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252 mirra
che vi acconsentan placidi e contenti

i genitori tuoi: per me non altra
gioja esser può, che di appagar tue brame.
Mirra Sí, dolce sposo; ch’io giá tal ti appello;
se cosa io mai ferventemente al mondo
bramai, di partir teco al nuovo sole
tutta ardo, e il voglio. Il ritrovarmi io tosto
sola con te; non piú vedermi intorno
nullo dei tanti oggetti a lungo stati
testimon del mio pianto, e cagion forse;
il solcar nuovi mari, e a nuovi regni
irne approdando; aura novella e pura
respirare, e tuttor trovarmi al fianco
pien di gioja e d’amore un tanto sposo;
tutto, in breve, son certa, appien mi debbe
quella di pria tornare. Allor sarotti
meno increscevol, spero. Aver t’è d’uopo
pietade intanto alcuna del mio stato;
ma, non fia lunga; accertati. Il mio duolo,
se tu non mai men parli, in breve svelto
fia da radice. Deh! non la paterna
lasciata reggia, e non gli orbati e mesti
miei genitor; né cosa, in somma, alcuna
delle giá mie, tu mai, né rimembrarmi
dei, né pur mai nomarmela. Fia questo
rimedio, il sol, che asciugherá per sempre
il mio finor perenne orribil pianto.
Pereo Strano, inaudito è il tuo disegno, o Mirra:
deh! voglia il ciel, ch’ei non t’incresca un giorno! —
Pur, benché in cor lusinga omai non m’entri
d’esserti caro, in mio pensier son fermo
di compier ciecamente ogni tua brama.
Ove poi voglia il mio fatal destino,
ch’io mai non merti l’amor tuo, la vita
che per te sola io serbo (questa vita,
cui tolta io giá di propria man mi avrei,