a le leggi de la ragion civile e canonica. Ora essendo già attempata anzi che no, essa madama di Cabrio, vivendo ancora il marito, di buona papera che stata era divenne una trista oca, perciò che fin da la sua giovanezza aveva sempre portato buon none d’onesta e pudica madrona. Ma che che se ne fosse cagione, cominciò il marito a venirle a noia ed in fastidio, e non si sodisfacendo degli abbracciamenti di quello, deliberò di procacciarsi altrove chi le scotesse il pelliccione. Era in Grassa un cittadino dottore chiamato messer Gian Tolonio, del quale ella fieramente s’innamorò. Questo Tolonio tutto il dì praticava a Cabrio, perchè era avvocato e procuratore d’esso signor del castello e governava tutti gli affari di quello. Con costui ella in modo si domesticò che più e più volte presero insieme amorosamente piacere; onde per meglio goder questo suo dottore, convenne con lui di far ammazzar il marito, non le parendo assai d’avergli posto in capo il cimiero de le corna se anco nol faceva morire. Fatta tra loro cotal deliberazione, trovarono un Gioan Tros, uomo di pessima condizione, al quale diedero certa somma di danari, ed egli, trovato un altro suo compagno, uomo di mala sorte, gli communicò ciò che far intendeva. Il perchè accordatosi e mascherati, un giorno dinanzi a la porta del castello di Cabrio ammazzarono crudelissimamente il povero signor del luogo. E così andò la bisogna che nè i malfattori furono conosciuti nè de la moglie e del dottore mai non s’ebbe sospetto alcuno. Mostrò nel publico la malvagia femina grandissimo dolore de la morte del marito, ed insieme con il dottore fece dimostrazioni assai di ritrovar gli omicidiarii; e i proprii assassini erano i ministri che facevano la inquisizione per comandamento de la donna, come signora di Cabrio. In questo avendo campo libero la donna di ritrovarsi con il suo adultero, attendeva a darsi buon tempo. Nondimeno usando meno che discretamente la domestichezza loro, uno dei figliuoli s’accorse del disonesto viver de la madre e, oltra modo di mala voglia, un dì con lei da figliuolo amorevole se ne condolse. Ella con sue false ragioni si sforzò di levar di capo al figliuolo la openione che aveva, dicendogli che il Tolonio era uomo da bene e grande e fedelissimo amico de la casa, e che aveva tutti i fatti loro in mano e che era necessario che da tutte l’ore ella praticasse con quello per le faccende che occorrevano d’ora in ora, non ci essendo persona che per lungo tempo avesse la [p. 46 modifica]cognizione de le liti, de le giurisdizioni de le lor castella e d’altre faccende di casa come egli aveva, avendo sempre il tutto governato vivendo la buona memoria di lor padre. E circa questo disse cose assai, di modo che parve che il figliuolo s’acquetasse. Ma questa nuova Medea, dubitando che egli ai fratelli o ad altri dicesse alcuna cosa, avvedutasi che il giovinetto ogni dì soleva su una galleria o loggia una e due ore passeggiare, communicato il tutto con il Tolonio, sconficcò un’asse de la loggia; di tal maniera che il giovine, postosi secondo il solito suo a passeggiare e dato due e tre vòlte, s’avvene a porre il piede su l’asse sconficcata e rovinò da alto a basso, e dando su grossissimi sassi tutto si ruppe e scavezzossi il collo. Il romore nel castello fu grande, e la scelerata madre dentro nel suo cor gioiva, mostrava in apparenza che si volesse disperare, ed empiva di gridi e di lamenti tutta l’aria, parendo che non volesse ricever veruna consolazione. Toltosi questo sventurato figliuolo sì miseramente dinanzi agli occhi, attendeva a darsi piacere e buon tempo col suo avvocato, straccandosi ma non saziandosi già mai. Ed avendo preso più di confidenza che non si conveniva, non passò guari di tempo che un altro dei figliuoli prese in sospetto la troppa domestichezza de la madre con il Tolonio. Del che avvedutasi la rea donna, deliberò tanto fare di questo quanto de l’altro fatto aveva, nè ad altro attendeva se non a trovar occasione di mandar ad effetto il suo scelerato dissegno. Aveva ella per danari corrotto un servitore col quale volentieri il detto figliuolo andava a spasso. Ora essendo un dì fuor a caccia, e come si fa correndo chi in qua chi in là, perchè erano molti in compagnia, avvenne che il giovinetto s’abbattè a esser suso un colle che aveva' 'una rupe o sia corno assai alto. Quivi volendo il giovine veder ciò che i compagni a basso facevano, si mise in cima de la rupe a guardar al piano. Il servidore che era con lui, poi che s’avvide che da persona non era veduto, gli diede ne le schiene una spinta, di modo che rovinando a basso e percotendo del capo e di tutto il corpo in durissimi sassi, prima che pervenisse al fondo, tutto disfatto se ne morì. Il ribaldo servidore, voltatosi a una altra banda, andava dietro ad alcuni altri cacciatori. Nè guari si stette che cominciarono a sentir le grida dei compagni che trovato avevano il morto giovine tutto consumato; e verso quella parte andando, veduta la cagione de le grida, tutti restarono smarriti e pieni di compassione. Colui che l’omicidio commesso aveva, fingendo d’esser più degli altri dolente, con aita d’alcuni portò il corpo del figliuolo a la madre. [p. 47 modifica]Di questo ella fece nè più nè meno come del primo fatto aveva. Ecco quanti mali procedono da un disordinato appetito. Ma non bastarono a la rea femina le morti del marito e dei dui figliuoli, chè alcuni altri fece uccidere. Era in casa un paggio il quale, o che s’accorgesse de la disonesta vita de la donna o de la morte dei dui figliuoli o pur d’alcuni altri servidori che erano stati morti, si lasciò uscir alcune parole di bocca, le quali da quel servidore udite che il secondo figliuolo aveva da la cima del colle gittato a basso, furono a la donna ed al Tolonio da lui referite. Il perchè consegliatisi tra loro, deliberarono che il paggio non mangiasse più pane. Prese la cura il Tolonio di far seguir l’effetto conforme al loro malvagio volere. Nè troppo indugio diede al fatto, ma parlato a Gioan Tros che aveva il signor di Cabrio marito de la malvagia femina ammazzato, gli comandò che per ogni modo il povero paggio uccidesse quanto più tosto avesse la comodità; il che da l’omicidiario fu in breve fatto. E così il povero paggio mandato da la donna non so dove, passando per certo boschetto, fu da Gioan Tros come un semplice agnello svenato. Desiderava molto madama di Cabrio aver per marito il suo adultero, ed egli altresì volentieri averebbe sposata lei, sapendo che oltra la buona dote ella era piena di danari; ma al commune desiderio di tutti dui ostava che il Tolonio aveva per moglie la figliuola d’un Giovanni Turlaire che stava a Hieras, donna da bene e d’ottimi costumi ornata, da la quale già n’aveva figliuoli. E’ non è molto che un suo figliuolo fu a Bassens nel vostro castello, madama illustrissima, quivi capitato in compagnia d’un profumiero italiano. Ora dopo molti ragionamenti fatti tra loro, deliberando il Tolonio esser in sceleratezze eguale a la sua adultera, conchiuse con lei di levarsi la buona moglie dinanzi agli occhi. Fatta cotal deliberazione, non sapeva in che modo farla morire. Fu più volte per operare che Giovan Tros ministro suo di simili sceleraggini la devesse svenare, ma non sapeva che via tenere chè la cosa fosse occolta. Pensò avvelenarla, ed anco questo modo non gli andava per la fantasia, non si fidando prender il veleno dagli speciari ed egli non sapeva distillar sorte alcuna di veleni. Ma accecato da l’appetito che aveva di tòrre l’adultera per moglie, deliberò egli stesso esser quello che la moglie ancidesse. Onde una notte, essendo nel letto con esso lei, quella con le proprie mani crudelissimamente strangolò, dando la voce che d’un fiero accidente che assalita l’aveva, non la potendo aiutare, era morta. Giovanni Turlaire padre de la suffocata donna si trovava in quel dì in [p. 48 modifica]Grassa, il quale, veggendo la strangolata figliuola ne la faccia alquanto gonfia e la gola piena di lividori con segni de le dita, ebbe sospetto de la cosa come era; ma dissimulando ed al genero nulla mostrando, destramente essaminò una donna di casa, la quale altro non sapeva dire se non che la madonna la sera stava benissimo e che allegra e di buona voglia s’era nel letto corcata. V’aggiunse poi che la notte aveva sentito romore in camera ed una a due volte essa donna gridare. Onde tenendo per fermo la' 'sua figliuola esser stata dal perfido marito uccisa, senza far movimento alcuno, non dopo molto al genero disse: – Ora via, attendi a provedere che l’essequie ed il corrotto si faccia conveniente a te ed a mia figliuola, come io mi rendo certo che tu farai. Io fra questo mezzo me ne vado a far un mio servigio e tantosto ritornerò a casa. – Andò il dolente padre a trovar il giudice criminale e gli narrò il dubio che aveva, il detto de la donna ed i segni che l’affogata donna aveva ne la gola; onde il giudice fece dar de le mani a dosso al Tolonio e da’ medici visitar il corpo, i quali giudicarono la povera donna senza un dubio al mondo esser stata violentemente morta. Il Tolonio, veggendosi ne le mani de la giustizia, o non volle o non seppe o non puotè buonamente negare il suo misfatto. Il che intendendo madama di Cabrio e conoscendosi esser anco ella colpevole non solamente de la morte de la donna, come instigatrice del male, ma di molti altri omicidii macchiata dei quali il Tolonio era consapevole e partecipe, deliberò non aspettare che fosse dai ministri di giustizia arrestata e come micidiale punita. Onde presa gran somma di danari, argenti di casa ed altri mobili preziosi, se ne ritirò ad un castello del duca di Savoia chiamato Poggetto, mostrando a quelli di casa ch’era necessario far questo per alcuni convenienti rispetti. Partì da Cabrio assai a buon’ora e in un tratto arrivò a Poggetto, non molto indi lontano. Il Tolonio fu condutto a Zais, città antichissima già fondata da Sestio romano, ove sono l’acque calde, e per questo i latini appellano quella città «l’Acque Sestie». Quivi il re cristianissimo tiene un onorato parlamento per la Provenza, ove tutte l’appellazioni de la Provenza si riducono, e da le diffinitive sentenze di questo parlamento rappresentante la persona del re non è appellazione. Essendo adunque il Tolonio in mano di quel senato, fu formato il suo enorme processo, nel quale accusò madama di Cabrio de l’adulterio e di tanti altri omicidii quanti fatti aveva. Il senato, udita la confessione del reo e la ratificazione da lui volontariamente fatta, giudicò che egli si rimenasse [p. 49 modifica]a Grassa e quivi fosse come meritava decapitato e poi messo in quattro parti su le publiche forche per èsca ai corbi; il che severamente fu essequito. Fecero poi i senatori per sergenti publici citar madama di Cabrio, e datole conveniente termine a comparire, veggendo quella esser fuggita e non voler ubidire, quella come contumace, gridando contra i contumaci tutte le ragioni, condannoro che devesse giustiziarsi, sempre che venisse in poter de la giustizia, de la maniera che il suo adultero era stato punito. Ora non comparendo, la fecero in figura, come in questo regno si costuma, squartare, tagliatole prima la testa; e così in Grassa su la piazza in una tavoletta si vede dipinta. Ella di tutti questi successi avvertita ed in Poggetto non si tenendo ben sicura, deliberò di quivi partirsi ed andarne altrove. E preso in sua compagnia uno Giacomo Pagliero, perciò che tutti i servidori e donne s’erano da lei partiti, con i danari e robe sue se n’andò a la volta di Genova. E nel camino, per non dormir sola, si teneva Giacomo seco: a tal era ridutta la sfortunata donna, che amaramente piangeva i suoi misfatti, tardi pentita, quanto al mondo, di tante sue sceleraggini quante commesse ella aveva. Pervenne ultimamente a Genova, ove con il Pagliero alcuni giorni se ne stette. Ora, o che ella per essere alquanto attempata non sodisfacesse al Pagliero che era giovine, o pur che egli si movesse per la ingordigia de le robe e danari de la donna, com’è credibile, un giorno che ella non era in casa, egli presi i danari e le robe si partì, nè ancor si sa dove se n’andasse. La misera donna, ritornata a casa ed accortasi che il tutto le era stato rubato, amaramente pianse le sue sciagure senza sapere nè poter ricever consolazione alcuna. E rimasa povera d’ogni cosa, non le essendo stato lasciato sustanza di questo mondo se non quanto indosso aveva, non avendo modo di altrimenti procacciarsi il vivere, s’acconciò per servente in Genova con una gentildonna, e ancora ci è. Di modo che ella, che nata era nobilmente e allevata e nodrita con delicatezze ed usa a comandare ed esser servita, adesso ubidisce e serve altrui. E a questa misera vita ella per se stessa s’è condutta per voler adempire tutti i suoi disonesti appetiti. A la quale certamente si deverebbe aver compassione, se ella nel marito e nei figliuoli e in tanti altri, come una Medea o Progne, fieramente non incrudeliva.


Il Bandello a l’ [p. 50 modifica]illustre signore il conte Lodovico Rangone


Assai più proprio de la vertù è da tutti i savii del mondo riputato il far beneficio altrui e riparar ai danni d’altri, che ricever beneficio ed esser nei bisogni suoi soccorso. E come assai più difficile e rara cosa è allargar la mano e donar via il suo che non è pigliar ciò che n’è donato, così assai meno son quelli che donano che non saranno quelli che ricevano. Onde si può dire la vera liberalità consister più nel ben donare che nel ricevere. La quale liberalità consiste per modo di mediocrità circa le ricchezze, o vero intorno al piacere che si prende nel donare o nel ritener le cose con le quali si può altrui far giovamento, e per le quali più si conosce l’atto del liberale; vertù nel vero sempre lodevole, che ha luogo tra il prodigo e l’avaro. E quando si devesse travarcare dal mezzo e cascar in uno degli estremi, io porto ferma openione che sia assai minor male traboccar ne la prodigalità che ne l’avarizia: perciò che il più de le volte il prodigo, donando fuor di modo ed ove non deve, quando si vedrà scemar i beni proprii, aprirà gli occhi e facilmente s’accosterà al mezzo, divenendo liberale; ove l’avaro quanto più invecchierà, tanto più in lui accrescerà l’avarizia e mai non ritornerà al mezzo. Fu adunque sempre lodevol cosa la liberalità, e tanto più lodevol quanto che si truova in persone che meno sogliono usar de la liberalità, perciò che dà loro la natura di tener ordinariamente più de l’avaro che del liberale. E queste sono per il più le donne, le quali non sapendo generalmente guadagnar troppo in grosso, temono che non manchi loro il modo di viver agiatamente come vorrebbero, e per questo appetiscono più e sono meno liberali. Nondimeno se ne trovano di quelle che hanno il cor generoso e magnifico, e di gran lunga avanzano gli uomini, le quali quanto siano degne d’esser commendate e messe in cima d’ogni loda, coloro che conoscono di quanta lode e gloria è degna la vertù lo sanno benissimo. Ora, se ne l’età nostra ci è stata donna alcuna che abbia per propria vertù meritato il titolo di liberale, credo io che la felice memoria de la signora Bianca Bentivoglia vostra onorata madre sia stata una di quelle e forse la principale. La quale mentre che visse attese largamente a donare ed usar senza