Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo LXII - Ultime vicende del 1799.

Capo LXII - Ultime vicende del 1799.

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Capo LXI - Il Generale Grouchi, il Proclama di Moreau e la fiera di Priero. Capo LXIII - Distruzione del Forte.
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CAPO LXII.


Ultime vicende del 1799.


A misura che i Francesi andavano occupando la valle del Tanaro, e quella della Bormida lo spavento invadeva gli abitanti di quei paesi, che si rifugiavano nella città di Ceva, e sotto la protezione del forte, conducendo secoloro il bestiame, e trasportandosi le più necessarie masserizie.

Non tardarono i repubblicani ad invadere di bel nuovo il territorio di questa città.

Il generale Bertrando Clauzel che li capitanava spedì un parlamentario al forte accompagnato da un tamburo alle ore due di notte delli 29 settembre per ottenere di accamparsi colle sue truppe nelle vicinanze della città.

Il comandante Austriaco rispose al generale repubblicano che alle ore 10 del giorno seguente sarebbe disceso in città per trattar personalmente con lui.

Infatti all’ora fissata si trovò nel palazzo municipale dove lo aspettava il general francese, si convenne e stabilì d’accordo quanto segue;

1° Che i francesi per nissun titolo o motivo potessero introdursi nella città, ma dovessero rimaner sulla piana o nel borgo di S. Andrea detto della Torretta.

2° Che li miliziani ed Austriaci rimanessero tranquilli nella città.

3° Che la città dovesse provvedere la sussistenza all’armata del generale Clauzel. [p. 307 modifica] Furono poco rispettati questi capitoli essendosi non pochi soldati francesi introdotti in citta, guidati da Giacobini, e saccheggiarono diverse case, e trafugarono non poco bestiame.

La notte però dal primo alli 2 ottobre si avviarono i francesi alla volta di Mondovì, e lasciarono libera la città.

In questo mentre si sparse la nuova della tragica fine del sacerdote Balbis di Garessio.

Avendo questi abbracciato con ardore il partito repubblicano fu preso di mira dal partito contrario ed ebbe a soffrire molte persecuzioni. Di lui si parlò nella capitolazione stipulata dal comandante Maris nel forte di Ceva.

Quello che mise il colmo allo sdegno dei realisti e delle persone oneste si fu la sacrilega rivelazione che fece alla soldatesca repubblicana in Garessio li 9 settembre del corrente anno 1799.

I padri Domenicani ed i cappuccini di quel paese avevano d’accordo nascosto in luogo secreto le loro argenterie e vasi sacri.

D. Balbis non ebbe ribrezzo di indicare questo nascondiglio ai rapaci repubblicani, che si divisero con empia profanazione il sacro bottino.

Alcuni contadini sdegnati per un sì enorme misfatto trucidarono il D. Balbis, spiccarono la testa dal busto, quella fu portata in trionfo a Mondovì da certo Medano che l’infilzò su d’un alto palo, e questo gettato nel Tanaro, e quindi sepolto nell’aperta campagna.

II teschio grondante sangue giunse sulla piazza di Mondovì piena zeppa di contadini armati che tumultuavano contro i francesi. Questo ferale spettacolo destò un tal rumore che il comandante della città fece intimare al Medano che nascondesse quel teschio, e sotto pena d’arresto. Ubbidì il Medano, nascose in un sacco l’insanguinata testa, e mediante una moneta da due soldi e mezzo, la faceva vedere a chiunque il richiedesse, e con questo inumano mercimonio si buscò [p. 308 modifica]non poca moneta, tanto erano gli animi inferociti dallo spirito di parte.

Passò in questi giorni con meraviglia dei cittadini il priore D. Bocca cancelliere della curia d’Alba arrestato come democratico dai contadini di Gottasecca, e condotto a Mondovì.

Una miseranda sorte toccò pure, quantunque per cause diverse, a D. Abbene Felice da Lesegno: ucciso e nascosto in un forno si rinvenne li 10 marzo 1801 (dagli atti di morte di Lesegno), ed a D. Uberti di Battifollo che venne fucilato sulla piazza d’arme di Mondovì, e di tanti altri di cui non occorre fare qui menzione.

Questi terribili esempii devono render convinti i sacerdoti che sono essi ministri del Dio della pace, e che troppo disdice al loro carattere il prender parte attiva nei politici sconvolgimenti.

Nel mese di ottobre si fecero dai francesi gli ultimi sforzi per impadronirsi di Ceva, ma furono valorosamente respinti.

Raccolsero quanta soldatesca poterono sulla sponda sinistra del Tanaro coll’intento di forzar la porta del Broglio o del ponte della Cattalana.

Il comandante della fortezza che ne osservava i movimenti ordinò trincieramenti in città che si eseguirono con mirabile sollecitudine, fece abbarrare ben bene le porte, ed animò i cittadini con apposito proclama a difendere coraggiosamente la loro città. Fra i più solleciti ed ardimentosi difensori hassi a fare onorevole menzione di Gioanni Penna, Gioanni Batt. Davico, Stefano Franco, Giuseppe Calvo e Filippo Pennacino cittadini tutti di Ceva.

Il castello Pallavicini fu occupato dai soldati e miliziotti, i quali verso le ore tre pomeridiane del quattordici ottobre diedero principio ad una forte moschetteria che durò sino a sera con grave danno del nemico.

Dalla fortezza si venne in soccorso dei trincierati in castello col trasporto d’una coluvrina che appostata in luogo ben adatto, tempestò terribilmente con mitraglia i [p. 309 modifica]repubblicani che s’allontanarono colla perdita di trenta uomini rimasti sul campo.

Tentarono pure i francesi di sorprendere la porta di Solaia ma furono con ardore respinti.

Il comandante Austriaco in vista di questa eroica difesa pubblicò il seguente proclama:


Cavaliere Gioanni Nepomuceno Schmelzem di Vildmatir
Comandante della fortezza di Ceva.


Brave popolazioni di Ceva e delle terre circonvicine, voi ad imitazione degli avi vostri con prove non equivoche avete dimostrato tutto l’attaccamento per la buona causa, una fedeltà somma al vostro Sovrano ed all’armata alleata. Voi siete state pronte alla difesa contro il nemico, ferme e valorose vi sosteneste nella notte delli 14 alli 15 corrente ottobre, docili e pieghevoli voi siete al comando di chi vi dirige.

Vi si rendono perciò le dovute grazie.

Con trasporto di giubilo ci siamo procurato l’onore di esattamente informarne S. E. il signor generale comandante l’armata d’Italia barone Demelas. A piena compiacenza e soddisfazione accolse l’annunzio, e vi accerta che per vostra tranquillità ha fatto avanzare truppe in molta quantità.

Continuate, o brave popolazioni, nella vostra fermezza e valore, e nella docilità e pieghevolezza presso chi vi comanda e vi dirige, e vi promettiamo tutta la nostra assistenza ed attenzione, per attestarvi la nostra compiacenza nella lodevole vostra condotta.

Dal forte di Ceva li 25 ottobre 1799.

SHMELZEM.        
SITO V. Segretario.