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atto quarto 205
Egisto   E niun fra voi

me ravvisa dal volto? Unico avanzo
del vostro re son io. Tra voi non havvi
guerrier de’ suoi?...
Polif.   Mente costui. Si uccida...
Mer. Me pria... No, mai...
Egisto   Deh! mi si sciolga il braccio;
un brando, un brando a me si porga: ai colpi
riconoscer farommi.
Mer.   Oh detti! Oh vero
germe d’Alcide! Agli alti sensi, agli atti
nol ravvisate or tutti? E nol ravvisi
tu, Polifonte, al tuo terrore? Or trema...
Ah no! ch’io tremo; io le ginocchia al suolo
piego... Deh! tu l’alma a pietade inchina.
Questo mio regno, onde ripormi a parte
volevi, (o almen pareva) intero il serba;
sia tuo per sempre. Io, l’usurpato seggio,
e il trucidato mio consorte, e i figli,
tutto omai ti perdono; unico al mondo
questo figlio mi avanza; altro non chieggo;
deh! tu mel dona; deh!...
Polid.   Pensa, che hai molti
nemici ancor nel tuo mal fermo regno;
che uccider lui, senza tuo rischio grave,
non puoi. S’io mento, ecco il mio capo. Or dianzi
a vendicarle il figlio ti accingevi
con pompa tanta, sperandolo estinto;
ei vive, e ucciso il vuoi?
Polif.   — Costui potrei
punir, qual ch’ei pur sia, di giusta morte.
Ma, vie piú sempre di Messene agli occhi,
donna, smentirti io voglio. Ei non t’è figlio;
che il tuo tu stessa infra le fiamme hai visto
perire; e udillo di tua bocca spesso
Messene tutta: ognun quí meco estima