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si volsero a seguitare Francescantonio, Anastasio, Aurelio, e Liborio Grue: i quali non essendo paghi d’esser eguali a lui nell’arte, con acconci e forti studi, e con assidua fatica rafforzarono il loro ingegno. Anzi il primo di essi ornatosi la mente di scienze e di lettere, tant’oltre procedette nel dipingere in maiolica, che entrò innanzi a tutti quelli che in Castelli lo precedettero; nè fu pareggiato da nessuno che gli venne appresso. La fama de’ Grue mise nel cuore di molti Castellani il desiderio di correr dietro a sì grandi maestri, e sopra tutti si segnalarono i Gentili, i Cappelletti, ed i Fuina: nè solo in quelli che per vivere faceano professione di arti, si accese nobilissima gara, ma anche nelle persone agiate, e fin nelle donne che, posti giù l’ago ed il fuso, presero a trattare i pennelli.

Le onorate fatiche di tanti valorosi mantennero in fiore quest’arte nella nostra Castelli della fine del seicento fin verso il 1770. Allora le nostre maioliche erano desideratissime e tanto in uso, che ad imitazione di esse si lavoravano in Napoli quadretti ricamati in seta; del quali una bella raccolta se ne conserva nel Museo Bonghi1. Nè solo in Italia erano cerche ed avute in pregio, ma nelle più incivilite città d’oltremonti; come ne fa chiara testimonianza Fabio Placidi, che nel 1729 così scriveva «A Dresda, d’onde vengono in Italia le tanto stimate chicchere di Sassonia, si tengono in molto pregio le chicchere che lì si chiamano di Napoli, e si

  1. Pol. Pitt. an. XV. p. 278, 1754.