Notizie storiche delle maioliche di Castelli e dei pittori che le illustrarono/Capitolo III

Capitolo III

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Capitolo Terzo

Dell’origine e delle vicende dell’arte ceramica in Castelli,

fino all’introduzione dello smalto trovato da Luca della Robbia.



Trovasi l’arte ceramica stabilita in Castelli da tempi antichissimi, talchè la sua origine è avvolta fra le tenebre dell’antichità. Certi scrittori di patrie memorie son d’avviso che ci sia stata insegnata dagli Etruschi, antichissimi abitatori delle nostre contrade1: i quali, come narra Plinio, furono i primi che co amore coltivarono la ceramica, e la condussero a quella eccellenza, che anche oggi ammiriamo. E per verità, quantunque presso di noi non siano stati mai fatti scavi regolari per studî archeologici, pure spesse volte sonosi rinvenuti frammenti di vasi etruschi, e di figuline con lettere osche: e ben si conosce che la lingua osca ha lo stesso fondo che l’etrusca. Oltre a ciò l’elegante vase di figura diota, che nel triente atriano osservasi, non pure dinota chiaramente la nostra provenienza dagli Etruschi; ma fa conoscere altresì che l’arte ceramica era in quel tempo tra le nostre più ricercate [p. 27 modifica]manifatture: avendola stimata degna gli Atriani di perpetuarla nelle loro monete. Al che vuolsi aggiungere che siccome gli Etruschi vengono dagli antiquarii reputati inventori de’ vasi a due manichi, è da credere che questi si lavorassero precisamente da quelli nelle nostre terre stabiliti; essendo di tal forma il vase effigiato nel triente anzidetto2.

Niuno certamente farà le meraviglie, che questi popoli scelsero il territorio Castellano per fondarvi l’arte che lodevolmente esercitavano: poichè trovarono essi in così piccolo spazio tutto che è necessario. Qui strati profondi di eccellente argilla plastica, qui abbondanza di acqua e di combustibile, qui finalmente molti banchi di quarzo. Tutti questi agenti naturali sempre viva mantener vi doveano sì fatta industria, e serbarla a noi con felici auspici.

La figulina, che in Castelli lavoravasi, veniva nel commercio degli antichi popoli, chiamata atriana dal nome di tutto l’agro di cui Castelli era parte: oppure, come altri crede, perchè dall’antico porto di Hatria sul Matrino veniva inviata all’Oriente3.

In processo di tempo, venuta la nostra provincia nel dominio de’ Romani, andò man mano perdendosi quella maniera elegante di lavorare in creta; e comechè le [p. 28 modifica]nostre figuline avessero già acquistato i caratteri di quella così detta romana, non pertanto esser doveano anche stimate ai tempi di Plinio, poichè questi ricorda con lode i nostri lavori in terra cotta, ed assai li commenda per la loro fermezza4. Si scavano tuttodì dappresso a Castelli ed in altri luoghi del Teramano anfore grandissime, olle cinerarie, dolii, lucerne sepolcrali, vasi lacrimali ec. Una specie di coppia maestrevolmente tornita e coperta di lieve lustro nero, non ha guari si rinvenne in un antico sepolcro nelle vicinanza di Castelli, e da me si conserva5.

La figulina romana, come tutte le altre di Europa, era inverniciata di una leggerissima patina, che il lucido prendea da un silicato alcalino, il color rosso dal ferro, e il nero dal manganese: e siccome non impediva che i liquidi passassero per i pori della sottostante argilla; così adoperar non poteasi in tutti gli usi domestici.

L’Italia, che nel medio evo fu la più sollecita a riscuotersi dal letargo, in che giacque lunga pezza tutta [p. 29 modifica]Europa, diede all’arte ceramica notevole miglioramento mostrando la vernice composta dall’ossido di piombo prima che fosse edificato il palazzo de’ Re Arabi a Granata. E quantunque affermi il Brogniart, che le analisi fatte al laboratorio di Sèvres, non hanno scoperto nè piombo nè rame nè stagno nelle figuline europee, lavorate prima del secolo XIII6: pure il Passeri ricorda parecchi mattoni smaltati coll’ossido di piombo, esistenti in un sepolcro in Bologna, e certe scodelle della facciata della Badia di Pomposa: sì gli uni che le altre lavorati nel 11007. Se gli esempi porti dal Passeri non bastano, giova far notare che in parecchie antiche Chiese e campanili della provincia teramana, molti ornamenti osservansi di figulina smaltata e colorata in azzurro coll’ossido di cobalto, e in verde con l’unione degli ossidi di cobalto e di antimonio. E di particolar menzione son degne le figuline del campanile di Atri alzato nel 1279; e molto più quelle del frontespizio della Chiesa di S. Maria a mare, costruita verso il X secolo in Castro Nuovo, oggi Giulia Nuova. Da tuttociò si vede chiaro che gli artefici castellani furono i primi, od almeno tra i primi che la nuova vernice piombifera adoperarono in Europa. Nè vi ha dubbio che siffatte figuline sparse d’intorno a Castelli sieno state ivi lavorate; dappoihchè le simiglianti vi si trovano assai di leggieri, e gran copia di frammenti.

[p. 30 modifica]Per quanto io abbia investigato, non ho potuto trovare il come tale miglioramento vi avvenisse; chè gli Arabi che tale smalto introdussero in altri luoghi di Europa, non posero mai piede in questa parte degli Abruzzi. Se il mio corto veder non erra, parmi che i Castellani dovettero aver grand’obbligo ai monaci Benedettini, che nella generale ignoranza non solo le lettere ebbero in cura, ma ancor le arti per comodo comune: come leggesi nelle loro regole antiche nel capitolo che riguarda gli artefici.

Ma intorno a ciò sia che vuole: certo è che i nostri artisti poco di poi migliorarono d’assai siffatta vernice: poichè ad essi venne primamente pensiero di covrir le figuline di una veste di terra bianca, acciò postovi sopra lo smalto trasparente, i lavori comparissero di delicata bianchezza, senza far vedere il colore dell’argilla. Di che ci ha serbato memoria il Cavalier Cipriano Piccol-Passo, che il primo, verso la metà del 1500, un’opera scrisse intorno all’arte del vasaio: egli chiama questa specie di manifattura, oggi detta mezza-maiolica, sempre col nome di lavori alla Castellana8. Il Sig. Raffaelli sta in forse se questa gloria debbasi alla città di Castello (Tifernum Tiberinum), od a Castelli del regno di Napoli9: ma cessa ogni dubbio se si pone ben mente, che in quella città del Pontificio a quei dì non [p. 31 modifica]esistevano fabbriche di figuline; mentre nella nostra Castelli molte ve n’erano, ed ora tra il molto rottame che osservasi presso le antiche officine, si scoprono frammenti di mezza-maiolica. Vari io ne conservo, che mostrano il bel cangiante di madreperla notato dal Passeri.

Non v’ha dubbio che l’arte ceramica grande utilità trasse da questo trovato; la cui mercè potè avvantaggiarsi degli ornamenti della pittura, che insino allora poco o niuno aiuto avea potuto porgerle, per quei colori troppo forti che allo smalto toglier doveano la trasparenza.

Note

  1. V. Palma op. cit. tom. I pag. 39.
  2. Il disegno di questo triente fu da me pubblicato nel Poliorama Pittoresco, ottobre 1852, pag. 168.
  3. Monti, sull’antico e l’attuale commercio nella provincia del 1.° Abruzzo Ultra ec., Memoria inserita nel Gran-Sasso d’Italia an. 1848. pag. 193.
  4. Hist. Nat. lib. 35, cap. 12.
  5. Mi piace qui notare i nomi degli antichi nostri figuli, de’ quali finora si è avuto notizia dalle terre cotte rinvenute ne’ diversi luoghi della Provincia di Teramo. caia decia staberia — fortis — vibiani faor — lvcivs — probvs — nvm — tmciir — l. satvrnini — procvli — s. l. alfici — primi — felix sari — evbvli. In un’anfora trovata, non è molti anni, in un antico sepolcro presso la città di Penne, erano scolpite queste parole:

    ΜΕΝΕΙ · ΣΩ · ΑΝΘS · ΙΛΔΩ

  6. Traité des arts ceramiques, ec. — Paris 1844.
  7. Passeri — Istoria delle pitture in maiolica fatte in Pesaro, pag. 30 — Pesaro 1838.
  8. Quest’opera conservasi manoscritta dal Sig. Raffaelli di Urbania.
  9. Raffaelli — Memorie Istoriche delle maioliche lavorate in Castel Durante, pag. 11. Fermo 1846.