Mirra (Alfieri, 1946)/Atto terzo
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ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Ciniro, Cecri.
venuto a noi Peréo, scontento appieno
fu dei sensi di Mirra. Ella non l’ama;
certezza io n’ebbi; e andando ella a tai nozze,
corre (pur troppo!) ad infallibil morte.
Ciniro Or, per ultima prova, udiam noi stessi
dal di lei labro il vero. In nome tuo
ingiunger giá le ho fatto, che a te venga.
Nessun di noi forza vuol farle, in somma:
quanto l’amiamo, il sa ben ella, a cui
non siam men cari noi. Ch’ella omai chiuda
in ciò il suo core a noi, del tutto parmi
impossibile; a noi, che di noi stessi,
non che di se, la femmo arbitra e donna.
Cecri Ecco, ella viene: oh! mi par lieta alquanto;
e piú franco il suo passo... Ah! pur tornasse
qual era! al sol riapparirle in volto
anco un lampo di gioja, in vita io tosto
ritornata mi sento.
SCENA SECONDA
Mirra, Cecri, Ciniro.
deh! vieni a noi; deh! vieni.
Mirra Oh ciel! che veggo?
Anco il padre!...
Ciniro T’inoltra, unica nostra
speranza e vita; inoltrati secura;
e non temere il mio paterno aspetto,
piú che non temi della madre. A udirti
siam presti entrambi. Or, del tuo fero stato
se disvelarne la cagion ti piace,
vita ci dai; ma, se il tacerla pure
piú ti giova o ti aggrada, anco tacerla,
figlia, tu puoi; che il tuo piacer fia il nostro.
Ad eternare il marital tuo nodo
manca omai sola un’ora; il tien ciascuno
per certa cosa: ma, se pur tu fossi
cangiata mai; se t’increscesse al core
la data fe; se la spontanea tua
libera scelta or ti spiacesse; ardisci,
non temer cosa al mondo, a noi la svela.
Non sei tenuta a nulla; e noi primieri
te ne sciogliam, noi stessi; e, di te degno,
generoso ti scioglie anco Peréo.
Né di leggiera vorrem noi tacciarti:
anzi, creder ci giova che maturi
pensier novelli a ciò ti astringan ora.
Da cagion vile esser non puoi tu mossa;
l’indole nobil tua, gli alti tuoi sensi,
e l’amor tuo per noi, ci è noto il tutto:
di te, del sangue tuo cosa non degna,
né pur pensarla puoi. Tu dunque appieno
adempi il voler tuo; purché felice
tuoi genitor tu renda. Or, qual ch’ei sia
questo presente tuo voler, lo svela,
come a fratelli, a noi.
Cecri Deh! sí: tu il vedi;
né dal materno labro udisti mai
piú amoroso, piú tenero, piú mite
parlar, di questo.
Mirra ... Havvi tormento al mondo,
che al mio si agguagli?...
Cecri Ma, che fia? tu parli
sospirando infra te?
Ciniro Lascia, deh! lascia,
che il tuo cor ci favelli: altro linguaggio
non adopriam noi teco. — Or via; rispondi.
Mirra ... Signor...
Ciniro Tu mal cominci: a te non sono
signor; padre son io: puoi tu chiamarmi
con altro nome, o figlia?
Mirra O Mirra, è questo
l’ultimo sforzo. — Alma, coraggio...
Cecri Oh cielo!
Pallor di morte in volto...
Mirra A me?...
Ciniro Ma donde,
donde il tremar? del padre tuo?...
Mirra Non tremo...
parmi;... od almen, non tremerò piú omai,
poiché ad udirmi or sí pietosi state. —
L’unica vostra, e troppo amata figlia
son io, ben so. Goder d’ogni mia gioja,
e v’attristar d’ogni mio duol vi veggo;
ciò stesso il duol mi accresce. Oltre i confini
del natural dolore il mio trascorre;
invan lo ascondo; e a voi vorrei pur dirlo,...
ove il sapessi io stessa. Assai giá pria,
Peréo scegliessi, in me cogli anni sempre
la fatal mia tristezza orrida era ita
ogni dí piú crescendo. Irato un Nume,
implacabile, ignoto, entro al mio petto
si alberga; e quindi, ogni mia forza è vana
contro alla forza sua... Credilo, o madre;
forte, assai forte (ancor ch’io giovin sia)
ebbi l’animo, e l’ho: ma il debil corpo,
egro ei soggiace;... e a lenti passi in tomba
andar mi sento... — Ogni mio poco e rado
cibo, mi è tosco: ognor mi sfugge il sonno;
o con fantasmi di morte tremendi,
piú che il vegliar, mi dan martíro i sogni:
né dí, né notte, io non trovo mai pace,
né riposo, né loco. Eppur sollievo
nessuno io bramo; e stimo, e aspetto, e chieggo,
come rimedio unico mio, la morte.
Ma, per piú mio supplicio, co’ suoi lacci
viva mi tien natura. Or me compiango,
or me stessa abborrisco: e pianto, e rabbia,
e pianto ancora... È la vicenda questa,
incessante, insoffribile, feroce,
in cui miei giorni infelici trapasso. —
Ma che?... voi pur dell’orrendo mio stato
piangete?... Oh madre amata!... entro il tuo seno
ch’io, suggendo tue lagrime, conceda
un breve sfogo anco alle mie!...
Cecri Diletta
figlia, chi può non piangere al tuo pianto?...
Ciniro Squarciare il cor mi sento da’ suoi detti...
Ma in somma pur, che far si dee?...
Mirra Ma in somma,
(deh! mel credete) in mio pensier non cadde
mai di attristarvi, né di trarvi a vana
pietá di me, coll’accennar mie fere
Peréo scegliendo, ebbi mia sorte io stessa,
meno affannosa rimaner mi parve,
da prima, è ver; ma, quanto poi piú il giorno
del nodo indissolubil si appressava,
vie piú forti le smanie entro al mio cuore
ridestavansi; a tal, ch’io ben tre volte
pregarvi osai di allontanarlo. In questi
indugj io pur mi racquetava alquanto;
ma, col scemar del tempo, ricrescea
di mie Furie la rabbia. Oggi son elle,
con mia somma vergogna e dolor sommo,
giunte al lor colmo al fin: ma sento anch’oggi,
che nel mio petto di lor possa han fatto
l’ultima prova. Oggi a Peréo son io
sposa, o questo esser demmi il giorno estremo.
Cecri Che sento?... Oh figlia!... E alle ferali nozze
ostinarti tu vuoi?...
Ciniro No, mai non fia.
Peréo non ami; e mal tuo grado, indarno,
vuoi darti a lui...
Mirra Deh! non mi torre ad esso;
o dammi tosto a morte... È ver, ch’io, forse,
quanto egli me, non l’amo;... e ciò, neppure
io ben mel so... Credi, ch’io assai lo estimo;
e che null’uomo avrá mia destra al mondo,
s’egli non l’ha. Caro al mio core, io spero,
Peréo sará, quanto il debb’esser; seco
vivendo io fida e indivisibil sempre,
egli in me pace, io spero, egli in me gioja
tornar fará: cara, e felice forse,
un giorno ancor mi fia la vita. Ah! s’io
finor non l’amo al par ch’ei merta, è colpa
non di me, del mio stato; in cui me stessa
prima abborrisco... Io l’ho pur scelto: ed ora,
io di nuovo lo scelgo: io bramo, io chieggo
era la scelta mia: si compia or dunque,
come il voleste, e come io ’l voglio, il tutto.
Poiché maggior del mio dolore io sono,
siatel pur voi. Quanto il potrò piú lieta,
vengo in breve alle nozze: e voi, beati
ve ne terrete un giorno.
Cecri Oh rara figlia!
quanti mai pregj aduni!
Ciniro Un po’ mi acqueta
il tuo parlar; ma tremo...
Mirra In me piú forte
tornar mi sento, in favellarvi. Appieno
tornar, sí, posso di me stessa io donna,
(ove il voglian gli Dei) pur che soccorso
voi men prestiate.
Ciniro E qual soccorso?
Cecri Ah! parla.
Tutto faremo.
Mirra Addolorarvi ancora
io deggio. Udite. — Al travagliato petto,
e alla turbata egra mia mente oppressa,
alto rimedio or fia, di nuovi oggetti
la vista; e in ciò il piú tosto, il miglior fia.
L’abbandonarvi (oh ciel!) quanto a me costi,
dir nol posso; il diranno le mie lagrime,
quand’io darovvi il terribile addio:
se il potrò pur, senza cadere,... o madre,
infra tue braccia estinta... Ma, s’io pure
lasciar vi posso, il dí verrá, che a questo
generoso mio sforzo, e vita, e pace,
e letizia dovrò.
Cecri Tu di lasciarci
parli? e il vuoi tosto; e in un lo temi e il brami?
Ma qual fia mai?...
Ciniro Lasciarci? e a noi che resta,
irne al padre dovrai; ma intanto pria
lieta con noi quí lungamente ancora....
Mirra E s’io quí lieta esser per or non posso,
vorreste voi quí pria morta vedermi,
che felice sapermi in stranio lido? —
Tosto, piú o meno, il mio destin mi chiama
nella reggia d’Epíro: ivi pur debbo
con Peréo dimorarmi. A voi ritorno
faremo un dí, quando il paterno scettro
Peréo terrá. Di molti figli e cari
me lieta madre rivedrete in Cipro,
se il concedono i Numi: e, qual piú a grado
a voi sará tra i figli miei, sostegno
vel lasceremo ai vostri anni canuti.
Cosí a questo bel regno erede avrete
del sangue vostro; poiché a voi negato
prole han finor del miglior sesso i Numi.
Voi primi allor benedirete il giorno,
che partir mi lasciaste. — Al sol novello,
deh! concedete, che le vele ai venti
meco Peréo dispieghi. Io sento in cuore
certo un presagio funesto, che dove
il partir mi neghiate, (ahi lassa!) io preda
in questa reggia infausta oggi rimango
d’una invincibil sconosciuta possa:
che a voi per sempre io sto per esser tolta...
Deh! voi pietosi; o al mio presagio fero
crediate; o, all’egra fantasia dolente
cedendo, secondar piacciavi il mio
errore. La mia vita, il mio destino,
ed anco (oh cielo! io fremo) il destin vostro;
dal mio partir, tutto, purtroppo! or pende.
Cecri Oh figlia!...
Ciniro Oimè!... Tremar ci fan tuoi detti...
Ma pur, quanto a te piace, appien si faccia.
non piú vederti, che cosí vederti. —
E tu, dolce consorte, in pianto muta
ti stai?... Consenti al suo desio?
Cecri Morirne
fossi almen certa, come (ahi trista!) il sono
di viver sempre in sconsolato pianto!...
Fosse almen vero un dí l’augurio fausto,
che dei cari nepoti ella ne accenna!...
Ma, poiché tale il suo strano pensiero,
pur ch’ella viva, seguasi.
Mirra La vita,
madre, or mi dai per la seconda volta.
Presta alle nozze io son fra un’ora. Il tempo
vel proverá, s’io v’ami; ancor che lieta
io di lasciarvi appaia. — Or mi ritraggo
a mie stanze, per poco: asciutto affatto
recar vo’ il ciglio all’ara; e al degno sposo
venir gradita con serena fronte.
SCENA TERZA
Ciniro, Cecri.
Ciniro Eppure,
di vederla ogni giorno piú infelice,
no, non mi basta il core. Invan l’opporci...
Cecri Oh sposo!... io tremo, che ai nostri occhi appena
toltasi, il fero suo dolor la uccida.
Ciniro Ai detti, agli atti, ai guardi, anco ai sospiri,
par che la invasi orribilmente alcuna
sovrumana possanza.
Cecri ... Ah! ben conosco,
cruda implacabil Venere, le atroci
in questa guisa, il mio parlar superbo.
Ma, la mia figlia era innocente; io sola,
l’audace io fui; la iniqua, io sola...
Ciniro Oh cielo!
che osasti mai contro alla Dea?...
Cecri Me lassa!...
Odi il mio fallo, o Ciniro. — In vedermi
moglie adorata del piú amabil sposo,
del piú avvenente infra i mortali, e madre
per lui d’unica figlia (unica al mondo
per leggiadria, beltá, modestia, e senno)
ebra, il confesso, di mia sorte, osava
negar io sola a Venere gl’incensi.
Vuoi piú? folle, orgogliosa, a insania tanta
(ahi sconsigliata!) io giunsi, che dal labro
io sfuggir mi lasciava; che piú gente
tratta è di Grecia e d’Oríente omai
dalla famosa alta beltá di Mirra,
che non mai tratta per l’addietro in Cipro
dal sacro culto della Dea ne fosse.
Ciniro Oh! che mi narri?...
Cecri Ecco, dal giorno in poi,
Mirra piú pace non aver; sua vita,
e sua beltá, qual debil cera al fuoco,
lentamente distruggersi; e niun bene
non v’esser piú per noi. Che non fec’io,
per placar poi la Dea? quanti non porsi
e preghi, e incensi, e pianti? indarno sempre.
Ciniro Mal festi, o donna; e fu il tacermel, peggio.
Padre innocente appieno, io co’ miei voti
forse acquetar potea l’ira celeste:
e forse ancor (spero) il potrò. — Ma intanto,
io pur di Mirra or nel pensier concorro:
ben forza è torre, e senza indugio nullo,
da quest’isola sacra il suo cospetto.
l’ira non vuol dell’oltraggiato Nume:
e quindi forse la infelice figlia,
tal sentendo presagio ignoto in petto,
tanto il partir desia, tanto ne spera. —
Ma, vien Peréo: ben venga: ei sol serbarci
può la figlia, col torcela.
Cecri Oh destino!
SCENA QUARTA
Ciniro, Pereo, Cecri.
di mortal duol, voi mi vedete. Un fero
contrasto è in me: pur, gentilezza, e amore
vero d’altrui, non di me stesso, han vinto.
Men costerá la vita. Altro non duolmi,
che il non poter, con util vostro almeno,
spenderla omai: ma l’adorata Mirra
a morte io trarre, ah! no, non voglio. Il nodo
fatal si rompa; e de’ miei giorni a un tempo
rompasi il filo.
Ciniro Oh figlio!... ancor ti appello
di tal nome; e il sarai tra breve, io spero.
Noi, dopo te, noi pure i sensi udimmo
di Mirra: io seco, qual verace padre,
tutto adoprai perch’ella appien seguisse
il suo libero intento: ma, piú salda,
che all’aure scoglio, ella si sta: te solo
e vuole, e chiede; e teme, che a lei tolto
sii tu. Cagion del suo dolore addurne
ella stessa non sa: l’egra salute,
che l’effetto pria n’era, omai n’è forse
la cagion sola. Ma il suo duol profondo
né sdegno alcuno in te destar debb’ella,
piú che ne desti in noi. Sollievo dolce
tu del suo mal sarai: d’ogni sua speme
l’amor tuo forte, è base. Or, qual vuoi prova
maggior di questa? al nuovo dí lasciarci
(noi, che l’amiam pur tanto!) ad ogni costo
vuole ella stessa; e per ragion ne assegna,
l’esser piú teco, il divenir piú tua.
Pereo Creder, deh, pure il potess’io! ma appunto
questo partir sí subito... Oimè! tremo,
che in suo pensier disegni ella stromento
della sua morte farmi.
Cecri A te, Peréo,
noi l’affidiamo: il vuole oggi il destino.
Pur troppo quí, su gli occhi nostri, morta
cadria, se ostare al suo voler piú a lungo
cel sofferisse il core. In giovin mente
grande ha possanza il varíar gli oggetti.
Ogni tristo pensier deponi or dunque;
e sol ti adopra in lei vieppiú far lieta.
La tua pristina gioja in volto chiama;
e, col non mai del suo dolor parlarle,
vedrai che in lei presso a finir fia ’l duolo.
Pereo Creder dunque poss’io, creder davvero,
che non mi abborre Mirra?
Ciniro A me tu il puoi
creder, deh! sí. Qual ti parlassi io dianzi,
rimembra; or son dal suo parlar convinto,
che, lungi d’esser de’ suoi lai cagione,
suo sol rimedio ella tue nozze estima.
Dolcezza assai d’uopo è con essa; e a tutto
piegherassi ella. Vanne; e a lieta pompa
disponti in breve; e in un (pur troppo!) il tutto,
per involarci al nuovo sol la figlia,
anco disponi. Del gran tempio all’ara,
che il troppo lungo rito al partir ratto
ostacol fora. In questa reggia, gl’inni
d’Imenéo canteremo.
Pereo A vita appieno
tornato m’hai. Volo; a momenti io riedo.