Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri/XIV

Di ciò che successe a Dante Allighieri dal tempo in cui mancò di vita l'Imperatore Arrigo VII. fino alla sua morte.

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Di ciò che successe a Dante Allighieri dal tempo in cui mancò di vita l'Imperatore Arrigo VII. fino alla sua morte.
XIII XV


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§. XIV.

Di ciò che successe a Dante Allighieri dal tempo in cui
mancò di vita l’Imperatore Arrigo VII. fino alla sua morte.

Giovanni Boccaccio narra, che disperatosi Dante per la morte impensatamente succeduta dell’Imperatore Arrigo «senza andare di suo ritorno più avanti cercando, passate le alpi d’Appennino, se ne andò in Romagna» là dove l’ultimo suo dì, che alle sue lunghe fatiche doveva por fine, lo aspettava1. Ma Leonardo Aretino che da vero Storico scrisse la Vita del nostro Poeta, più esattamente ciò che ad esso successe in questo tempo racconta, dicendo che dopo l’accennato successo «povero assai trapassò il resto di sua vita, dimorando in varj luoghi per Lombardia2, per Toscana, e per Romagna, sotto il sussidio di varj Signori, per in fino che finalmente si ridusse a Ravenna, dove finì sua vita». Non è facil cosa il rintracciare i viaggi, che per diverse parti fece Dante, e molti ne accennano gli Scrittori, dei quali non si può sicuramente sapere il tempo. Il celebre Voltaire scrive nella sua lettera sopra Dante3 che egli se ne andò a Federigo di Aragona fratello di Giacomo Re di Sicilia, e pare che pensi ciò essere stato doppo che Dante vedde svanite le speranze che aveva concepite sopra Arrigo; ma di ciò non mi è noto qual buon riscontro vi sia4. Il nostro cronista [p. 132 modifica]Giovanni Villani5 dice che Dante sbandito di Firenze "andossene allo Studio di Bologna, e poi a Parigi, ed in più parti del mondo". Giovanni Mario Filelfo6 vuole, che avanti di andare a Parigi l’Allighieri applicasse in Cremona allo Studio della Filosofia sotto un tal Giovanni Conti, e poi in Napoli sotto Paolo Archino, uomini di sommo merito in quella professione7. Io non ho trovato fin qui alcun riscontro di quanto dice il Filelfo, e l’Aretino neppur fa motto dell’essere stato Dante nell’Università di Parigi. Il Boccaccio per altro non solamente ci assicura di ciò, ma ci dice ancora, che essendo Dante a studio in detta città, sostenne in una disputa de quolibet,8 la quale si faceva in una Scuola di Teologia, «quattordici questioni, da diversi valent’uomini, e di diverse materie con loro argomenti, pro et contra, fatti da’ proponenti, e senza metter tempo in mezzo, raccolte, e ordinatamente, come poste erano state, recitò» e Domenico di messer Bandino di Arezzo racconta che da giovanetto avanti di applicarsi agli impieghi civili della Repubblica facesse i suoi studi nella predetta Università. Quello che a suo luogo abbiano narrato dei primi anni della vita di Dante [p. 133 modifica]pare che escluda in quel tempo un tal viaggio9. Ma se vero è, come sulla fede del mentovato Filelfo si disse di sopra, che Dante fosse dalla Repubblica Fiorentina inviato Ambasciatore al Re di Francia, può ben’essere, che nel tempo che colà si trattenne, per non passare in ozio i suoi dì, concorresse con gli altri a sentire in quella celebratissima Università10 le lezioni di tanti chiari soggetti che in essa insegnavano11; e che ivi si esercitasse a disputare secondo il costume sopra le questioni che venivano da quei Professori proposte; e secondo un tal supposto è probabile che allora egli conoscesse quel Sigieri celebre maestro di Logica, di cui parla encomiandolo nel X. Canto del Paradiso12; o che sotto di lui si applicasse ad imparare profondamente questa Scienza, la quale costituiva in quel tempo la maggior parte del sapere umano. Vi fu chi messe in dubbio che Dante sia stato a Parigi13, ma [p. 134 modifica]forse altrove gli sarebbe stato difficile di profondarsi tanto nelle scienze, quanto in quello Studio; e non è inverisimile, che procurasse di andarsene colà dove era in quel secolo, per così dire, la sede della dottrina, e dove era fresca la memoria del dottissimo e santissimo Tommaso d’Aquino, di cui parla in più luoghi del suo Poema. Comunque sia di ciò, non ho certamente lumi bastanti per istabilire almeno con sicurezza il tempo preciso di questa sua gita in Parigi, nè delle altre che abbiamo accennate. E per ischiarimento di quello che dice Leonardo Aretino, è da avvertirsi, che Dante, secondo ciò che racconta il Boccaccio, non solamente si rifugiò per alcun tempo nella Lunigiana presso il marchese Malaspina, e presso i Signori della Scala in Verona, ma ancora presso la famiglia Paratico di Brescia14 come pure in Casentino col Conte Salvatico15, e con quei della Faggiuola ne’ monti vicino ad Urbino. Quando tal cosa accadesse, cioè se avanti, o dopo l’anno 1313. in cui morì l’Imperatore Arrigo, io non mi trovo aver tanto in mano da deciderlo sicuramente, non essendo concordi quelli Scrittori, i quali hanno parlato delle avventure del nostro Poeta. Vi è poi costante tradizione, che Dante dopo essersi veduto privo di qualsivoglia speranza di ristabilirsi nella patria, datosi in preda a’ suoi tristi pensieri, si ritirasse a compire il suo Poema nel Monastero dell’Ordine [p. 135 modifica]Camaldolense di S. Croce di Fonte Avellana, luogo orrido e solitario, situato nel territorio di Gubbio,16 nel qual monastero le camere, ove si crede che abitasse, diconsi di presente le camere di Dante17; ed in esse per conservare la memoria di tal fatto, vedesi sotto un busto di marmo rappresentante il Poeta, la seguente iscrizione:

18Hocce cubiculum hospes
in quo Dantes Aligherius habitasse
in eoque non minima praeclari ac
pene divini operis sui partem com-
posuisse dicitur undique fatiscens
ac tantum non solo aequatum
Philippus Rodulphius
Laurentii Nicolai Cardinalis
amplissimi Fratris Filius summus
Collegii Praeses pro eximia erga
Civem suum pietàte refici hancque
Illius effigiem ad tanti viri memo-
riam revocandam Antonio Petreio19
Canon. Floren. Procurante
collocari mandavit

Kal. Maii M.D.LVII.

20Cam. Monaci re verius cognita Hoc in loco ab ipsis restaurato posuerunt. Kal. Nov. MDCXXII. [p. 136 modifica]

Io sono per altro di sentimento, che Dante prima di questo tempo avesse terminato il suo meraviglioso lavoro; di che ne addurremo a suo luogo le prove; onde o Dante si refugiò nell’Abbazia dell’Avellana avanti che Arrigo VII. passasse in Italia, o non è vero che, quando in detto luogo si trattenne, si occupasse a finire la Divina Commedia. Di qui ancora sono portato a credere, che Dante quando fu in casa di messer Busone da Gubbio non attendesse a scrivere il suo Poema, se pure non prima dell’anno 1318. fu dal detto Busone cortesemente ricevuto nel suo Castello di Colmollaro presso il fiume Saonda21. I Gubbini stessi hanno per tradizione, che buona parte di questa Divina Opera il Poeta Dante componesse nella loro città, onde nella muraglia di fianco della casa dei Conti Falcucci22 si legge:

hic mansit dantes
alegherius poeta
et carmina scripsit.
Federicus. Falcutius.
Virtuti. et Poster. P.
23

Che se Dante fu in Gubbio dopo aver perduta ogni speranza di ritornare a finire i suoi giorni in Firenze sua patria, lo che, atteso la narrazione delle cose esposte di sopra24, è indubitato, io dico che allora aveva già dato compimento al suo bellissimo lavoro, che gli scrittori si [p. 137 modifica]sono falsamente dati a credere, che ovunque si trattenne il nostro Dante, ivi ancora faticasse intorno alla Commedia, nel compor la quale spese certamente più tempo25. Nè prima dell’anno 1313. pare, che Dante potesse ricorrere a messer Busone, con cui aveva stretto una forte amicizia, fin da quando nel 1304. si trovò con esso in Arezzo; imperciocchè il detto messer Busone era stato discacciato con gli altri della sua famiglia, come Ghibellino, da Gubbio sua Patria nel mese di Giugno 1300.26, e quando nel 1310. in circa gli riuscì di rientrare in Gubbio, poco tempo vi si trattenne, essendo stato nuovamente costretto ad uscirne27. Nel 1318. per altro dice Francesco Raffaelli28, che Busone, il quale era già stato nel 1316. potestà di Arezzo, e nel 1317. potestà del Comune di Viterbo, ritornò a Gubbio, e che nel mentovato Castello di Colmollaro fermò la sua dimora. Ora è molto probabile, che in questo tempo messer Busone desse albergo, e trattenesse in sua casa il nostro Dante, e che mirando questi con qual premura attendeva Busone all’educazione de’ suoi figliuoli gli dirigesse quel sonetto, che per la prima volta comunicò al pubblico il detto Raffaelli, e che incomincia:

Tu, che stanzi lo colle ombroso e fresco ec.

Dante ebbe ancora in Gubbio discepoli, e tra questi fu quell’Ubaldo figlio di quel Bastiano autore di un opera ancora inedita intitolata Teleutelogia da noi più sopra accennata, scritta parte in prosa, e parte in versi latini di vario metro nella quale si tratta delle virtù, de’ vizi e della morte29. Da [p. 138 modifica]diversi riscontri può rilevarsi che costui scrisse sotto la disciplina del nostro maggior Poeta prima de’ tempi di cui parliamo, giacchè dichiara fino da’ suoi teneri anni averlo avuto per maestro,30 e visse certamente avanti l’anno 1334. in età matura31, ma non implica contraddizione che profittasse de’ di lui insegnamenti anche verso il detto anno 1313. Questo Ubaldo, figlio di Bastiano, dice nel citato Teutelogio, che apprese Lettere Greche da Dante; [p. 139 modifica]e rettamente il Dionisi ne inferisce, che insegnò Greco anco a Busone figlio di Busone Novello, suo ospite ed amico, poichè dice a questi in quel suo sonetto, che il figlio, a cui dava insegnamento:

S’avaccia nello stil Greco e Francesco.

Avanti che si ritirasse il nostro Alighieri presso messer Busone, cioè nel 1317. dicono alcuni storici32 che egli in Udine trattenendosi, e particolarmente nel Castello di Tolmino nel Friuli con Pagano della Torre Patriarca d’Aquileja, e prima Vescovo di Padova33, scrivesse buona parte delle sue Cantiche. Ma prima di questi tempi, vale a dire nel 1313. dice Monsignor Fontanini34 che Dante aveva preso ricovero presso Guido da Polenta, Signor di Ravenna, e che da lui era stato spedito suo Ambasciatore ai Veneziani, per rallegrarsi principalmente dell’elezione del nuovo Doge Marino Giorgi, eletto quel medesimo anno 1313. in mancanza del defunto Pier Gradenigo. L’unica prova che si abbia di questo fatto è una supposta lettera di Dante scritta al suddetto Guido di Venezia35, nella quale e di detta città, e de’ Veneziani [p. 140 modifica]parla assai svantaggiosamente, la qual lettera per moltissime ragioni è stata come un’impostura di Francesco Doni rigettata, siccome a suo luogo diremo; onde da essa non possiamo prendere alcun lume per fissare il tempo in cui Dante fu da Guido con somma cortesia nella sua Corte ricevuto. Al contrario Girolamo Rossi36, il Marchese Maffei,37 ed altri seguendo il Villani38 parlano di un’Ambasceria sostenuta da Dante presso la Repubblica di Venezia per il detto Guido, ma la pongono molto più tardi, e dicono che nel ritorno da essa se ne morì Dante afflitto dal dispiacere di non aver potuto servire, come bramava il suo Signore, al quale quella Repubblica minacciava di muover guerra. Giovanni Boccaccio e Leonardo Aretino nelle rispettive Vite del nostro Poeta non fanno punto menzione di questa pretesa Ambasceria; ed il primo di questi soltanto scrive, che Guido Novello, il quale era un gentil Cavaliere, e che ne’ liberali studj essendo stato ammaestrato, i valorosi uomini, e particolarmente quelli che per scienza gli altri avanzavano, sommamente con ogni distinzione onorava, con replicati inviti aveva chiamato alla sua Corte il nostro Dante, e che egli trattenuto dalla di lui cortesia, ivi per alcuni anni, cioè fino all’ultimo de’ suoi giorni se ne era stato, della protezione di un così grazioso Signore felicemente godendo. Non credo adunque d’ingannarmi, se mi vado persuadendo, che a Ravenna si conducesse il nostro Dante nel 1319. [p. 141 modifica]e che questo fosse l’ultimo soggiorno, nel quale fino alla morte, senza mai di qui partirsi, stesse fermo a’ suoi studj seriamente applicato. A questo per altro fa contro quello che si legge in un piccolo libretto, che contiene una disputa sopra i due elementi Acqua e Terra, la quale, secondo quello che in fine di esso si legge, fu sostenuta da Dante nella città di Verona il dì 20. Gennajo 1320.39 Ma siccome di ciò non si ha altro riscontro, che il detto libretto impresso nel 1508. in Venezia, così o non è vero quello che in esso si dice, oppure Dante nell’essere in Ravenna si portò a Verona per rivedere i suoi, che quivi è probabile che si fossero fermati fino da quando egli si refugiò in Corte degli Scaligeri. Non è pure da tralasciarsi, per concludere di quest’ultimo periodo della vita del Poeta, che nel castello di Porciano posto a sinistra dell’Arno in Casentino, di cui esiste ancora qualche vestigio di fortilizio, dagli abitanti vien mostrato un certo sito dietro la chiesa, nel quale al dire di Ferdinando Morozzi40 per antica tradizione dicono essere stato carcerato Dante. Qualunque ne fosse la causa, ed in qualunque tempo avvenisse ciò, è certo, per quello che dicemmo sopra, correr voce che in età avanzata erasi Dante nelle Alpi della predetta Provincia trovato involto in amorosi lacci; e de’ popoli abitatori di un tal Castello pensa il citato autore ch’egli parlar volesse nel canto 14. del Purgatorio quando del suddetto fiume egli dice vers. 43.

     Tra brutti porci più degni di galle
          Che d’altro cibo fatto in uman uso,
          Dirizza prima il suo povero calle.

Note

  1. Giovanni Boccaccio, Vita di Dante.
  2. In questa occasione avvenne forse che Dante con sommo onore fosse ricevuto in Reggio nella propria casa da Guido Roberti da Castello Poeta, detto il semplice Lombardo, per testimonianza di Benvenuto da Imola nel comento al canto XVI. del Purg. vers. 125. Antiqu. ital. vol. 1. pag. 1207.
  3. Vol. V. delle sue opere edizione di Ginevra pag. 202.
  4. Voltaire in questa lettera scrive anco in modo che sembra burlarsi di noi per la stima grande che facciamo dell’Allighieri, e cade in altri sbagli, che ora non rivelerò, perchè altrove ha parlato più seriamente della reputazione del nostro Poeta. È da vedersi una lettera di Giuseppe Torelli Veronese al Marchese Maurizio Gherardini sopra Dante Alighieri contro Voltaire. Verona 1781, per gli eredi di Marco Moroni in 8.° di pag. 29. È semplice ma bene scritta.
  5. Lib. 9. cap. 125.
  6. Vita di Dante manoscritta. Quindi è che più voci straniere di lingue moderne usò nel suo Poema.
  7. Al dire del Filelfo. Ecco le sue parole: «Cremonae primum philosophiae studuit naturali, moralem enim audierat a Latino Praeceptore, Albertumque, ac Divum Thomam familiarissimos reddiderant sibi. Deinde Neapoli tamdiu vacavit logicae, ut mirabilem et a Johannae Comite, qui docebat Cremonae, et a Paulo Archino, qui docebat Neapoli, utroque philosopho acutissimo et doctissimo laudem reportavit.» Di costoro non ho fin qui saputa ritrovare alcuna notizia.
  8. È comparso recentemente alla luce in Parigi (1818) un’opera intitolata Melanges d’origines etymologiques et de questions grammaticales, par M. Eloi Johanneux nella quale si vede che nella strada di quella Capitale chiamata de Fouarre, le célébre Auteur de la Divine Comedie soutint en plein air ses theses pubbliques. Nota dell’E.
  9. Il Villani, il Boccaccio, Benvenuto da Imola, Giannozzo Manetti ed altri asserirono egualmente che Dante fu a studiare in Francia; ma in qual tempo non vi è sicurezza, e può bene essere che studiasse a Parigi quando vi fu Ambasciadore del nostro Comune. Il Manetti ed altri parlano di due gite; ma che Dante non facesse il viaggio di Parigi dal 1308. al 1311. me lo fa credere la speranza ch’egli aveva di tornare nella Patria, per cui non stimo che tanto da essa si volesse allontanare per non perdere alcuna di quelle occasioni che gli si fossero affacciate, tanto più poi che come si avvertì, Arrigo VII. subito che fu eletto Imperatore nel detto anno 1308. dette promessa di portarsi senza indugio in Italia. Da ciò fin d’allora doveva lusingarsi Dante di rientrare in un modo, o nell’altro in Firenze, e piuttosto che agli studi, ai suoi domestici interessi era tempo che applicasse.
  10. Alla detta Università fino dal XI. secolo concorrevano gl’Italiani per apprendere le scienze, che colla fondazione della medesima aveva, per così dire, Carlo Magno fatte rinascere nella Francia. Ved. il Muratori Antiquitat. medi aevii Tom. III. Disser. XLIV. La fama per altro di questa Università si è sempre mantenuta, ed in essa sono sempre fioriti grandi uomini principalmente nella Teologia. È da vedersi C. F. Boulay nella sua voluminosa Storia della stessa Università, impressa in 6. Tomi in foglio, Parisiis apud Franciscum Noel in via Jacobaea a. 1665.— 1670.
  11. Vedi il Volume III. di detta Storia.
  12. Vers. 136. e seg. Di esso non ho trovato che ne parli il Boulay nel suddetto Vol. 3.
  13. Pietro Bayle nel suo Dizionario. v. Dante nota K.
  14. Rodella dette notizia al Dionisi che Dante fosse presso la famiglia Paratico ed alloggiato nel castello di questo nome. Nella Cronica Tomo IX. della Raccolta di varie operette manoscritte in foglio esistente in Brescia, si legge a carte 40. quanto segue: «Questo Lauteri (di Paratico) seguendo le nobile pedate di maggiori suoi, alloggiò un tempo quel famoso Poeta Adigerio Fiorentino, nel Castello e villa di Paratico, mentre egli fosse dalla Patria sua exule, dove stette un tempo poetando, come da diversi antichi di questa famiglia di Lauteri atempati ho sentito».
  15. Questo è senza fallo quel Conte Guido Salvatico figliuolo del Conte Ruggieri, e nipote del celebre Conte Guido Guerra (di costui parla il Poeta nel XVI. Cant. dell’Infer. vers. 38.) de’ Conti Guidi, mentovato da’ due Ammirati nella Storia de’ Conti Guidi stampata in Firenze nel 1640. in fogl. pag. 60. e seg. il qual Conte Salvatico era Signore del Castello di Prato vecchio nel Casentino, in cui nacque Cristofano Landino, e quivi forse si trattenne il nostro Dante quando stette con detto Conte.
  16. Del suddetto Monastero ove, dopo essere stata estinta da Pontefice Pio V. per la decaduta disciplina la Congregazione Avellanita nell’anno 1569. soggiornano i Monaci Camaldolesi, Ved. un libretto intitolato "Cronistoria dell’antica, nobile, ed osservante Abbadia di S. Croce della Fonte Avellana nell’Umbria, dell’Ordine Camaldolense. Siena 1723. in 4."
  17. Sono avanti a quelle ove risiede l’Abate.
  18. Quest’Iscrizione è riportata in varj libri con qualche diversità, ma noi abbiamo seguita la copia che ne dà il Raffaelli nella Storia di messer Busone cap. 5.
  19. Antonio di Pietro Petrei fu Canonico della Metropolitana Fiorentina ed intimo famigliare del Cardinale Niccolò Ridolfi nostro Arcivescovo, e morì nel 1570. Di lui parla il Canonico Salvino Salvini nelle Vite manoscritte dei Canonici Fiorentini.
  20. Questa aggiunta si è tratta dall’ann. IV. della Soc. Colomb. non ne avendo fatta parola il detto Raffaelli,
  21. Ved. il citato Francesco Maria Raffaelli nel suo trattato intorno a messer Busone da Gubbio cap. 5. Questo Castello è distante dalla Città di Gubbio 6. miglia, e mezzo in circa.
  22. Detta casa posta vicino alla porta di s. Agostino, Quartiere s. Andrea, Cura di s. Maria Nuova, fu venduta a Bartolo Minelli dagli eredi Falcucci, che per povertà vendettero a peso di carta tutti i fogli e i manoscritti antichi ereditati da’ loro maggiori.
  23. Francesco Raffaelli loc. cit.
  24. §11. A me pare che dal 1302. nel quale cade la condanna di Dante fino al 1311. in cui da Toscanella scrisse la Lettera ad Arrigo VII. si abbiano notizie da ordinare con sicurezza i suoi viaggi, e che non vi sia luogo da collocare in detto tempo la sua dimora in Gubbio, se pure questa non fosse stata per un tempo brevissimo.
  25. Lo dice espressamente nel Canto XXV. del Paradiso vers. 3. e ciascuno resterà facilmente persuaso, che un lavoro simile dovette costare a Dante un lungo ed assiduo studio.
  26. Francesco Raffaelli loc. cit. cap. 4.
  27. Raffaelli, ivi.
  28. Cap. 5. di detto Trattato.
  29. Quest’opera si ritrova nel Codice membranaceo XVI. Plut XIII. pag. 180. e seg. della Libreria Mediceo-Laurenziana contenente gli 8. libri; de Trinitate attribuiti ad Atanasio, e varie altre cose . È divisa in tre libri con questo titolo «Liber de Teleutelogio. Liber primus incipit editus ad felicissimi nominis gloriam invictissimi et illustris herois Domini Caroli Ducis Calabriae primogeniti Serenissimi Principis Domini Roberti Ierusalem et Siciliae inclyti Regis» Dopo il Proemio in un Elegia seguono le X. collazioni in cui è diviso, delle quali i titoli sono: I. Anepigraphus. II. De crudelitate mortis. III. De varietate mortis. IV. De malitia humani generis. V. De biformi facie mortis, et ejus adulationibus. VI. Utrum aliquae qualitates hominum ab ictibus mortis eripiant, et primo de scientia. VII. De pulchritudine. VIII De dignitate. IX. De Fortitudine. X. De nobilitate, et divitiis. Il secondo libro che tratta de Bono mortis è diviso in sei collazioni cioè: 1. De pulchritudine mortis, et ejus desiderio. II. De similitudine animae humanae cum angelis per mortem. III. De comtemptu praesentis vitae, et de gloria provenienda per mortem. IV. Ex quot, et ex quibus causis mors proveniat. V. De visione Dei, et supernae patriae per mortem. VI. De proprietatibus Angelorum bonorum, et malorum et eorum officiis. Il 3.° finalmente ragiona de septem peccatis vitiis capitalibus, ed è distinto in VIII. collazioni così: I. De superbia. II. De avaritia, ejus et effectibus. III. de luxuria et ejus effectibus. IV. de gula et ejus effectibus. V. De ira et ejus effectibus. VI De invidia et ejus effectibus. VII De accidia et ejus effectibus. VIII De inobedientia, et de mortis remediis.» Il. nome dell’autore comparisce solo nella VI. collazione del libro III. e nella collazione IV. del lib II. indicata sua patria Gubbio.
  30. Vedi le parole riportate nel luogo citato. Altrove, cioè nell’ultima collazione del III. lib. s’impara che ebbe ancora per maestro il celebre Canonista Giovanni D’Andrea Mugellano.
  31. Nel Proemio sparge gran lodi a Giovanni XXI. detto XXII. il quale regnò dal 1316. al 1334. Sicchè non avendo potuto scrivere Bastiano che in questo intervallo di tempo, e nel medesimo essendo già dovuto essere bene addottrinato, è da concludersi che ascoltasse Dante prima del 1313. Mi nasce però quì sospetto che questo Bastiano poss’esser figliuolo di Busone lodato nel citato sonetto, perchè ritrovo Bastiano nei discendenti di Busone come può riscontrarsi nel suddetto trattato del Raffaelli.
  32. Giovanni Bonifacio Storia Trivigiana lib. 7. Cav. Jacopo Valvasone di Maniaco nella Storia manoscritta de’ Patriarchi d’Aquileja, presso il P. Negri negli Scrittori Fiorentini pag. 140. Anzi quest’ultimo racconta che in Tolmino si sporge un sasso, il quale vien chiamato la Sedia di Dante.
  33. Di questo Pagano della Torre si consultino gli Scrittori del Friuli. S’egli successe per altro nel Patriarcato d’Aquileja, come è certissimo, a Gastone della Torre, e se a lui ricorse Dante quando era in detta dignità, ciò non potette accadere, se non dopo il mese d’Agosto del 1318. in cui morì Gastone. Ved. Can. Franc. Florio, dissertazione sopra il Deposito di Gastone Patriarca d’Aquleja, impressa nel Vol. 11. delle Memorie della nostra Soc. Colombaria ed il P. Bernardo Maria de Rubeis in Diss. de nummis Patriarcharum Aquilejensium, inserita nella prima parte delle Dissertazioni di varj De Monetis Italie, raccolte da Filippo Argelati.
  34. Eloq. Ital. lib. 11. cap. 20. Lo dice ancora Scipione Claramonti nel lib. 12. della sua Storia di Cesena.
  35. Il Sansovino nella sua Venezia pag. 326. edizione di Venezia 1663. in 4. descrivendo il Palazzo Ducale dice che sopra il Seggio del Principe nel Salone dell’Eccelso Consiglio de’ Dieci, erano quattro versi composti da Dante Allighieri, quando venne Ambasciatore per i Signori di Ravenna, i quali versi posti sotto d’una pittura rappresentante il Paradiso, dicevano:

         L’Amor che mosse già l’Eterno Padre,
              Per figli aver di sua Deità trina,
              Costei, che fu del suo figliuol poi madre,
              De l’universo qui la fa Regina.

    Questi versi con la pittura andarono male nell’incendio probabilmente del detto Salone, seguito l’anno 1557. nel Principato di Sebastiano Veniero il glorioso.

  36. Hyeronim. Rubens. Hist. Ravennatum lib. 6.
  37. Degli Scrittori Veronesi loc. cit. pag. 54.
  38. Lib. 9. cap. 125.
  39. Di questo libretto parla il Cinelli nella Biblioteca volante e l’Apostolo Zeno nel Vol. 2. delle sue lettere pag. 304.
  40. Nel suo ragionamento istorico mattematico dello stato antico, e moderno del fiume Arno. parte II. pag. 8. in Not. 3.