Merope (Alfieri, 1946)/Atto terzo
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ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Polidoro.
che non fui visto entrare. — O fera reggia,
dopo tre lustri, io ti riveggo al fine.
Pien di terrore io ti lasciava, il giorno
che fra mie braccia in securtá traeva
del mio buon re l’unico figlio, il sacro
avanzo del suo sangue: ma, compreso
di ben altro terrore or torno... Ah! questo,
pur troppo è questo di Cresfonte il cinto!
Questo è il fermaglio suo; sculta d’Alcide
evvi l’impresa: in man l’ebb’io per anni
ben sette e sette. Or venti lune appunto
compiono, al fianco io gliel cingeva, io stesso.
Ahi sconsigliato giovinetto! udirmi
tu non volesti; a’ miei canuti avvisi
sordo... Ecco il frutto!... Oh mal vissuti giorni
per me! Da un anno io ti perdei; giá indarno
di te vò in traccia da sei lunghi mesi;
ed or, quí presso alla natal tua terra,
del fiume in riva, per sentier romito,
trovo tue spoglie in un lago di sangue?
veder Merope spero. Ah, voglia il cielo,
pria che al tiranno, appresentarmi a lei!
Null’altro io bramo. Omai per me che temo?
Che perder ho, se il mio picciol Cresfonte
mi è tolto?... Eppur, chi sa?... Fors’io m’inganno...
forse... Ma come esser può mai?... La madre
ne saprá forse... E se nol sa?... Deh! come
potrò mai darle io nuova orribil tanto?...
Come tacerla? Oh ciel! Ma, alcun quí giunge;
ascondiamci... Ma no; donna è che viene;...
e sola viene;... e parmi,... ed è pur dessa...
incontriamla.
SCENA SECONDA
Merope, Polidoro.
Mer. Oh? Chi m’appella
quí di tal nome omai?... Chi sei, buon vecchio?...
Ma che veggio? se’ tu?... non m’inganno io?...
Polidoro?
Polid. Sí...
Mer. Parla: il figlio... Arrechi
a me tu vita,... o morte?
Polid. ... Al fin... pur... dunque
io ti riveggo... Al fine un bacio imprimo
sulla sacra tua destra.
Mer. Il figlio, dimmi...
Polid. Oh ciel!... — Parlar quí posso?
Mer. Il puoi per ora;
non v’ha persona; e sola andarne io soglio,
pria del sole, ogni giorno, a lagrimare
lá, di Cresfonte in su la tomba.
Polid. Oh tomba
io lá spirar sovr’essa!
Mer. Or via, mi narra...
Tremar mi fai... Perché indugiar? sí mesto
perché ritorni? i passi suoi spíasti?
rintracciato non l’hai? Parla: or sei lune
son, che partisti d’Elide; ed or l’anno,
che ogni giorno io mi moro.
Polid. Ahi me infelice!
Pensa qual pianto è il mio... Tu non ne udisti
mai dunque?...
Mer. No... Ma tu?...
Polid. Trascorsa ho mezza
Grecia; all’antico fianco lena porse
l’amor, la speme, il gran desio: Cillene,
Olimpia, Pilo, Argo, Corinto, Sparta
io visitai, con altre cittá molte;
né indizio pure ebbi di lui: l’ardente
sua giovinezza, e i generosi spirti,
chi sa fin dove lo spingeano! — Ah figlio!...
Troppa in te di vedere era la brama,
d’apprendere, d’andare: o degna prole
del grande Alcide, il mio tugurio vile
non ti capea. Benché del tutto ignoto
fossi a te stesso, ogni tuo senso, ogni atto,
pur ti svelava...
Mer. Oh quai diversi affetti
al tuo parlar provo ad un tempo! Ah! dove,
dove sei, figlio?... E il ver mi narri? ei degno
crescea degli avi?
Polid. Degno? Oh ciel! piú ardita
indole mai, piú nobil, piú sincera,
piú modesta io non vidi: e di persona
sí ben formato; e sí robusta tempra;
e cosí maschio aspetto; e cor sí umano: —
e che non era in te? Di mia vecchiezza
mia consorte; in te solo anch’io viveva:
ben altro a noi, che figlio... Ah! se tu visto
fra noi lo avessi!... Quasi in cor sentisse
gli alti natali suoi, con dolce impero
ei ci reggeva a voglia sua: ma sempre
eran sue voglie e generose, e giuste. —
Ah! mio figliuol, rimembrar non ti posso,
senza che il pianto dagli occhi trabocchi.
Mer. ... E me pur fai tu lagrimare a un tempo
di gioja e di dolore. Oh cielo!... e quando
il rivedrò? deh, quando?... O figliuol mio,
degg’io saper tuoi pregj tanti, or mentre
saper non posso ove ti aggiri?
Polid. Oh! quanta,
qual pena m’era il non poterti mai,
fuorch’ei vivea, far nulla intender d’esso!
Ma periglioso era il fidarsi: appena
il convenuto segno osai mandarti,
per farti udir ch’ei me lasciato avea,
e ch’io poscia il cercava.
Mer. Ahi segno infausto!
Ah, giunto mai tu non mi fossi!... Io pace
mai piú non ebbi da quel dí... Che dico?
Pace?... Ah! non sai... Dubbj, e terrori orrendi
a mille a mille, e false larve, o vere,
m’agitan sempre. Al sonno io piú non chiudo
palpébra mai: ma se natura, vinta
pur da stanchezza, un cotal po’ richiama
a quíete i miei sensi, orridi sogni
piú mi travaglian, che le lunghe veglie.
Or lo vegg’io mendico andarsen solo,
inesperto, in balia di cieca sorte;
sotto misere spoglie, a scherno preso
dai grandi alteri, e di repulse infami
avvilito... Oimè misera!... Or lo veggio
presso a morire; or di servil catena
carco le mani e i piè; da rei sicarj
ora assalito, e strazíato, e ucciso...
Oh ciel!... mi balza ad ogni istante il core;
a ogni uomo ignoto, che di ria fortuna
provato ha stral, penso ch’è il figlio; e tremo
e il credo, e agghiaccio: e d’un martir non esco,
se in un peggior non entro. — Il crederesti?
Un giovinetto, che del fiume in riva
jeri in privata rissa ucciso cadde,
poi fu nell’onda per timor scagliato
dall’uccisor, turbò miei spirti; e ancora
li turba. Era straniero...
Polid. Ucciso?... Jeri?...
Straniero?... in riva?... Oh ciel!...
Mer. Ma che! tu tremi
Dimmi,... forse il mio dubbio?... Oimè!... tu piangi?...
impallidisci?... in piè ti reggi appena?
Polid. — Misero me! che far degg’io? che dirle?...
Mer. Fra te che parli? A me parla. — Che pensi?
che sai? che temi? Udir vogl’io: deh! trammi
di dubbio; su...
Polid. Parlar non posso;... e voce...
mi manca,... e lena...
Mer. Inorridisco... Ardire
giá piú non ho di chiederti... Ma, il voglio;
sapere il vo’. Che piú rimango in vita,
se madre omai non sono? Or di’; tu il sai,
l’ucciso...
Polid. Io nulla so.
Mer. Parla; l’impongo.
Polid. ... Donna,... conosci... questo... cinto?
Mer. Oh vista!
Di fresco sangue egli è stillante?... Oh cielo!
È di Cresfonte il cinto... Intendo... Io... manco...
io ’l ritrovava sepolto nel sangue:
uom fuvvi ucciso; ah! non v’ha dubbio; egli era
il figlio tuo.
Mer. ... Qual morte!... Oh rio destino!...
Ed io vivo? — Ma tu, cosí guardasti
un tanto pegno? Ahi folle! in chi riposi
mie speranze, mia vita? al di lui fianco
forse tu starti non dovevi sempre?
Qual ferro lui potea svenar, che pria
tua lunga inutil vita non troncasse?
Me servivi cosí? cosí l’amavi?... —
Ma, oimè! tu piangi? e non rispondi? Ah! colpa
del fato è sol; deh! mi perdona: io sono
madre... Ah no! piú nol son... Morire...
Polid. Io merto,
misero me! tutto il tuo sdegno... Eppure
sa il ciel, s’io colpa...
Mer. Ah! mel diceva il core...
in quella notte orribile, che in braccio
io tel ponea:... Mai piú tu nol vedrai...
Con sue picciole mani ei mi avvinghiava
sí strettamente il collo; oh ciel! parea
quasi il sapesse, che per sempre ei m’era
tolto. — Tre lustri in rio timor vissuti,
in pianto, in vana speme, ove son iti?
Di Polifonte l’odíoso aspetto,
da me sofferto; e tanti affanni e tanti;
perch’io tutto perdessi a un tratto poscia?
Ed in qual modo!... E agli occhi miei!... Per mano
d’un vile... Oimè! di sepoltura privo...
Figlio, deh! figlio, almen tuo corpo esangue
dato mi fosse! Infra gli amplessi, e il pianto,
potessi almen... sul tuo corpo morire!...
Polid. Ed io,... tre lustri di paterna cura
vedermi tor cosí? Misero! io vengo
tel poteva io?
Mer. Morire; altro non resta...
SCENA TERZA
Polifonte, Merope, Polidoro.
io vengo al suon: che fia? — Chi sei tu, vecchio?
Che mai recasti?
Mer. Or via, vieni, o tiranno,
di pianto al suon; di pianto, qual giá udivi
in questa reggia stessa, il dí che morte
seguia tuoi passi. O tu, che il cor ti pasci
dell’altrui pianto, or godi: al fin del tutto
orba mi vedi.
Polif. Ah! — Rimaneati dunque
quel figlio, che negavi?
Mer. Oh mal accorto
tiranno tu! creder potevi spento
il mio figliuol, poich’io vivea? Qual vita
traessi, il sai; sempre a vederti astretta...
Sí; vivo egli era; io tel celava; e in petto
unica speme io racchiudea, che un giorno
quí il rivedrei terrore alto degli empj,
fulmin del ciel, vendicator del padre,
dei fratelli, di me, del soglio avíto. —
Se ciò non era, un solo istante io mai
udito avria tuoi detti, a me piú crudi,
quando offri pace ed esecrande nozze,
che in minacciarmi aspro servaggio, e morte?
Polif. Tal dai mercede a chi del trono a parte
voleati? O donna, io che tiranno m’odo
nomar da te, men di te crudo io sono.
Sapeva io, sí, vivo sapea il tuo figlio;
il duol tuo giusto: un dí verrá poi forse... —
Ma, certa sei di tal novella? Ov’era
questo tuo figlio? e donde vien costui,
che messaggero?... Oh! non m’è nuovo affatto
il tuo volto; mi pare...
Polid. A te son noto:
mirami fiso; del tuo re Cresfonte
spesso m’hai visto al fianco. Polidoro
son io: Messene abbandonai, quand’altri
la serva fronte a usurpator piegava.
Ravvisami: piú bianco è ver ch’io reco
dagli anni il crine; e piú curvato il tergo;
e tinto in morte dagli stenti e angosce
il volto: ma pur sono ognor lo stesso;
ognor nemico a te piú fero. Ho salvo
l’unico figlio del mio re: nudrito,
educato l’ebb’io; per lui lasciata
ho la natal mia terra: e le perdute
ricchezze, e onori, e la per lui perduta
dolce patria, piú a grado eranmi assai
che ogni alto stato, e l’obbedir tiranno. —
Ahi lasso me, che con lui non spirava!...
Se del passato aver vendetta brami,
di me la prendi: in libertá dolersi
Merope lascia; e di mia trista vita,
che spenta è omai, me sciogli. Altro non duolmi,
che il non poter dar oggi i piú verdi anni
al sangue de’ miei re; ma, tal ch’io l’offro,
questo mio tremolante capo, il prendi.
Polif. Pietá mi fai, non ira: assai ben festi
d’importi esiglio. A suddito ribelle
pena non altra io do. Non del sottratto
fanciul, che pur fu generosa l’opra,
ma del fin scellerato a che il serbavi,
colpevol sei. T’era mestier quel giorno,
tormi quel dí, la vita in campo; o allora
morir per lui. — Pure il passato io voglio
or del tutto obbliar... Ma, finta nuova
non rechi ad arte forse? Or narra, quando,
dove, come ei moria...
Mer. Saperlo estinto,
a te non basta? anco vederlo forse
vorresti? e il vile tuo tremante core
rassicurar con tal feroce vista?
E una madre veder sul morto figlio
sparger pianto di sangue? Or va; dal fiume,
ove onorata no, ma queta tomba
egli ha, ritrallo, e in Messene strascínalo;
strazj, cui dar non gli potesti vivo,
estinto gli abbia; va. Quei, che trafitto
fu dianzi, era il mio figlio.
Polif. E fia ch’io ’l creda
Eri tu seco? di’. Come?...
Polid. Pur troppo
giungeva io tardi! Ah! me con esso ucciso
avria colui. Piú nol vid’io...
Polif. Ma come
il sai tu dunque?
Polid. Ecco: il suo cinto è questo.
Spoglia giá di Cresfonte; ancor grondante
è del suo sangue; che in un mar di sangue
colá il trovai: mira; il ravvisa; il crudo
tuo sguardo pasci. — Un giovinetto, ignoto,
stranier, d’Elide... Oh ciel!... cosí non fosse,
com’è pur desso!
Mer. Il mio morir tra poco
fe ten fará. — Ma tu, che quí t’infingi,
forse tu il festi ivi svenar... Che forse?
Dubbio non v’ha. Coll’uccisor tu dianzi
tranquillamente favellavi: or donde
se di crudel desio figlia non era?
Ah! sí; tuo messo era colui...
Polif. Ti accechi,
Merope, tanto? Io mai nol vidi; il giuro.
Se quí celato il tuo figliuol venia
solo, fuggiasco, in menzognere vesti,
come saperlo io mai potea? Colui,
che il trucidò, come il potea (deh dimmi)
ravvisar egli mai, se a lui non meno
era ignoto, che a me? Vuoi piú? tu stessa
dell’uccisor pietade non mostrasti?
Nol lasciai forse io teco? a piacer tuo
non l’hai tu stessa interrogato? donna
del suo destin non ti fec’io?
Mer. Se reo
dunque non sei del colpo, in questa reggia
sta fra tue man quell’uccisore infame:
può sol vendetta alcuno istante ancora
me rattenere in vita. Or fa, ch’io il vegga
vittima tosto cader sulla tomba
dell’inulto Cresfonte; ivi l’infida
alma spirar fra mille strazj e mille
fa ch’io ’l vegga: ed allora...
Polif. Io dare a dritto
potrei mercede a chi svenava un vile,
che a tradimento a uccider me veniva:
ma pur (s’io son qual tu mi tacci, or mira)
del mio nemico vendicar la morte
io stesso voglio: e ten prometto intera
giustizia in breve...
Mer. Aspra la voglio, e pronta,
e inaudita, e terribile: null’altro
mai ti chiedei: favore ultimo, e primo,
questo mi fia da te... Ma, vero parli?...
Non ben mi affido... Sbramar gli occhi miei
Che dico, gli occhi? io voglio a prova, io stessa,
ferirlo; immerger mille volte io voglio
entro quel cor lo stile... Atroce core,
che udia il mio figlio, in voce moribonda
di pianto e di pietá, chiamar la madre...
L’udiva; eppur nell’onde lo scagliava,
forse ancor semivivo; ancora forse
tal da potersi trarre dalle orrende
fauci di lunga morte... Ed egli, or dianzi
a me il narrava; io l’ascoltava; e quasi
innocente il credea; quasi pietade,
piú che l’ucciso, l’uccisor mi fea. —
Pietá? scontarla or or saprò: vendetta
io ne farò, qual non s’intese mai;
io stessa, or or: tu il promettesti; dimmi:
l’atterrai tu?
Polif. Qual piú ti piace, in breve,
vendetta quí ne avrai tu stessa. Ah! possa
cosí il suo sangue entro il tuo cor far scemo
l’odio che in sen mi serbi! in lui, deh, tutto
possa il tuo sdegno sazíarsi! Io volo
a disporre ogni cosa: il giusto pianto
non vo’ per ora io piú sturbarti, o donna:
ma tosto in parte a rasciugarlo io riedo. —
Tu, non lasciarla intanto: in te non biasmo
pietade omai: ma della madre or l’abbi,
se giá ne avesti del figliuol cotanta.
SCENA QUARTA
Polidoro, Merope.
che del tiranno l’oltraggiosa e tarda
pietá mi valga; che a’ tuoi piedi io spiri,
Ch’io vendicar lo veggia, e poi mi muoja. —
Vieni; ben senti; dal dolor, dall’ira
sei travagliata, e in pié ti reggi appena.
Se alcun sollievo al corpo egro non presti,
né la vendetta, che pur tanto brami,
a veder giungerai.
Mer. — Pur ch’io la vegga!