Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo VI

Capitolo VI

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Capitolo Sesto

Della pittura in maiolica nelle fabbriche castellane.



L'Italia madre d'ogni bell'arte, dopo aver prodotta la pittura a smalto sulla lamina metallica, generò pur quella sulla maiolica. Luca della Robbia, trovato che ebbe il modo di difendere dalle ingiurie del tempo le opere di plastica, si pose in cuore di far quasi eterna anche la pittura; onde si volse con tutto l'animo a dipingere sulle terre cotte con colori minerali, acciò questi fondendosi al fuoco, dopo lungo volgere di anni sempre vivi si mantenessero ed inalterabili. E senza punto sgomentarsi degli ostacoli che gli si pararono davanti, tanto perseverò nel suo proposito, che finalmente vennegli fatto mostrare i suoi maravigliosi dipinti. I quali furono a tutti di tanto stupore, che nessuno sapea persuadersi che a fuoco fosse stato ciò possibile. La nuova maniera fu dapprima seguita dai fratelli e dai nipoti di Luca: ma poi uscendo dai confini della Toscana, si propagò nelle vicine contrade, e rese celebri le maioliche italiane. Il Cavaliere Piccol Passo, i Dolci, i Lovolini, [p. 47 modifica]i Picchi, gli Apolloni diedero con le loro pitture onore e fama alle fabbriche di Castel Durante. Girolamo Lanfranco, e Terenzio di Maestro Matteo dipinsero con molta lode in Pesato; Guido Selvaggio in Faenza; Giorgio Andreoli illustrò col suo pennello le maioliche di Gubbio: i fratelli Fontana quelle di Urbino.

Gli artefici castellani, non volendo rimanere spettatori oziosi, si diedero a seguir l'esempio di sì valenti pittori: ma quantunque molto si affaticarono, i loro dipinti non potettero contendere con quelli che misero fuori le mentovate città. La ragione fu manifesta, dappoichè quelle officine favorite da’ Principi si giovavano de’ consigli e de’ cartoni di Raffaello, de’ disegni di Battista Franco, e de’ conforti di tanti altri pittori, che allora fiorivano in quelle contrade, mentre le nostre fabbriche erano quasi abbandonate al caso, perchè guidate solo dal naturale ingegno di artisti cittadini.

La più antica pittura in maiolica fatta in Castelli, di cui si conosce l’epoca precisa, è quella che vedesi murata infra due porte nella vecchia casa Pompei. È un quadretto, alto circa un palmo, e largo mezzo, nel quale è figurata la Madonna col Bambino. In un lato sta notato l’ano 1551, e nell’altro leggonsi le lettere ORO con l’abbreviatura di sopra: le quali, a mio giudizio, vogliono dinotare che ne fu autore il padrone di essa casa Orazio Pompei. Questi esser dovea un artista pregiato nel suo tempo, poichè nelle antiche carte vien sempre appellato col nome di maestro: il qual titolo, come ognuno sa, davasi a que’ dì agli eccellenti [p. 48 modifica]professori di arti: e forse anche per la stima in che era tenuto, meritò il soprannome di figulo; come appare dalla seguente iscrizione scolpita in pietra nella detta sua casa:

haec est domus oratii figuli 1569.

L’anzidetto pittore, mentre si mostra alquanto accurato nel disegno, è poi negligente assai nel colorire e nell’ombrare: in che sta veramente tutto il difficile di questo genere di dipintura.

Quantunque i nostri artisti vedessero i loro dipinti lontani da quel grido, in che erano venuti quelle delle altre officine; pure continuarono con zelo a professare quest’arte; anzi si diedero ad essa con grande studio ed amore allorchè, verso la fine del cinquecento la videro volta in basso nella vicina Romagna. Nè intermisero mai l’esercizio di essa, come si vede chiaro dagli anni segnati in molte maioliche dipinte: onde disse bene il dottor Frati, che mentre l’arte di dipingere in maiolica «inviliva e si perdeva nel nord d’Italia, si perpetuava nel regno di Napoli a Castelli, per opera specialmente della famiglia de’ Grue, che in una ad altri artefici vi lavorarono opere pregiate nei secoli XVII e XVIII.»1. Fra le maioliche da me possedute ve ne ha una di figura circolare dipinta nel 1588, nella quale è effigiata la Vergine che sulle ginocchia sostiene il Divino Figliuolo in attitudine di dormire: ed [p. 49 modifica]un’altra del 1610 rappresentante S. Marco che scrive l’evangelio. Ma in queste pitture, come in quelle di cui è piena la Chiesa di S. Donato (rizzata dalla pietà de’ Castellani nel 1615), altro non si ammira che lo sforzo degli artefici in ravvivare la loro arte. E non durarono invano tanta fatica; chè pochi anni appresso incominciarono a dipingere con più accuratezza; come si osserva in un mio quadretto dell’anno 1618, nel quale è ritratta S. Anna, la Madonna ed il Bambino. In esso si scorge l’artificio del pittore nel compartire i lumi e le ombre: il quale magistero d’arte vedesi via via più crescere nelle maioliche dipinte negli anni seguenti.

Chi pone ben mente alle molte e gravi difficoltà che si debbono vincere, non farà certo le maraviglie, che l’arte di dipingere sulla maiolica lentamente progredì nella nostra Castelli. E per verità in questo genere di pittura detta a ventiquattr’ore o a gran fuoco, oltre all’ostacolo della durezza de’ pennelli, e della poca varietà de’ colori, che allora si adoperavano; l’artista dev’essere franco e celere nel pennelleggiare, come quei che dipinge a fresco: nè deve rimanergli dubbio de’ contorni e delle proporzioni, poichè dovendo operare sullo smalto crudo, il colore viene tosto assorbito ed immedesimato con quello siffattamente, che non può a suo talento cancellare il già fatto. Oltre a questo, esser deve assai pratico non solo de’ colori, ma della varia azione del fuoco: il quale infievolendone alcuni, e dando ad altri maggior vivezza, distrugge il tono de’ medesimi. Da ciò forse avvenne, che i migliori dipinti de’ pittori [p. 50 modifica]sopra mentovati appaiono stonati, come giustamente avvisò il Sacchi, e con passaggi assai bruschi di tinte2.

Ma non bastava un’età sola, nè pochi ingegni a recare quest’arte difficilissima alla sua eccellenza: era pur necessaria la perseveranza de’ Castellani. I quali facendo tesoro de’ frutti delle lunghe e ripetute esperienze, che i padri insegnavano ai figli, giunsero a riporre la pittura in maiolica all’antica grandezza: anzi l’innalzarono ad altissima ed ultima cima, se vogliamo dar fede al Giustiniani, il quale francamente disse che «niuna nazione può vantare quest’arte come un tempo la seppero i nostri abruzzesi»3. E forse ben si appose questo valente uomo, dappoichè lasciando stare gli altri pregi delle maioliche di Castelli, è mirabile in esse la prospettiva aerea; la quale essendo stata quasi interamente trascurata da tutti coloro che diedero opera a dipingere in maiolica, fu dai nostri osservata con grande studio e diligenza. Siffatto pregio non isfuggì all’occhio finissimo del Frati, che notò esser questa una dote singolarmente propria degli artisti castellani4.

Il primo che, verso la fine del secolo XVII, adoperò con maestria i chiari e gli scuri, e che dipinse con grazia e morbidezza, si fu Carlantonio Grue; sicchè a buon dritto è tenuto come il restauratore della pittura in maiolica. Gli ammaestramenti e l’esempio del padre [p. 51 modifica]si volsero a seguitare Francescantonio, Anastasio, Aurelio, e Liborio Grue: i quali non essendo paghi d’esser eguali a lui nell’arte, con acconci e forti studi, e con assidua fatica rafforzarono il loro ingegno. Anzi il primo di essi ornatosi la mente di scienze e di lettere, tant’oltre procedette nel dipingere in maiolica, che entrò innanzi a tutti quelli che in Castelli lo precedettero; nè fu pareggiato da nessuno che gli venne appresso. La fama de’ Grue mise nel cuore di molti Castellani il desiderio di correr dietro a sì grandi maestri, e sopra tutti si segnalarono i Gentili, i Cappelletti, ed i Fuina: nè solo in quelli che per vivere faceano professione di arti, si accese nobilissima gara, ma anche nelle persone agiate, e fin nelle donne che, posti giù l’ago ed il fuso, presero a trattare i pennelli.

Le onorate fatiche di tanti valorosi mantennero in fiore quest’arte nella nostra Castelli della fine del seicento fin verso il 1770. Allora le nostre maioliche erano desideratissime e tanto in uso, che ad imitazione di esse si lavoravano in Napoli quadretti ricamati in seta; del quali una bella raccolta se ne conserva nel Museo Bonghi5. Nè solo in Italia erano cerche ed avute in pregio, ma nelle più incivilite città d’oltremonti; come ne fa chiara testimonianza Fabio Placidi, che nel 1729 così scriveva «A Dresda, d’onde vengono in Italia le tanto stimate chicchere di Sassonia, si tengono in molto pregio le chicchere che lì si chiamano di Napoli, e si [p. 52 modifica]lavorano nella Duchea di Atri. Le quali, per quelle pitture veramente mirabili per il disegno e per il colorito, possono stare a tavola rotonda con tutte le porcellane europee ed oltremarine»6.

Ma come la pittura sulla porcellana andò acquistando maggior incremento nella Germania, nella Francia, ed anche nella nostra Italia, quella sulla maiolica all’opposto videsi via via declinare. E non è troppo da stupire che i bellissimi dipinti in porcellana oscurassero quelli, che facevansi sulla maiolica; chè un’altro metodo più facile fu trovato in questo genere di dipintura. L’arte arricchitasi di grande varietà di colori, che per la loro delicatezza non poteano resistere ad un fuoco lungo e vivo, si pensò di dipingere sullo smalto già cotto, bastando un calore leggiero per fondere quelle delicatissime tinte. Con questo metodo l’artista potè far uso di ogni sorta di pennelli, perchè avea ad operare sopra un fondo levigato: e siccome i colori si adoperavano sciolti con l’olio, rendendosi così più scorrevoli, potè distenderli a piacer suo; ed in quella guisa che si dipinge sulla tela, potè a sua voglia ammendare gli errori commessi.

Saverio Grue e gli altri pittori che sopravvissero allo scadimento dell’arte, corsero volentieri a far prova del loro ingegno alla Real Fabbrica di Napoli; e così furono in parte della lode, che quella città si guadagnò con le [p. 53 modifica]sue vaghe porcellane dipinte. Gesualdo Fuina, che rimase nella sua patria, imparato che ebbe il modo di preparare i nuovi colori, si volse ad applicare sulla maiolica la maniera che teneasi nel dipingere sulla porcellana; e riuscito nel suo proposito, mantenne in onore altro poco la pittura in Castelli.

Il Consiglio Generale della provincia teramana avendo molto a cuore le patrie manifatture, credè necessario, per migliorare le maioliche di Castelli, ravvivarvi la perduta arte di dipingere ed indorare: onde nel 1845 propose un premio di duc. 200 a favore di Gennaro Cioffi, antico pittore della fabbrica Reale, acciò imparasse la sua arte a due giovani castellani7. Poco stante nel 1847 l’Intendente Cav. Valia, dietro proposta del Decurionato approvata dal Ministro dell’Interno, fece venire da Napoli il valente artista Carlo de Simone (che per le sue belle pitture in porcellana avea colà meritato lode e premi), dandogli l’incarico di aprire in Castelli una scuola di disegno applicata alla maiolica8. Quantunque gli ammaestramenti e i consigli di questi valorosi fecero alcun poco rifiorire la pittura nelle nostre officine, pure videsi molto lontana da quella eccellenza, a cui un dì essa pervenne. Per la qual cosa il Consiglio, che non si stava sol contento a questo, non si è rimasto dal tentare altri mezzi: onde, come seppe che un giovinetto di Castelli mostrava grande [p. 54 modifica]attitudine all’arte del disegno, ne prese sollecita cura; e propose nella sessione del 1854, che fosse chiamato in Teramo, ed ivi istruito a spese della provincia. Questa tenera pianta, che ora si sta educando in quella città, promette buon frutto alla sua terra natale9.

Note

  1. Frati — Descrizione del Museo Pasolini in Faenza. pag. 9.
  2. V. l’Album 1838 art. 31 dell’origine, progressi e stato attuale della pittura a smalto
  3. Giustiniani, op. cit.
  4. V. Descrizione del Museo Pasolini di Faenza, pag. 33.
  5. Pol. Pitt. an. XV. p. 278, 1754.
  6. Leosini — Monumenti storici artistici della città di Aquila, pag. 149, Napoli 1848.
  7. V. Documento T.
  8. V. Documento U.
  9. V. Documento V.