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248 mirra
merta, qual ch’egli sia, pietá pur molta;

né sdegno alcuno in te destar debb’ella,
piú che ne desti in noi. Sollievo dolce
tu del suo mal sarai: d’ogni sua speme
l’amor tuo forte, è base. Or, qual vuoi prova
maggior di questa? al nuovo dí lasciarci
(noi, che l’amiam pur tanto!) ad ogni costo
vuole ella stessa; e per ragion ne assegna,
l’esser piú teco, il divenir piú tua.
Pereo Creder, deh, pure il potess’io! ma appunto
questo partir sí subito... Oimè! tremo,
che in suo pensier disegni ella stromento
della sua morte farmi.
Cecri   A te, Peréo,
noi l’affidiamo: il vuole oggi il destino.
Pur troppo quí, su gli occhi nostri, morta
cadria, se ostare al suo voler piú a lungo
cel sofferisse il core. In giovin mente
grande ha possanza il varíar gli oggetti.
Ogni tristo pensier deponi or dunque;
e sol ti adopra in lei vieppiú far lieta.
La tua pristina gioja in volto chiama;
e, col non mai del suo dolor parlarle,
vedrai che in lei presso a finir fia ’l duolo.
Pereo Creder dunque poss’io, creder davvero,
che non mi abborre Mirra?
Ciniro   A me tu il puoi
creder, deh! sí. Qual ti parlassi io dianzi,
rimembra; or son dal suo parlar convinto,
che, lungi d’esser de’ suoi lai cagione,
suo sol rimedio ella tue nozze estima.
Dolcezza assai d’uopo è con essa; e a tutto
piegherassi ella. Vanne; e a lieta pompa
disponti in breve; e in un (pur troppo!) il tutto,
per involarci al nuovo sol la figlia,
anco disponi. Del gran tempio all’ara,