Naja Tripudians/XVI
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XVI.
Un silenzio esterreffatto seguì questa dichiarazione. Gli occhi di Myosotis, fissi su quel viso barbuto, si allargavano smisuratamente.... Egli vide quelle iridi balenare azzurrissime, poi con un rapido battere delle palpebre, velarsi subitamente di lagrime.
Erano lagrime di bruciante umiliazione. In un lampo tornarono alla mente di Myosotis le lettere ch’ella aveva scritto a quest’uomo, lettere puerili in cui gli aveva svelata tutta se stessa, in cui aveva descritto le sue intime sensazioni, in cui aveva persino descritto il colore dei suoi occhi e dei suoi capelli.... Tutti, tutti i suoi pensieri aveva detto a questo sconosciuto, credendo, di parlare ad un’amica, a una dolce donna dagli occhi profondi, dalla fronte serena sotto i capelli bianchi....
Un immenso rancore, quasi un senso d’odio, la invase; e colui che la guardava vide un pallore latteo salire lentamente a sbiancarle il viso delicato. E vedendola così pallida, colle sue rose in mano, un improvviso rimorso gli strinse il cuore.
Frattanto Miss Jones aveva ritrovato la favella.
— Ma come, — esclamava stupita, — è lei la persona che firma «zia Marianna?» Ma è possibile!... E come fa lei, un uomo, a intendersi di fronzoli e di fiocchi, di regole d’etichetta e di cosmetici?
Egli cessò di guardare Myosotis e si volse con cortesia verso Miss Jones. — Voglia accomodarsi, signora. — E additava una poltrona accanto al suo scrittoio; indi andò a prendere dal vano della finestra una seggiola e l’offerse a Myosotis. — La prego.... segga.
La fanciulla obbedì, come in sogno.
E come in sogno contemplò quell’uomo, alto, largo di spalle, dai folti, capelli ricciuti e un po’ grigi, la fronte alta e sbarrata dalle sopracciglia dritte e nere come una spennellata d’inchiostro della china; e sotto a quelle nerissime sopracciglia due occhi chiari, infossati, taglienti....
Myosotis non udì nulla di ciò che Miss Jones gli diceva; la udì che rideva d’un riso un po’ stridulo e affettato; finalmente vide che si alzava, che quell’uomo si alzava anch’egli; allora come un’automa ella pure si alzò. L’uomo le si avvicinò e chinando il capo dalla sua grande altezza le parlò.
— Lei deve perdonarmi — disse. — È da vent’anni che faccio la «zia Marianna», e, al principio, rispondendo alle sue lettere non pensavo affatto all’inganno. Poi le sue lettere mi piacquero tanto che.... non volevo che cessassero. Mi comprende? Mi perdona?
Ella non potè alzare gli occhi nè rispondere. Finalmente trovò un filo di voce per dire sommesso, con amaro rimprovero:
— Quella fotografia!...
Egli si avvicinò d’un passo. — È la fotografia di mia madre, — disse.
Un suono, una vibrazione nella sua voce, toccò qualche cosa nel cuore della fanciulla. Con subitaneo impulso ella tese verso lui la mano che teneva le rose.
— Allora...è quella la mia amica! Porti le rose a lei.
Egli accettò il mazzo fragrante, senza rispondere, senza neppur ringraziare.
Miss Jones era già sulla porta e Myosotis la raggiunse.
Le due donne si ritrovarono nell’oscuro corridoio. Passarono davanti al ragazzo che leggeva e che non si mosse.
— Mio Dio! — esclamò Miss Jones appena furono in istrada, — che cosa fantastica! La zia Marianna, un uomo!... Chi mai l’avrebbe pensato! Probabilmente — soggiunse, — sarà molto povero, e non avrà trovato altro da fare.
— Già, — fece Myosotis ad occhi bassi.
E non disse altro.
D’improvviso Miss Jones si fermò.
— Giusto cielo! — esclamò, — abbiamo dimenticato di chiedergli come si deve salutare la dama d’onore della regina d’Olanda!