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XIV XVI

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XV.

Negli ultimi giorni di novembre arrivò l’invito da Londra. Era scritto su carta molto grande, color viola pallido, e fortemente profumata. Anche la calligrafia era assai grande, perpendicolare, con molti ghirigori e svolazzi.

Lady Randolph Grey invitava formalmente le signorine Harding a passare a Londra qualche settimana in casa sua. Erano attese per i primi giorni di dicembre; vi sarebbe qualcuno alla stazione di Liverpool-Street a riceverle. Mandava i suoi più distinti saluti all’esimio scienziato, professor Harding, e si protestava la loro affettuosa e sincera amica, Miranda Randolph Grey.

Seguiva un P. S. — «Sarà mia ospite in quei giorni anche la dama d’onore della Regina d’Olanda. Senza dubbio le signorine Harding [p. 108 modifica] saranno liete di fare la conoscenza di quella illustre gentildonna e delle sue due graziosissime figlie».

La dama d’onore della Regina d’Olanda! L’agitazione a Rose Cottage crebbe fino al parossismo. Anche il dottor Harding ne fu blandamente commosso. Il dolore amarissimo di separarsi anche per breve tempo dalle sue figliole fu un poco lenito dal pensiero delle conoscenze illustri che le sue piccole dilette farebbero nella casa patrizia della bella dama, la cui affabilità non gli era mai uscita dalla memoria.

La dama d’onore della Regina di Olanda!... Myosotis corse colla lettera da Miss Jones.

Miss Jones ne fu assai impressionata.

— In tal caso, — dichiarò, — vi dovrete far fare dei vestiti nuovi da Miss Knox.

— Già, già! — esclamarono le fanciulle.

— Ed è impossibile che arriviate a Londra coi vostri cappelli dell’inverno scorso.

— Impossibile! — fecero in coro le due.

— Bisognerà comperare qualche cosa di moderno ed elegante. Una piccola toque da viaggio con bordo di pelliccia per Myosotis; un cappellino con ghirlanda di rose per Leslie. [p. 109 modifica]

Le fanciulle furono perfettamente d’accordo; ma dove trovare quelle eleganti creazioni? I copricapi esposti nella vetrina dell’unica modista di Wild-Forest non erano soverchiamente pittoreschi.

Non c’era che un partito da prendere: andare a Leeds, dove secondo Miss Jones i negozi potevano stare a pari con quelli di Londra.

Dopo molte discussioni e riflessioni e indecisioni fu stabilito che Myosotis andrebbe a Leeds il lunedì seguente; e Miss Jones, da buona amica, consentì ad accompagnarla.

Passarono l’indomani, che era domenica, a fare delle lunghe liste di ciò che dovevano comperare, e il lunedì mattina prestissimo partirono.... dimenticando a casa le liste.

Durante tutto il viaggio Miss Jones si alambiccò il cervello per rifarle, guardando dal finestrino con occhi distratti e la punta della matita in bocca; mentre Myosotis fantasticava intorno a un suo progetto da tanti giorni silenziosamente vagheggiato: — una visita alla zia Marianna!

Arrivate a Leeds fecero le loro compere, dimenticando sempre qualche cosa; ciò che — con grande mortificazione di Myosotis — le [p. 110 modifica] obbligava a ritornare due o tre volte nello stesso negozio per comperare altri oggetti o cercare involti e pacchi scordati sulle sedie e sul banco.

— È strano, — disse Miss Jones, ferma sotto un portone, contando per la decima volta i pacchi, — prima ce ne mancavano tre; adesso ne abbiamo due di troppo.

Dopo molti calcoli e riflessioni e un gran tastare e pigiare e riaprire di pacchi, si trovò che difatti, dal banco del «World’s Emporium» ne avevano portati via due che probabilmente appartenevano ad una signora che stava facendo delle compere accanto a loro.

Bisognò tornare indietro ancora una volta a quel negozio e riportarli con molte scuse e spiegazioni.

Esauste e snervate entrarono per far colazione in un democratico e affollato ristorante chiamato «A. B. C.», dove delle imperiose damigelle, con pettinature piramidali sormontate da piccolissime cuffie inamidate, passavano avanti e indietro con piatti e vassoi. Sedettero in un angolo, ma le signorine continuarono a passare davanti al loro tavolo senza degnarsi di guardarle nè di ascoltare i loro timidi appelli. [p. 111 modifica] Dopo circa mezz’ora una di esse, che pareva la regina di Saba, si fermò al loro tavolo, porse un elaborato menu e attese con sprezzante inarcar di sopracciglia e impaziente battito della punta d’un piede, la loro ordinazione. Questo le confuse a tal punto che finirono coll’ordinare in gran fretta dei cibi che detestavano; e Miss Jones rese vieppiù cupo ed affliggente il pasto con dettagliate e lugubri previsioni riguardanti il suo stomaco e la sua digestione.

Finito il lunch Miss Jones si accinse a raccogliere gli involti.

— Sarà ora di andare alla stazione, — disse. Ma Myosotis la trattenne. — No; lascieremo qui in consegna i pacchi. Abbiamo ancora una cosa da fare.

— Che cosa? — fece Miss Jones, ancora acidetta, ma alquanto placata da due tazze di thè e vari plumcakes.

— Adesso andiamo a fare una visita.

— Una visita? — esclamò Miss Jones. — Ma non conosciamo anima viva a Leeds!

— Sì, sì, ne conosciamo una, — rise Myosotis, deliziosa sotto alla nuova «toque» con una ghirlandetta dei suoi fiori omonimi intorno al bordo, e con una cravatta «bleu Nattier» [p. 112 modifica] legata a fiocco sotto il largo colletto aperto. — Adesso andiamo a trovare.... la zia Marianna!

Miss Jones fece molte proteste ed obbiezioni. — Non le siamo state presentate.... non si può andare senza un permesso speciale in una redazione di giornale....

Ma Myosotis non si lasciò stornare dal suo proposito.

— È assolutamente indispensabile che io le domandi in che modo si deve salutare la dama d’onore di una regina. Vi saranno pure delle regole d’etichetta speciale!

Questo argomento convinse anche Miss Jones; e dopo aver consegnato, con raccomandazioni e mancia, i pacchi alla Regina di Saba, si informarono dell’indirizzo degli uffici del «Mondo e Focolare». Indi s’avviarono per le affollate vie di Leeds verso un alto e nero fabbricato torreggiante in fondo alla High Street.

— Non sappiamo neanche il vero nome di questa «zia Marianna», — brontolò Miss Jones. — E poi, andando così a domandar consiglio, certo bisognerà pagarla!

— Non credo, — fece Myosotis con un sorriso, pensando alla corrispondenza intima e [p. 113 modifica] tenera, scambiata tra lei e la buona amica sconosciuta.

Passando davanti ad un negozio di fiori Myosotis volle entrarvi; e ne uscì portando in mano un gran mazzo fragrante di delicate rose thee.

— Certo le farà piacere, — disse, volgendo a Miss Jones sopra le rose la dolce faccia ridente. — Forse, poverina, poichè è vecchia, nessuno pensa a regalarle dei fiori.

— Come fai a sapere che è vecchia? — chiese Miss Jones, con asprezza.

Ma Myosotis non rispose.

Arrivarono davanti al portone del giornale e, un pochino timide, entrarono nel cortile dove un autocarro stazionava, carico di enormi rotoli di carta. La macchina rotativa della stamperia faceva udire il suo rullo continuo ed assordante.

Spinsero una porta di vetro ed entrarono in un atrio. Miss Jones, affacciandosi a un finestrino dietro al quale lavoravano molte signorine, chiese:

— Si potrebbe parlare colla zia Marianna?

La signorina più vicina al finestrino rispose senza alzare gli occhi: — Redazione. Primo piano. [p. 114 modifica]

Salirono le scale oscure e strette e si trovarono davanti a un’altra porta di vetro: «Direzione e Redazione».

Seduto nell’anticamera un ragazzo con un berretto in testa portante la scritta: «Mondo e Focolare», stava leggendo un giornale illustrato e fumando un mozzicone di sigaretta. Anche lui, come la signorina, non alzò la testa al loro entrare.

Miss Jones ripetè la sua domanda:

— Si potrebbe parlare colla zia Marianna?

Soltanto allora il ragazzo — il tipico «messenger-boy» inglese — alzò la faccia pallida, sporca, e impertinente, e squadrò le visitatrici.

— Cosa volete? — chiese lui, senza togliersi di testa il berretto nè di bocca il mozzicone. — Non si lascia passar nessuno senza sapere che cosa vogliono.

Myosotis e Miss Jones si scambiarono uno sguardo. Impossibile dire a questo antipatico ragazzo: — Vogliamo sapere il modo corretto di salutare la dama d’onore della regina di Olanda.

Il ragazzo stette un poco a guardarle, poi guardò le rose in mano a Myosotis; indi, [p. 115 modifica] facendo a questa una smorfia che somigliava a una strizzatina d’occhio, disse:

— Potete scrivere qui i vostri nomi.... — E spinse verso di loro un foglietto di carta bianca non troppo pulita.

— Metterò io il mio nome, — disse la fanciulla. E china sul tavolo scrisse sul foglietto: — Myosotis. —

Indi, porgendolo al ragazzo, soggiunse:

— Dite alla signora che non la tratterremo che pochi istanti.

Stavolta non c’era da sbagliarsi; il ragazzo, con aria di burla, chiuse un occhio, poi gonfiò le guancie come se volesse scoppiare dalle risa.

— Lo dirò.... alla signora! — disse. E se ne andò sventolando il foglietto.

Rimase assente qualche minuto. Poi riapparve.

— Passate pure, — disse, e ancora facendo le viste di torcersi in silenziosa ilarità, riprese il suo posto e il suo giornale.

— Odiosa persona, — mormorò Miss Jones avviandosi per l’oscuro corridoio.

— Porta 7, — le gridò dietro il ragazzo.

Alla porta 7 Miss Jones bussò con molta decisione e risolutezza, poi entrò senza aspettare risposta. [p. 116 modifica]

Myosotis, timida, colle sue rose in mano, s’era fermata un poco indietro; ma d’un tratto pensò:

— La zia Marianna crederà che Miss Jones sia io! — Allora si avanzò rapida. Ed anche lei entrò dietro alla maestra.

Si trovò in un piccolo ufficio buio, colla finestra che dava su un muro annerito dal fumo e dagli anni. Ed ivi, davanti a una grande tavola ingombra di carte, sedeva un uomo.

Era un uomo sulla quarantina, largo di spalle, con una gran barba bruna. Egli teneva in mano il foglietto scritto da Myosotis, e contemplava Miss Jones con evidente stupefazione. Quella, traverso i suoi occhiali, lo contemplava con non minore sorpresa.

Dopo un momento di incertezza Miss Jones ripetè per la terza volta la sua domanda:

— Posso parlare colla zia Marianna?

Ora gli occhi di lui avevano oltrepassato Miss Jones, e si fermarono sulla figuretta nel vano della porta col suo mazzo di rose in mano. Un riso gli balenò negli occhi, e, alzandosi lentamente dal suo posto, disse:

— La zia Marianna sono io.