Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo LXI - Il Generale Grouchi, il Proclama di Moreau e la fiera di Priero.

Capo LXI - Il Generale Grouchi, il Proclama di Moreau e la fiera di Priero.

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Capo LXI - Il Generale Grouchi, il Proclama di Moreau e la fiera di Priero.
Capo LX - Il Forte di Ceva tolto ai Francesi dalla forza armata. Capo LXII - Ultime vicende del 1799.
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CAPO LXI.


Il Generale Grouchì. Il Proclama di Moreau

e la fiera di Priero.


Occupata la fortezza dal capitano austriaco Schmelzem, come si disse di sopra, per aver gente pratica del paese chiamò a sè nel forte l’attuaro Sito, il Vassallo Mellini di Scagnello1 ed il misuratore Cappa di Castellino, e loro commise la scelta di 80 uomini della forza armata, di diversi cannonieri piemontesi, e di due ufficiali. Col loro aiuto si riadattarono i trinceramenti, e si pensò alle necessarie batterie.

Nel giorno 25 maggio ricomparvero i francesi nel territorio di Ceva ed il 26 entrarono in città.

Il comandante austriaco incaricò l’istessa sera l’attuaro Sito, di richiedere il Cappellano del forte, padre Ignazio da Pamparato Cappuccino, di voler dopo la Messa del mattino seguente tener discorso ai Piemontesi di guernigione, onde animarli a combattere valorosamente per la religione, per la patria e pel Re. Animò anch’egli i suoi austriaci a combattere da forti, fece prestare giuramento di fedeltà all’attuaro Sito, Mellini e Cappa, quindi comandò che si desse fuoco al cannone d’allerta.

[p. 301 modifica]Il generale Grouchì stabilì la sua batteria a S. Andrea in cima al borgo della Torretta. Di là fulminava terribilmente la fortezza coi cannoni, e sì fitta si faceva la tempesta delle bombe che convenne agli assediati di ricoverarsi nelle casamatte. Si rispondeva però con fermezza e con buon esito dall’artiglieria del forte.

Il generale francese sospese all’indomani il fuoco e spedì un parlamentario al comandante austriaco per chieder la resa del forte, dicendo che con sì poca guarnigione e munizione da guerra, non poteva sostenere una lotta così disuguale, e che se non s’arrendeva si sarebbe reso contabile di tutto il sangue sparso inutilmente.

Il comandante Schmelzem rispose che era a sufficienza provvisto del necessario, e che era soldato d’onore.

Ripigliò più terribile il fuoco il generale repubblicano, e vi si rispondeva dal forte con intrepida fermezza e singolare bravura.

Spedì Grouchì un secondo parlamentario, ma inutilmente.

Continuò per alcuni giorni la terribile battaglia con sempre più fiero accanimento e si spedì al forte il terzo parlamentario con minaccie sempre più incalzanti.

Il comandante austriaco rimandò il parlamentario con dire che l’ordine del suo generale era di resistere sino all’ultimo anelito, che era in marcia un grosso corpo d’armata alleata, e che era inutile lo spedire parlamentari.

Grouchì fece gli ultimi sforzi, continuò il fuoco ancor per qualche tempo, e vedendo che la fortezza per nulla cedeva, si ritirò indispettito co’suoi, e s’allontanò dalla città.

Di questi combattimenti si vedono ancor tuttodì alcune traccie nel muro della prima casa a destra discendendo dalla Torretta, dove sono incastrate due palle di cannone che vennero a colpir colà dalle artiglierie del forte.

Allontanatosi Grouchì, il comandante austriaco percettò gran quantità di contadini, per far nuove trincee e ristorare le danneggiate, perchè ogni dì cresceva il timore di nuove [p. 302 modifica]apparizioni francesi, e si vivea da tutti in continua ansietà. Il seguente proclama del generale Moreau, mise il colmo all’inquietudine di quanti parteggiavano pel re e per gli alleati.


Proclama del generale Moreau comandante in capo
dell’armata d’Italia.


Piemontesi,

I francesi scendono dalle Alpi e dagli Apennini; per cacciar codesti uomini che si dicevano i precursori della pace e della felicità dei popoli essi non sono stati che barbari devastatori.

Noi non vi abbiamo abbandonati, non abbiamo mai cessato di tener la linea delle vostre frontiere; i luoghi forti del vostro territorio sono ancora occupati da noi, in oggi uniti intieramente marciamo contro quell’orde vomitate dal Nord, sì noi marciamo contra di esse per combatterle e discacciarle.

Una fatale esperienza non vi ha ancora dimostrato abbastanza il loro fine? Essi si fanno chiamare i restauratori della vostra religione, e quando mai i francesi l’attaccarono? Seguite la religione dei vostri padri, essa predica la pace, la beneficenza, la sommissione alle leggi ed alle autorità costituite.

Costoro vi promettono di ristabilire l’antico governo, ne conoscono però l’impossibilità, e voi medesimi la sentite.

Vorrebbero dessi rinnovare quel torrente d’emigrazione che devastò altre volte le vostre belle contrade. Vorrebbero essi cercarvi di nuovo uno stabilimento; essi vi saccheggiano, divorano le vostre raccolte, ed i vostri armenti, infine essi vi armano contro di noi per rendervi deboli, per consumare l’opera della vostra distruzione, e per provocare la nostra vendetta.

[p. 303 modifica] Piemontesi! Voi non sarete vittima della loro perfida politica, se voi uscirete dal vostro acciecamento, ed i francesi perdoneranno. Se un francese vi oltraggia nelle proprietà e nella persona, indicatelo, una pronta giustizia vi vendicherà sul momento, essa sarà terribile, e capace d’intimorire chiunque fosse tentato d’imitarlo.

Deggio però prevenirvi che se il sangue d’un sol francese caduto sotto il pugnale d’un assassino bagnerà ancora il vostro suolo, io distruggerò ed abbrucierò il villaggio, e la città che avrà tollerato e commesso il delitto. In una parola, protezione a chi si sottometterà e distruzione al ribelle.

Dal quartier generale di Voltaggio li 29 pratile anno 7 della repubblica francese (17 giugno 1799).

Il generale in capo
Moreau.



Questo proclama non fece altro che mettere per qualche giorno in allarme gli abitanti di Ceva; non risultando che Moreau emolo infelice di Bonaparte siasi accostato a questa piazza.

Quanto riuscì glorioso e degno d’ogni lode il fatto della presa del forte dagli uomini armati della città di Ceva, e dei circonvicini paesi, altrettanto riuscì infame ed esecrando quanto ci viene narrato della fiera di Priero, accaduto in questi giorni.

La legione francese proveniente da Ferrara per riunirsi al corpo d’armata repubblicana stanziato a Savona giunse da Mondovì li 23 giugno nella città di Ceva scortata da soldati Austriaci.

Il ricco bagaglio che la seguiva fu depositato nella Chiesa di S. Giovanni attigua al ponte di Cevetta. Di notte tempo alcuni malandrini vi penetrarono per una porta secreta, ed incominciarono ad esportare quanto credettero di maggiore convenienza.

All’indomani l’attuaro Sito vide dai bastioni del forte a [p. 304 modifica]vagar per la campagna contadini armati. Ne avvertì il comandante, e sulle voci che andavano spargendosi che si voleva assassinare la legione di Ferrara, si pensò di trattenerla in Ceva ancora per alcuni giorni.

La mattina del 2 luglio si fece partire per Savona colla precauzione di aumentare la scorta di un certo numero di miliziotti. Giunta nella stretta valle di Cevetta, non lungi dalla salita di Montezemolo viene aggredita da un numero sterminato d’uomini armati che prendendola fra due fuochi ne fecero orrenda strage. I soldati di scorta in vista di tanti aggressori che si fanno ascendere a duemila circa, non fecero la menoma resistenza. I francesi disarmati nulla potevano opporre al fuoco degli assassini. Molti furono uccisi, molti feriti e tutti spogliati. Venivano strappati alle donne dei militari la collana dal collo, gli orecchini dalle orecchie e gli anelli dalle dita, ed alcune d’esse già avanzate nella gravidanza furono barbaramente passate da parte a parte.

Consumato l’assassinio, quanti restarono della miseranda legione continuarono la strada per Savona, i feriti furono condotti a Priero ed a Ceva, ed i morti sepolti in quella valle d’infausta memoria.

Fra questi feroci aggressori si contavano alcuni Ferraresi, che seguitarono la legione, molti dei paesi delle Langhe, alcuni di Mondovì, ed alcuni pochi di Ceva.

Si misero tosto in vendita gli orologi, le vestimenta, gli ornamenti muliebri, il che fu causa del nome della fiera di Priero.

Alcuni di questi sciagurati furono colti in Savona col corpo del delitto addosso ed impiccati, si instituì contro gli altri un processo, che per lo sconvolgimento delle cose si dovette troncare.

Sulla fronte però di tutti i complici di questo misfatto restò impresso un tal marchio d’infamia che erano guardati con ribrezzo dai loro compaesani, ed era un brutto elogio il sentirsi dire che erano della fiera di Priero. Il rimorso di [p. 305 modifica]questo delitto più non passò, e fecero tutti, per quanto si sappia, cattiva fine.

Nel dividersi il bottino ad alcuni toccarono bauli pieni di musica, ad altri di bottoni di stagno, e ad altri bauli vuoti, il che formò la parte comica di questo detestabile dramma.

Li 6 successivo luglio vi fu in Ceva uno spaventoso allarme, e si credeva di certo che alla notte venisse occupata dai francesi. Il comandante Austriaco spedì esploratori nella valle del Tanaro con un picchetto di cavalleria ed alcuni fanti.

Trovavasi l’avanguardia francese alla Pievetta e sentito lo avvicinarsi degli Austriaci ripiegò al borgo maggiore di Garessio.

I principali cittadini di Ceva e molti ecclesiastici si rifugiarono in paesi meno esposti al passaggio dei francesi trasportando seco quanto avevano di più prezioso.


Note

  1. Conte Gaspare Mellimi di Scagnello. I Mellini sono di famiglia antica e nobile di Millesimo che ebbero il feudo di Scagnello con parte di Ceva per matrimonio con donne di casa Gagliardi. (A. B.)