Mirra (Alfieri, 1946)/Atto quarto

Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Euriclea, Mirra.

Mirra Sí; pienamente in calma omai tornata,

cara Euricléa, mi vedi; e lieta, quasi,
del mio certo partire.
Euric.   Oimè! fia vero?...
Sola ne andrai col tuo Peréo?... né trarti
al fianco vuoi, non una pur di tante
tue fide ancelle? E me da lor non scerni,
che neppur me tu vuoi?... Di me che fia,
se priva io resto della dolce figlia?
Solo in pensarvi, oimè! morir mi sento...
Mirra Deh! taci... Un dí ritornerò...
Euric.   Deh! il voglia,
il voglia il cielo! Oh figlia amata!... Ah! tale
durezza in te, no, non creda: sperato
avea pur sempre di morirmi al tuo fianco...
Mirra S’io meco alcun di questa reggia trarre
acconsentir poteva, eri tu sola,
quella ch’io chiesta avrei... Ma, in ciò son salda...
Euric. E al nuovo dí tu parti?...
Mirra   Al fin certezza
dai genitor ne ottenni; e scior vedrammi
da questo lido la nascente aurora.

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Euric. Deh! ti sia fausto il dí!... Pur ch’io felice

almen ti sappia!... Ella è ben cruda gioja,
questa che quasi ora in lasciarci mostri...
Pur, se a te giova, io piangerò, ma muta
con la dolente genitrice...
Mirra   Oh! quale
muovi tu assalto al mio mal fermo cuore?...
Perché sforzarmi al pianto?...
Euric.   E come il pianto
celar poss’io?... Quest’è l’ultima volta,
ch’io ti vedo, e ti abbraccio. D’anni molti
carca me lasci, e di dolor piú assai.
Al tuo tornar, se pur mai riedi, in tomba
mi troverai: qualche lagrima, spero,...
alla memoria... della tua Euricléa...
almen darai...
Mirra   Deh!... per pietá mi lascia;
o taci almeno. — Io tel comando; taci.
Essere omai per tutti dura io deggio;
ed a me prima io ’l sono. — È giorno questo
di gioja e nozze. Or, se tu mai mi amasti,
aspra ed ultima prova oggi ten chieggo;
frena il tuo pianto,... e il mio. — Ma, giá lo sposo
venirne io veggio. Ogni dolor sia muto.


SCENA SECONDA

Pereo, Mirra, Euriclea.

Pereo D’inaspettata gioja hammi ricolmo,

Mirra, il tuo genitore: ei stesso, lieto,
il mio destin, ch’io tremando aspettava,
annunziommi felice. Ai cenni tuoi
preste saranno al nuovo albór mie vele,
poiché tu il vuoi cosí. Piacemi almeno,

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che vi acconsentan placidi e contenti

i genitori tuoi: per me non altra
gioja esser può, che di appagar tue brame.
Mirra Sí, dolce sposo; ch’io giá tal ti appello;
se cosa io mai ferventemente al mondo
bramai, di partir teco al nuovo sole
tutta ardo, e il voglio. Il ritrovarmi io tosto
sola con te; non piú vedermi intorno
nullo dei tanti oggetti a lungo stati
testimon del mio pianto, e cagion forse;
il solcar nuovi mari, e a nuovi regni
irne approdando; aura novella e pura
respirare, e tuttor trovarmi al fianco
pien di gioja e d’amore un tanto sposo;
tutto, in breve, son certa, appien mi debbe
quella di pria tornare. Allor sarotti
meno increscevol, spero. Aver t’è d’uopo
pietade intanto alcuna del mio stato;
ma, non fia lunga; accertati. Il mio duolo,
se tu non mai men parli, in breve svelto
fia da radice. Deh! non la paterna
lasciata reggia, e non gli orbati e mesti
miei genitor; né cosa, in somma, alcuna
delle giá mie, tu mai, né rimembrarmi
dei, né pur mai nomarmela. Fia questo
rimedio, il sol, che asciugherá per sempre
il mio finor perenne orribil pianto.
Pereo Strano, inaudito è il tuo disegno, o Mirra:
deh! voglia il ciel, ch’ei non t’incresca un giorno! —
Pur, benché in cor lusinga omai non m’entri
d’esserti caro, in mio pensier son fermo
di compier ciecamente ogni tua brama.
Ove poi voglia il mio fatal destino,
ch’io mai non merti l’amor tuo, la vita
che per te sola io serbo (questa vita,
cui tolta io giá di propria man mi avrei,

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s’oggi perderti affatto erami forza)

questa mia vita per sempre consacro
al tuo dolore, poiché a ciò mi hai scelto.
A pianger teco, ove tu il brami; a farti,
tra giuochi e feste, il tuo cordoglio e il tempo
ingannar, se a te giova; a porre in opra,
a prevenir tutti i desiri tuoi;
a mostrarmiti ognor, qual piú mi vogli,
sposo, amico, fratello, amante, o servo;
ecco, a quant’io son presto: e in ciò soltanto
la mia gloria fia posta e l’esser mio.
Se non potrai me poscia amar tu mai,
parmi esser certo, che odíarmi almeno
neppur potrai.
Mirra   Che parli tu? Deh! meglio
Mirra e te stesso in un conosci e apprezza.
Alle tante tue doti amor sí immenso
v’aggiungi tu, che di ben altro oggetto,
ch’io nol son, ti fa degno. Amor sue fiamme
porrammi in cor, tosto che sgombro ei l’abbia
dal pianto appieno. Indubitabil prova
abbine, ed ampia, oggi in veder ch’io scelgo
d’ogni mio mal te sanator pietoso;
ch’io stimo te, ch’io ad alta voce appello,
Peréo, te sol liberator mio vero.
Pereo D’alta gioja or m’infiammi: il tuo bel labro
tanto mai non mi disse: entro al mio core
stanno in note di fuoco omai scolpiti
questi tuoi dolci accenti. — Ecco venirne
giá i sacerdoti, e la festosa turba,
e i cari nostri genitori. O sposa,
deh! questo istante a te davver sia fausto,
come il piú bello è a me del viver mio!

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SCENA TERZA

Sacerdoti, Coro di fanciulli, donzelle, e vecchi;

Ciniro, Cecri, Popolo, Mirra, Pereo, Euriclea.

Ciniro Amati figli, augurio lieto io traggo

dal vedervi precedere a noi tutti,
al sacro rito. In sul tuo viso è sculta,
Peréo, la gioja; e della figlia io veggo
fermo e sereno anco l’aspetto. I Numi
certo abbiamo propizj. — In copia incensi
fumino or dunque in su i recati altari;
e, per far vie piú miti a noi gli Dei,
schiudasi il canto; al ciel rimbombin grati
devoti inni vostri alti-sonanti.
Coro1   «O tu, che noi mortali egri conforte,
«fratel d’Amor, dolce Imenéo, bel Nume;
«deh! fausto scendi; = e del tuo puro lume
«fra i lieti sposi accendi
«fiamma, cui nulla estingua, altro che morte. —
Fanc.   «Benigno a noi, lieto Imenéo, deh! vola
«del tuo german su i vanni;
Donz. «e co’ suoi stessi inganni
«a lui tu l’arco, = e la farétra invola:
Vecchi «ma scendi scarco
«di sue lunghe querele e tristi affanni: —
Coro «de’ nodi tuoi, bello Imenéo giocondo,
«stringi la degna coppia unica al mondo».
Euric. Figlia, che fia? tu tremi?... oh cielo!...
Mirra   Taci:
deh! taci...
Euric.   Eppur...
Mirra   No, non è ver; non tremo. —

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Coro   «O d’Imenéo e d’Amor madre sublime,

«o tra le Dive Diva,
«alla cui possa nulla possa è viva;
«Venere, deh! fausta agli sposi arridi
«dalle olimpiche cime,
«se sacri mai ti fur di Cipro i lidi.
Fanc.   «Tutta è tuo don questa beltá sovrana,
«onde Mirra è vestita, e non altera;
Donz. «lasciarci in terra la tua immagin vera
«piacciati, deh! col farla allegra e sana,
Vecchi «e madre in breve di sí nobil prole,
«che il padre, e gli avi, e i regni lor, console. —
Coro   «Alma Dea, per l’azzurre aure del cielo,
«coi be’ nitidi cigni al carro aurato,
«raggiante scendi; abbi i duo figli a lato;
«e del bel roseo velo
«gli sposi all’ara tua prostráti ammanta;
«e in due corpi una sola alma traspianta».
Cecri Figlia, deh! sí; della possente nostra
Diva, tu sempre umíl... Ma che? ti cangi
tutta d’aspetto?... Oimè! vacilli? e appena
su i piè tremanti?...
Mirra   Ah! per pietá, coi detti
non cimentar la mia costanza, o madre:
del sembiante non so;... ma il cor, la mente,
salda stommi, immutabile.
Euric.   Per essa
morir mi sento.
Pereo   Oimè! vieppiú turbarsi
la veggo in volto?... Oh qual tremor mi assale! —
Coro   «La pura Fe, l’eterna alma Concordia,
«abbian lor templo degli sposi in petto;
«e indarno sempre la infernale Aletto,
«con le orribil suore,
«assalto muova di sue negre tede
«al forte intatto core

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«dell’alta sposa, = che ogni laude eccede:

«e, invan rabbiosa,
«se stessa roda la feral Discordia...».
Mirra Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte
le Furie ho in me tremende. Eccole; intorno
col vipereo flagello e l’atre faci
stan le rabide Erinni; ecco quai merta
questo imenéo le faci...
Ciniro   Oh ciel! che ascolto?
Cecri Figlia, oimè! tu vaneggi...
Pereo   Oh infauste nozze!
Non fia, no mai...
Mirra   — Ma che? giá taccion gl’inni?...
Chi al sen mi stringe? Ove son io? Che dissi?
Son io giá sposa? Oimè!...
Pereo   Sposa non sei,
Mirra; né mai tu di Peréo, tel giuro,
sposa sarai. Le agitatrici Erinni,
minori no, ma dalle tue diverse,
mi squarcian pure il cuore. Al mondo intero
favola omai mi festi; ed a me stesso
piú insoffribil, che a te: non io per tanto
farti voglio infelice. Appien tradita,
mal tuo grado, ti sei: tutto traluce
l’invincibile tuo lungo ribrezzo,
che per me nutri. Oh noi felici entrambi,
che ti tradisti in tempo! Omai disciolta
sei dal richiesto ed abborrito giogo.
Salva, e libera, sei. Per sempre io tolgo
dagli occhi tuoi quest’odíoso aspetto...
Paga e lieta vo’ farti... Infra brev’ora,
qual resti scampo a chi te perde, udrai.

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SCENA QUARTA

Ciniro, Mirra, Cecri, Euriclea,

Sacerdoti, Coro, Popolo.

Ciniro Contaminato è il rito; ogni solenne

pompa omai cessi, e taccian gl’inni. Altrove
itene intanto, o sacerdoti. Io voglio,
(misero padre!) almen pianger non visto.


SCENA QUINTA

Ciniro, Mirra, Cecri, Euriclea.

Euric. Mirra piú presso a morte assai, che a vita,

stassi: il vedete, ch’io a stento la reggo?
Oh figlia!...
Ciniro   Donne, a se medesma in preda
costei si lasci, e alle sue furie inique.
Duro, crudel, mal grado mio, mi ha fatto
con gl’inauditi modi suoi: pietade
piú non ne sento. Ella, all’altar venirne,
contra il voler dei genitori quasi,
ella stessa il voleva: e sol, per trarci
a tal nostr’onta e sua?... Pietosa troppo,
delusa madre, lasciala: se pria
noi severi non fummo, è giunto il giorno
d’esserlo al fine.
Mirra   È ver: Ciniro meco
inesorabil sia; null’altro io bramo;
null’altro io voglio. Ei terminar può solo
d’una infelice sua figlia non degna
i martír tutti. — Entro al mio petto vibra
quella che al fianco cingi ultrice spada:
tu questa vita misera, abborrita,
davi a me giá; tu me la togli: ed ecco

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l’ultimo dono, ond’io ti prego... Ah! pensa;

che se tu stesso, e di tua propria mano,
me non uccidi, a morir della mia
omai mi serbi, ed a null’altro.
Ciniro   Oh figlia!...
Cecri Oh parole!... Oh dolor!... Deh! tu sei padre;
padre tu sei;... perché innasprirla?... Or forse
non è abbastanza misera?... Ben vedi,
mal di se stessa è donna; ad ogni istante
fuor di se stessa è dal dolore...
Euric.   O Mirra...
Figlia,... e non m’odi?... Parlar,... pel gran pianto,...
non posso...
Ciniro   Oh stato!... A sí terribil vista
non reggo... Ah! sí, padre pur troppo io sono;
e di tutti il piú misero... Mi sforza
giá, piú che l’ira, or la pietá. Mi traggo
a pianger solo altrove. Ah! voi sovr’essa
vegliate intanto. — In se tornata, in breve,
ella udrá poscia favellarle il padre.


SCENA SESTA

Cecri, Mirra, Euriclea.

Euric. Ecco, di nuovo ella i sensi ripiglia...

Cecri Buona Euricléa, con lei lasciami sola;
parlarle voglio.


SCENA SETTIMA

Cecri, Mirra.

Mirra   — Uscito è il padre?... Ei dunque,

ei di uccidermi niega?... Deh! pietosa
dammi tu, madre, un ferro; ah! sí; se l’ombra

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pur ti riman per me d’amore, un ferro,

senza indugiar, dammi tu stessa. Io sono
in senno appieno; e ciò ch’io dico, e chieggo,
so quanto importi: al senno mio, deh! credi;
n’è tempo ancor: ti pentirai, ma indarno,
del non mi aver d’un ferro oggi soccorsa.
Cecri Diletta figlia,... oh ciel!... tu, pel dolore,
certo vaneggi. Alla tua madre mai
non chiederesti un ferro... — Or, piú di nozze
non si favelli: uno inaudito sforzo
quasi pur troppo a compierle ti trasse;
ma, piú di te potea natura; i Numi
io ne ringrazio assai. Tu fra le braccia
della dolce tua madre starai sempre:
e se ad eterno pianto ti condanni,
pianger io teco eternamente voglio,
né mai, né d’un sol passo, mai lasciarti:
sarem sol’una; e del dolor tuo stesso,
poich’ei da te partir non vuolsi, anch’io
vestirmi vo’. Piú suora a te, che madre,
spero, mi avrai... Ma, oh ciel! che veggio? O figlia,...
meco adirata sei?... me tu respingi?...
e di abbracciarmi nieghi? e gl’infuocati
sguardi?... Oimè! figlia,... anco alla madre?...
Mirra   Ah! troppo
dolor mi accresce anco il vederti: il cuore,
nell’abbracciarmi tu, vieppiú mi squarci... —
Ma... oimè!... che dico?... Ahi madre!... Ingrata, iniqua,
figlia indegna son io, che amor non merto.
Al mio destino orribile me lascia;...
o se di me vera pietá tu senti,
io tel ridico, uccidimi.
Cecri   Ah! me stessa
ucciderei, s’io perderti dovessi:
ahi cruda! e puoi tu dirmi, e replicarmi
cosí acerbe parole? — Anzi, vo’ sempre

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d’ora in poi sul tuo viver vegliar io.

Mirra Tu vegliare al mio vivere? ch’io deggia,
ad ogni istante, io rimirarti? innanzi
agli occhi miei tu sempre? ah! pria sepolti
voglio in tenebre eterne gli occhi miei:
con queste man mie stesse, io stessa pria
me li vo’ sverre, io, dalla fronte...
Cecri   Oh cielo!
che ascolto?... Oh ciel!... Rabbrividir mi fai.
Me dunque abborri?...
Mirra   Tu prima, tu sola,
tu sempiterna cagione funesta
d’ogni miseria mia...
Cecri   Che parli?... Oh figlia!...
Io la cagion?... Ma giá il tuo pianto a rivi...
Mirra Deh! perdonami; deh!... Non io favello;
una incognita forza in me favella...
Madre, ah! troppo tu m’ami; ed io...
Cecri   Me nomi
cagion?...
Mirra   Tu, sí; de’ mali miei cagione
fosti, nel dar vita ad un’empia; e il sei,
s’or di tormela nieghi; or, ch’io ferventi
prieghi ten porgo. Ancor n’è tempo; ancora
sono innocente, quasi... — Ma,... non regge
a tante furie... il languente... mio... corpo...
Mancano i piè,... mancano... i sensi...
Cecri   Io voglio
trarti alle stanze tue. D’alcun ristoro
d’uopo hai, son certa; dal digiun tuo lungo
nasce in te il vaneggiare. Ah! vieni; e al tutto
in me ti affida: io vo’ servirti, io sola.


  1. Ove il coro non cantasse, precederá ad ogni stanza una breve sinfonia adattata alle parole, che stanno per recitarsi poi.