Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo IV

Capitolo IV

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Capitolo Quarto

Dei progressi dell’arte ceramica in Castelli dalla introduzione dello smalto

trovato da Luca della Robbia fino ai giorni nostri.



Dopo molti e duri travagli, verso l’anno 1420, il valentissimo Luca della Robbia fu lieto di aver trovato il modo da difendere dalle ingiurie del tempo i suoi lavori di plastica; e farli come marmi diventare, mediante uno smalto forte, lucidissimo ed opaco, che diede loro addosso. Questa specie di vernice (che terra invetriata e poi maiolica fu detta) egli ottenne mercè l’ossido di stagno, che allo smalto allora in uso congiunse. La fama della utilissima invenzione dello scultore fiorentino si sparse subitamente per le diverse contrade d’Italia: sicchè i più lodati artefici, ch’erano attesi all’industria ceramica, furono solleciti di farne tesoro. Non furono tarde le officine di Castelli a giovarsi del maraviglioso smalto robbiano, ma per memoria che ne sia rimasta, non si sa quando vennevi la prima volta adoperato. Forse i nostri artefici ne ebbero notizia e l’impararono dallo stesso Luca, allorchè questi dimorava in Napoli: dove per incarico di Alfonso Duca di Calabria lungamente [p. 33 modifica]s’intertenne, per compiere molti lavori di terra invetriata, che furono posti nel cortile del R. Palazzo di Poggioreale. Per quante investigazioni io abbia fatte, non ho trovato scritta sulla maiolica castellana epoca più antica di quella segnata in una mattonella ch’io posseggo, nella quale così si legge:

fecit. hoc.

titvs. pon.

pei. m. d. xvi.

Quest’epoca è di pochi anni a noi più vicina di quella che il Passeri trovò segnata sulla maiolica pesarese.

Mentre le fabbriche di Pisa, di Urbino, di Castel Durante, di Pesaro, di Faenza e di altri luoghi vicini, mercè la protezione de’ loro Principi, venivano in gran fama per le stupende opere che da esse uscivano; quelle del nostro umile paese invece di vilmente sconfidare, si diedero con tutto l’animo ad emulare l’eccellenza dell’arte, cui le predette città erano giunte. E tante gloriose fatiche non rimasero senza frutto; chè si videro avvantaggiare siffattamente, che i suoi lavori sostener potettero il paragone delle maioliche più nominale. Di che ne fa certa testimonianza Antonio Beuter, che scrivendo delle cose di Spagna verso il 1540, dopo aver lodato a cielo i vasi di parecchie fabbriche della sua nazione, conchiude con queste parole: «Corebo, che, secondo Plinio, fu l’inventore di lavorar la creta, in Atena, non li fece migliori, nè furono di più valore i [p. 34 modifica]vasi dei Corinti, nè l’opere di Pisa, nè di Castelli della Valle Siciliana d’Abruzzo, nè d’altri luoghi in sottigliezza di lavoro, nè bellezza»1.

Però giunta a tale perfezione, alla fine del secolo XVI scadeva l’arte ceramica in Italia: e le officine di sopra mentovate furono poco men che dismesse, tra per la morte dei Principi che le proteggevano, e degli artisti che le illustravano. Non così avvenne di quelle di Castelli, che seguitarono ad essere in fiore e lodate, come afferma Muzio Panza: il quale, parlando della patria del Cardinale Antoniani, nella iscrizione che per lui compose nel 1592, così si esprime:

ex celeberrimo, ob figvlinam

artem, castellorvm oppido

in valle sicilia, pinnensis diœcesis orivndvs, ecc.

In prosieguo i nostri artisti, se non accrebbero, seppero almeno mantener la fama procurata alla patria industria dai loro maggiori. Infatti, secondochè dice il Toppi, le maioliche di Castelli erano celebri in tutta Italia2: e poco dipoi il Pacichelli scriveva che i vasi di questo paese erano molto simili a quelli di Faenza3.

Eletta schiera di buoni ingegni sorse in Castelli nel secolo XVIII, i quali con grande zelo ed amore rivolti [p. 35 modifica]all’arte ceramica, le diedero incremento e lume. Chi si fece a modellare con somma cura e diligenza l’argilla; chi, da lungo studio guidato e da continua esperienza, diede opera a migliorare lo smalto e a trovare nuovi colori; chi finalmente l’animo rivolse ad abbellire di vive pitture li lavori maestrevolmente condotti. Le nostre maioliche al sommo giunte della perfezione, erano desiderate e richieste non solo in tutta Italia, ma in diverse contrade di Europa. Per far pago il desiderio di coloro che le bramavano, trentacinque fabbriche erano in attività nella nostra Castelli, come scorgesi dall’antico catasto del 1743. Allora tanto aggrandito era il nostro commercio, che 5000 ceste4 di maioliche si vendevano nella sola fiera di Sinigaglia5, le quali unite a quelle che si smaltivano nelle fiere di Fermo e di Loreto, fruttavano ai nostri artefici oltre i 30,000 scudi. Essi godevano di molti privilegi ed esenzioni in parecchie città, e specialmente in Sinigaglia: dove per antichi trattati è loro assegnato un ampio luogo appo l’antico castello, per depositarvi i loro prodotti, franco di qualunque dazio; essendo tenuti presentare al Castellano solo una cesta di maiolica, in segno di riconoscimento. Anche al dì d’oggi è loro conservato questo privilegio: che anzi avendo la detta città, son pochi anni, fatte [p. 36 modifica]certe innovazioni in tale sito, dietro reclami del Vice-Console Napolitano, dovette ad essi cederne un altro più comodo6.

E qui mi si rinnova con piacere nella mente l’onorevole invito che l’augusto Re Carlo III, di gloriosa memoria, fece a parecchi artefici castellani, acciò con le loro egregie fatiche sostenessero la R. Fabbrica di porcellana, fondata da quel magnanimo Principe in Napoli. Tanto ebbero pregio e fama di valenti! Nè vuolsi passar sotto silenzio, che l’officina di Giustiniani, (che oggi in Napoli mantiene l’onore dell’industria ceramica) è dovuta eziandio alla nostra Castelli; donde questa famiglia benemerita delle arti trasse la sua origine.

Ma condotta a tanta eccellenza siffatta manifattura presso di noi, come di tutte le arti suole spesso avvenire, alla fine del secolo passato incominciò via via a decadere. Di che esser potettero la principale cagione le varie specie di porcellana, che diverse città di Europa presero a lavorare: i cui pregi infiniti oscurar doveano la fama della maioliche più pregiate di quel tempo.

Tale scadimento richiamò l’attenzione dell’Augusto Re Ferdinando I; il quale sollecito della conservazione della nostra industria, con dispaccio de’ 28 Maggio 1789, fece esenti le maioliche di Castelli da tutte le gravezze, da qualunque fonte derivassero7.

Nè contento di ciò, poco dipoi liberò i nostri artefici da una prestazione non poco gravosa, che la Marchesa [p. 37 modifica]della Valle pretendea su ciascun molinello da macinar vernice. Egli volle che a sue spese si difendessero le ragioni dei Castellani, entrando pagatore per essi, qualora giuste non si trovassero e valevoli8.

L’Augusto protettore non dimenticò in avvenire le maioliche castellane; anzi avendole sempre a cuore, con decreto de’ 2 gennaio 1820 sgravò esse solamente dal dritto di bilancia, a cui erano state sottoposte con la tariffa doganale del 1818 tutte quelle che dal Regno venivano all’estero inviate9.

In quello che si cercava richiamare all’antico lustro siffatta manifattura, il Pontefice Pio VII, per favorire le officine dei propri stati, fecesi a gravar di dazione le nostre maioliche: ma poichè questa era di soli 8 paoli a cesta, non ne impedì l’immisione; chè per le richieste che vi erano, il dazio veniva a pagarsi da compratori. La qual cosa venuta agli orecchi di Leone XII, fu da lui questa gravezza elevata insino a baiocchi cinque per ogni libra. E quantunque fosse stata poi ridotta a baiocchi due da Gregorio XVI, pure oltrepassando del doppio il valore di tale manifattura, chiuse interamente il nostro traffico con gli Stati della Chiesa.

Tutte siffatte vicende non valsero a ritrarre al tutto gli artisti castellani dall’esercizio della loro arte, che sembra ad essi per un particolare privilegio concessa: e quantunque le maioliche che lavoravano fossero poco nominate, pure al cominciare del nostro secolo [p. 38 modifica]venivano inviate insino a Smirne, e finanche nella stessa capitale dell’Impero Ottomano10.

Però andavano ogni dì così scadendo di bellezza e di pregio, che nella generale esposizione delle patrie manifatture tenuta in Napoli nel 1834, in luogo d’essere ammirate, furono compiante11.

Di che forte dolendosi il Consiglio Generale della Provincia Teramana adunato in quello stesso anno, si volse con ogni studio a ravvivare questa utilissima manifattura. E in prima propose inviare in Napoli due giovani castellani per appararvi quell’arte, che da’ loro maggiori vi era stata insegnata con onore12. Ben risposero all’aspettazione i giovani eletti; chè bastò ad essi poco tempo per mostrare il profitto che colà aveano tratto dai loro studi: della qual cosa compiaciuto il Consiglio predetto, desiderò che vi rimanessero altri due anni, aumentando loro lo stipendio assegnato13. Appresso, nel 1840 incuorato da così felici risultamenti, si avvisò fondare in Castelli una pubblica scuola diretta da valente artista chiamatovi da Napoli; la quale fosse ordinata non solo ad istruire i giovani castellani, ma qualunque altro della Provincia desiderasse apparare l’arte ceramica14. Nè a questo solo si stette contento il [p. 39 modifica]Consiglio; chè ben conoscendo quei savi uomini come i premi son forti stimoli per eccitare i valorosi a nobile emulazione; vollero con questo mezzo animare i nostri artisti a far prova del loro valore. Sicchè proposero ducati cento a quell’artefice di maiolica che mostrasse aver migliorato in qualche modo la sua arte15. Il quale lodevole divisamento fu seguito pochi anni dopo dalla R. Società Economica della nostra Provincia: la quale stabilì rimeritare di una medaglia il più pregiato lavoro di maiolica che venisse presentato16. Oltre a siffatte esortazioni e conforti, il Consiglio credè che per tronar dovesse di molta utilità al miglioramento della nostra manifattura, l’immisione franca dei metalli necessari alla composizione dello smalto: e perciò nella sessione del 1851 si volse con calde suppliche al Re, perchè sgravasse di dazio quella quantità bisognevole alle fabbriche di Castelli17.

Tante cure e sollecitudini produssero il frutto desiderato; poichè le nostre maioliche si videro tuttodì rifiorire. Ne fan fede le onorevoli parole dette alla mentovata assemblea dall’egregio Commendatore Roberti: il quale essendosi condotto a Castelli nel 1851 per disimpegno del suo officio, volle visitare le fabbriche più nominate del paese18. Alla quale testimonianza vuolsi [p. 40 modifica]aggiungere quella del ch. Commendatore Murena, che nel rapporto della civile amministrazione del detto anno, fece lodevolissima menzione del miglioramento in che esse erano giunte19. L’autorità di questi chiari uomini vien rifermata dai giudizii dati dal R. Istituto d’Incoraggiamento intorno alla nostra manifattura: la quale fu onorata di lodi e di premi in tutte l’esposizioni che seguirono la restaurazione dell’arte20.

Note

  1. V. Cronica generale di Spagna, pag. 84 e 85 — Venezia 1556: e Passeri, Ist. della pitt. in maiol. pag. 51 — Pesaro 1838.
  2. V. Biblioteca Napoletana, pag. 283. — Napoli 1678.
  3. V. Il Regno di Napoli in prospettiva, tom. 3. — Napoli 1703
  4. Le ceste son simili a casse tessute di vimini, con le quali usasi in Castelli trasportar le maioliche: le più grandi, come quelle che s’inviano a Sinigaglia, contengono 200 piatti.
  5. V. Giustiniani, Dizion. Stor. rag. del Regno di Napoli, alla parola Castelli. — Napoli 1797.
  6. Documento F.
  7. V. Documento G.
  8. V. Documento H.
  9. V. Documento I.
  10. Ercole, Dizionario Topografico della Provincia di Teramo, pag. 24 e 25. — Teramo 1804.
  11. V. Documento J.
  12. V. Documento L.
  13. V. Documento M.
  14. V. Documento N.
  15. V. Documento O.
  16. V. Il Rendiconto Accademico per l’anno 1852. — Teramo 1853.
  17. V. Documento P.
  18. V. Documento Q.
  19. V. Documento R.
  20. V. Documento S.