Merope (Alfieri, 1946)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Egisto.
dunque il destino mio: qual ch’egli sia,
intrepido lo aspetto. Emmi sollievo
solo, il saper ch’io non son reo. Ma, sempre
(se il viver pur mi vien concesso) amaro
a ogni modo ei sarammi: ognor su gli occhi
quell’ucciso mi sta. — S’io in core accolgo
dolce lusinga di perdono, il cielo
sa perché omai l’accolgo. O amato padre,
per te soltanto io viver bramo ancora,
per rivederti; per tornarti a pace
ch’io ti tolsi; per chiuderti gli antichi
occhi morenti: che ai tuoi giorni estremi
ti avvicini pur troppo!... Ahi figlio ingrato!
Forse affrettasti il suo morir tu stesso!...
SCENA SECONDA
Polidoro, Egisto.
aspettando il tiranno: a quella tomba
frattanto andrò...
Polid. Ivi i miei voti...
Egisto Oh ciel! fia ver? Quel vecchio...
Polid. Ivi mi giova
versare il pianto...
Egisto Ah! non m’inganno; è il bianco
suo crin; suoi passi; i panni suoi... Deh, volgi
ver me, buon vecchio!...
Polid. Oh! chi mi chiama?
Egisto Ah padre!...
Polid. Che veggio? Oh ciel! tu quí? tu vivo? Ahi dove
ti trovo io mai! deh! ti nascondi. Io tremo...
Misero te!... Perduto sei.
Egisto Deh! lascia,
ch’io mille volte pria ti stringa al seno.
Padre, al certo per me portasti il piede
entro Messene, ove hai nemici tanti;
osi per me porti a tal rischio... Oh cielo!
Un figlio empio son io; tanto non merto:
troppo in lasciarti errai.
Polid. ... Per lo gran pianto...
parlar... quasi... non posso... Oimè! t’ascondi...
fuggi... Tu sei. — Grave periglio è il tuo...
come in Messene, in questa reggia?...
Egisto O padre,
tu in mal punto mi trovi: entro la reggia
sto custodito... Ahi! che mi scoppia il core,
padre, in doverti confessar, ch’io forse
alla condanna di supplizio infame,
come omicida, assai sto presso. Andronne
fors’anco assolto, che innocente a un tempo,
benché omicida, io sono... Oimè! qual figlio
in me ritrovi!
Polid. Oh inaspettato evento!
Tu forse ucciso hai lo stranier, che in riva?...
Egisto L’uccisi io, sí; ma in mia difesa, il giuro.
Deh! dimmi;... osserva, se nessun quí c’ode.
Egisto Per quanto io miri, alma non veggo: il passo,
onde lá s’esce della reggia, è ingombro
di guardie; ma son lungi; udir non ponno. —
Ma, e che vuoi dirmi, ch’io nol sappia, o padre?
Ecco, ai piè mi t’atterro: ah! giá pria d’ora,
pentito in core e ripentito, io piansi
d’averti dato sí mortale angoscia.
Tutto giá so: che non mert’io? Sí dolce
padre amoroso abbandonare!... Ah! s’io
teco un dí torno a riveder miei Lari,
mai piú, mai piú, né d’un sol passo, io voglio
scostarmene; tel giuro... Oh ciel! l’amata
madre, che fa?... piange di me;... ben l’odo;...
la veggio;... e piango...
Polid. Oh figlio!... Or non sforzarmi
a lagrimar... Tempo non è... Vorrei...
Egisto Or penso: e s’uom quí ti vedesse? a molti
noto esser dei;... se ravvisato?... Io tremo
per te soltanto... A che ti esposi?... Ah! meco
ritratti or dove questa lunga notte
in pianto trapassai; ch’io vi t’asconda,
infino a sera almeno. Ah! se il tiranno
mai ti scoprisse!... e s’ei sapesse a un tempo,
ch’io ti son figlio!... Vieni: assai mi resta
di speme ancora: Polifonte acceso
non è d’ira soverchia; e a me la stessa
Merope or dianzi ebbi pietosa molto:
quindi sperar mi lice ancor perdono
del mio delitto involontario.
Polid. Oh cielo!...
Merope stessa?... a te?... — Breve, ma pieno,
saria mestier ch’io gli parlassi... Ahi lasso!...
Che fo?... che dirgli?... e che tacergli? — Ascondi
te stesso almeno per brev’ora...
il tenterei; cercato io fora; imposto
m’è l’aspettare. Ma, perché celarmi?...
Polid. Tu mai non fosti in piú mortal periglio;
né in piú mortale angoscia stetti io mai.
Merope stessa ha il tuo morir giurato:
e Polifonte or ora infra i suoi fidi,
quí con Merope viene. Ella vuol darti
morte; uccisor dell’unico suo figlio
crede Merope te.
Egisto Che feci? Un figlio
le rimaneva? un figlio? Ed io gliel tolsi? —
Ah! vieni, o madre sconsolata; in questo
perfido cor l’ira tua giusta appaga.
Qual morte, e strazio, e infamia a me non dessi?
Polid. Ma,... del suo figlio... l’uccisor... non sei.
Egisto Dunque?
Polid. Nol sei...
Egisto Che piú? Tal mi crede ella:
priva è del figlio: al suo dolor sollievo
fia l’uccidermi; e venga...
Polid. Ah no!... Del figlio
priva non è.
Egisto Ma quel ch’io uccisi... — Io voglio
a ogni costo vederla; udirla...
Polid. Ah!... Fuggi...
Egisto Né il vo’; né il posso.
Polid. O almen...
Egisto Ma, s’io non sono...
Polid. Tu sei... quel figlio, ch’ella estinto piange.
Egisto Io? che mi narri? io son?... Non mi sei padre?
Sangue son io d’Alcide?
Polid. Oh ciel!... Deh, taci.
Benché non figlio, a me sei piú che figlio.
Io di quí ti sottrassi; io ti crescea
sotto il nome d’Egisto; io ti serbava,
Egisto Oh a me finora impenetrabil sempre
profondo arcano! In me non so qual misto,
incognito, indistinto amor sentiva
per Merope, in vederla; e in un sentiva
per Polifonte assai piú sdegno e orrore,
che avessi mai per rio tiranno. Or veggo,
or rammento, or comprendo. Il nome tuo
non è Cefiso.
Polid. È Polidoro. Il nome,
e in un mio stato a te celai: temetti
la giovenil franchezza tua: ma come,
chi preveder potea?... Ma, oh cielo! intanto
l’ora passa, e fra poco... Ah! s’io potessi
dire a Merope in tempo...
Egisto Il ciel, che parve
presieder solo al viver mio finora;
ei, che bambino dalla vigil rabbia
d’assetato tiranno mi sottrasse;
ei, che a tua vecchia etá di cor, d’ardire,
di forza e lena giovenil soccorse;
fia ch’or per man della mia madre istessa
perir mi lasci? — Ed io, prole d’Alcide,
io, se v’ha chi la man d’un brando m’armi,
forse atterrir mi lascierò da un vile
tiranno?...
Polid. Ah giovinetto! altro non vedi
che il tuo valor; ma il tuo periglio, io il veggo.
Per lusingar piú Merope, e scemarsi
l’odio di tutti, or Polifonte astuto
pietade finge del figliuol, che ucciso
le avria, potendo. Ma, se il crudo in vita
tornato il vede, in sua feral natura
di sangue ei torna; e tu sei morto. Ah! lascia;
ad incontrar Merope volo: io forse
ancor potrò... Deh! s’io giungessi!...
venir ver noi soldati...
Polid. Oimè! che miro?
Merope vien con Polifonte... Ahi lasso!...
Egisto E a lor vien dopo un numeroso stuolo...
Polid. Che mai farò?... Statti al mio fianco, o figlio;...
morire almeno in tua difesa io giuro. —
SCENA TERZA
Polifonte, Merope, Egisto, Polidoro,
Popolo, Soldati.
uccisor del tuo figlio. Avvinto ei sia
d’aspre catene; e a un sol tuo cenno, ei cada.
Mer. Ahi scellerato, barbaro, fellone!
Assassin vile, la tua mano impura
bagnata hai tu del mio figliuol nel sangue?
Che mi val tutto il tuo? sola una stilla
scontar mi può di quello? — Io, che giá tanto
era infelice! e tu, sovra ogni donna,
sovra ogni madre, misera mi festi. —
Stringete voi que’ ferrei lacci; orrendi
strazj inauditi apprestategli: ei spiri
infra tormenti l’alma. Io vo’ mirarlo
piangere a calde lagrime: non ch’una,
mille vo’ dargli io stessa orride morti. —
Ahi lassa! e ciò ti renderá il tuo figlio?
Egisto A te mi arrendo, o Merope: a una madre
sí giustamente disperata io cedo
di spontaneo volere: e, s’anco in ceppi
costor non mi stringessero, tu sola
a far di me qual piú vuoi strazio basti.
Giusto è il tuo sdegno... Eppur, sai ch’io non reo,
e degno or dianzi di pietá, ti parvi.
sovra il mio cor d’ignota forza. — Or via;
che pietade? che detti? A che piú tardo?
Andiam: su quella tomba strascinatelo:
l’ombre del padre e dei figliuoli uccisi
del suo sangue si appaghino;... e la mia;
ch’io seguirolli in breve.
Polif. Un solo istante
ti piaccia ancor sospendere. — Soldati,
e voi, Messenj testimon vi volli
a questo giusto atto solenne. — A danno
di me serbava occultamente un figlio
questa adirata madre: eppur pietade
io del suo duol sento or non poca; e attesto
il ciel, che s’ella in generoso modo
vivo svelato a me l’avesse, io cura
preso ne avrei, qual d’un mio figlio, forse:
morto, mia cura è il vendicarlo. — Udiste? —
Merope or tosto si obbedisca: è poco
una vittima sola a dolor tanto.
Egisto Ah! di Cresfonte all’ombra altra si debbe
vittima omai.
Mer. Che parli? Andiam...
Polid. Deh!... Prego;
indugia alquanto... Io vorrei dirti... Ah! m’odi...
Mer. Che parli or tu sommesso? Eri giá fido
tu di Cresfonte; al suo rimasto figlio
eri custode: or la tua fede forse
t’incresce? E che? dell’uccisor ti duole?...
Pietá ne senti?... Osi pregar, che il colpo?...
Polid. Io?... pietá?... no... Ma, tu sei madre... Arresta...
Udir piú a lungo or da lui stesso dei
cose assai del tuo figlio.
Polif. Costui dunque
il conoscea?...
Mer. Che udir? — Che ardisci? E speri
Non mel dicesti? e nol confessa ei stesso?
E non mel dice, grondante di sangue,
questo suo cinto, che tu in man m’hai posto?
Egisto Quel cinto è mio, tel giuro. Dal mio fianco
cadea sfibbiato...
Polid. Un altro esser potrebbe
simile a quello... E quell’ucciso... forse
non era il figlio tuo...
Mer. Qual nuova ascolto
iniqua fraude!... Ahi rio tiranno! or tutti
dunque hai corrotti? anche costui, giá tanto
fedele a noi? Quasi a trionfo, in vita
vuoi l’assassin del mio figliuolo, e fingi
volerlo spento? e mezzi tali?...
Polif. O donna,
tu pel dolor vaneggi. Or, chi non vede?...
Mer. Dunque, se spento il vuoi davver, null’altro
piú mi riman da udire. A fren non tengo
giá piú mia rabbia omai: giá giá mi adira
contro me stessa ogni indugiar. Che vale
il piú inoltrarci? in queste soglie ovunque
del par si aggira il trucidato sposo:
tosto ei si appaghi. — A me quel ferro; io stessa,...
io sí, svenarlo or di mia mano...
Egisto Il petto
eccoti ignudo. Ahi madre!...
Polid. Arresta...
Mer. Muori.
Polid. Deh! ferma...
Polif. Osi tu tanto?
Mer. Iniquo... Oh vista!
Tu piangi, e tremi?... Ed io, ferir nol posso!...
Polif. Qual havvi arcano? Or via, vecchio, favella.
Polid. Deh! per pietá...
Polif. Parla.
Polif. È questi...
Mer. Chi mai?
Polif. Su, svela...
Polid. È... il figlio mio.
Mer. Deh! come?...
Polif. Costui tuo figlio?
Egisto Ei mi fu padre.
Mer. Ei mente: —
ma, s’anco il fosse, il mio figliuol mi ha spento.
Muori.
Polid. Ah! ferma... È il tuo figlio.
Egisto O madre...
Mer. Oh cielo!
Polif. Costui?
Polid. Sei madre; salvalo.
Mer. Il mio figlio!...
Polif. Qual tradimento è questo? Olá, soldati...
Mer. Io ti son scudo, o figlio... Ah! il cor mel dice;
son madre ancor...
Polif. Soldati...
Mer. A lui non giunge
ferro, che a me pria non trafigga...
Egisto O madre,
fra mie braccia ti stringo!...
Polif. Or, qual menzogna
ne arrechi tu, testor di fole antico?
Un infame assassin, ch’esser nol niega,
sará suo figlio? e il crederò? Soldati,
si uccida tosto.
Mer. Infame tu... Ma salvo,
finch’io respiro, è il figlio.
Polid. Il ciel ne attesto,
Cresfonte egli è. Quel cinto, è il suo: sol nacque
l’error da ciò. Messenj, a voi son noto;
io spergiuro non sono...
me ravvisa dal volto? Unico avanzo
del vostro re son io. Tra voi non havvi
guerrier de’ suoi?...
Polif. Mente costui. Si uccida...
Mer. Me pria... No, mai...
Egisto Deh! mi si sciolga il braccio;
un brando, un brando a me si porga: ai colpi
riconoscer farommi.
Mer. Oh detti! Oh vero
germe d’Alcide! Agli alti sensi, agli atti
nol ravvisate or tutti? E nol ravvisi
tu, Polifonte, al tuo terrore? Or trema...
Ah no! ch’io tremo; io le ginocchia al suolo
piego... Deh! tu l’alma a pietade inchina.
Questo mio regno, onde ripormi a parte
volevi, (o almen pareva) intero il serba;
sia tuo per sempre. Io, l’usurpato seggio,
e il trucidato mio consorte, e i figli,
tutto omai ti perdono; unico al mondo
questo figlio mi avanza; altro non chieggo;
deh! tu mel dona; deh!...
Polid. Pensa, che hai molti
nemici ancor nel tuo mal fermo regno;
che uccider lui, senza tuo rischio grave,
non puoi. S’io mento, ecco il mio capo. Or dianzi
a vendicarle il figlio ti accingevi
con pompa tanta, sperandolo estinto;
ei vive, e ucciso il vuoi?
Polif. — Costui potrei
punir, qual ch’ei pur sia, di giusta morte.
Ma, vie piú sempre di Messene agli occhi,
donna, smentirti io voglio. Ei non t’è figlio;
che il tuo tu stessa infra le fiamme hai visto
perire; e udillo di tua bocca spesso
Messene tutta: ognun quí meco estima
risibil prova, l’asserir d’un vecchio
solo, ramingo, e da te compro: eppure,
altre prove aspettandone, supporlo
io tal vo’ intanto. — Olá, si sciolga. — Illeso
il rendo a te: quindi piegarti io spero
alle da me proposte nozze.
Egisto Oh rabbia!
Del genitor, che trucidato m’hai,
contaminar tu il talamo?... Su, fammi
tosto svenar; minor fia ’l danno...
Mer. Ah! figlio,
non l’irritare omai. Chi sa, qual volge
crudo pensier?... Deh! Polifonte...
Polif. Adrasto,
co’ piú de’ tuoi quest’atrio sgombra; e sole
restin le usate guardie. Il popol anco
per or dia loco;... ei tornerá... — Mi udisti... —
SCENA QUARTA
Polifonte, Merope, Polidoro, Egisto, Guardie.
Polif. Donna,
costui salvar null’altro puote al mondo,
che tu, col farti mia. S’anco in Messene
suddito alcuno a me rubello io conto,
son nella reggia appien signore io solo.
Del tuo figliuol la favola si avveri;
spento ch’io l’abbia, ogni mio danno poscia
rivivere nol fa. Brev’ora io lascio
a’ tuoi pensieri. — Anzi che il sol tramonti,
o quí, fra i Lari miei, dato hai di sposa
a me la mano; o quí, su gli occhi tuoi,
ucciso io stesso avrò costui.
Polif. Scegli. — Ti lascio. A posta vostra ordite
vane menzogne; in mio poter vi ho tutti. —
Guardie, qual di costoro uscir tentasse
or della reggia, trucidato ei cada.
SCENA QUINTA
Merope, Polidoro, Egisto.
Guardie nel fondo della scena.
credere il posso... E uccider io ti volli?
Io?... Ma nel cor ben mi sentia possente
un ritegno inspiegabile... Ma quali
duri patti a me il rendono?... Che dico?
Dolce ogni patto, che il figliuol mi rende.
Egisto Misero me! Deh, quanto meglio egli era
ch’io perissi bambino! O madre, or dove,
dove ti traggo!...
Polid. Odi, o regina; il vuole
necessitá fatale. Il fero colpo
sospeso è solo or dalla speme iniqua,
che nel tiranno entrò d’acquistar tempo,
e non sí accrescer l’odio. Ove ottenerti
sposa ei pur possa, i suoi feroci patti
ei ti atterrá per ora: ove tu il nieghi,
come a piú corto mezzo, al sangue ei torna.
Or sí t’è d’uopo, or, se il fu mai, mostrarti
madre, e non altro. Di te stessa orrendo
sacrificio tu fai; ma il fai pel figlio...
Mer. Che non farei per lui? Qual dubbio?...
Egisto Ah madre!...
Polid. Ma, compiuto ch’ei sia, risorgon molte
speranze allor. Finga il tiranno; io spero
che il preverremo. I nostri amici antichi
l’ultimo figlio, che sottrarlo tosto
s’ingegneran dal perfido tiranno.
E se il vedran, che fia! Nulla lor manca,
che un capo...
Egisto Ed io ’l sarò.
Polid. Sí figlio... Ardisco
nomarti ancora dell’usato nome...
Tu capo a lor sarai: felice io sento
presagio al core; poiché il ciel sottrarti
del tiranno al feroce impeto primo
dianzi volea. Ma intanto, egli è per ora
forza il finger; tu, madre, al patto infame
parer venirne di buon grado; il dei:
tu, prode, umili modi assumer, tali
da trargli, o almen nell’empio re far scema,
la diffidenza alquanto; onde con l’armi
sue sen trionfi: il dei, se i duri lacci
dalla misera madre per te presi
romper ti cale.
Egisto Ah!... d’obbedirti io giuro;
ma, fin che inerme sto. Guai, se al mio sdegno
occorre un ferro. Altro piú allor non odo,
che il padre estinto, e il valor mio.
Polid. Deh! taci. —
Donna, concedi, che in tuo nome io tosto
vada al tiranno; arte è mestier con esso
non poca, e indugio niuno. Io finger meglio
saprò di te. Ch’io la tua man prometta,
deh! mel concedi: in me ti affida; un qualche
tempo otterrò, se il posso: ove ei persista
in voler oggi l’empie nozze, io spero
gran cose in breve dai Messenj. Intanto
tu il valor troppo, e tu il grave odio ascondi.
Tutto per te l’amor di madre io sento;
ma inoltre n’ho di padre il senno, e lunga
Egisto Oh padre!...
Mer. Va dunque tosto, o mio fedel: disponi
di me: col figlio io ritrarrommi un poco.
SCENA SESTA
Merope, Egisto.
mi sazj!...
Egisto O madre, a orribil costo il fai.