Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XXXIV

Capitolo XXXIV

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CAPITOLO XXXIV

Richiesta fattami dall’onorato mio amico signor Carlo Maffei per parte del Gratarol. Mio ragionamento col Maffei. È fissato un colloquio in terzo.


Avvenuta la sospensione del dramma per l’ameno strattagemma della finta caduta della Ricci e nel tempo che piú bolliva lo sdegno e piú gorgogliavano le pubbliche dicerie per il caso accaduto, mentre passeggiava io soletto la sera de’ quindici di quel gennaio, immerso ne’ miei dispiaceri, per la platea del teatro in San Salvatore prima che si levasse il sipario, attendendo una delle solite commedie allegre dell’arte che mi facesse ridere, mi si fece al fianco il signor Carlo Maffei, il quale con una premura temperata dalla sua naturale dolcezza mi pregò ad ascoltare in secreto cosa che desiderava di dirmi.

Siccome egli era mio amicissimo e siccome egli era solito ad onorarmi di chiedere a me qualche parere con frequenza sopra a qualche avvenimento a lui relativo, condiscesi alla sua richiesta. Egli mi condusse in un suo palchetto nel teatro medesimo, e chiuso con diligenza l’usciolino, incominciò un suo discorso con una gran commozione di spirito.

Prima di narrare il discorso ch’egli mi fece da me inaspettato e la mia risposta, mi diverto con la mia penna a dare al mio lettore un’idea verace della degna persona e del carattere del signor Maffei.

Il signor Carlo Maffei è uomo d’una probitá scrupolosa, d’un animo delicato e sensibile al grado maggiore. Egli possiede gli attributi quanti sono necessari a costituire il carattere del vero uomo onorato.

Chi ha l’animo tenero e suscettibile alla compassione ed è inclinato alla buona fede è facilmente sedotto e ingannato. [p. 70 modifica]

Nel corso di forse quindici anni ch’io godo della sua buona amicizia sono certo d’averlo trattato con quella sinceritá irreprensibile con cui è debito di trattare l’amico.

Non potrei accusare quell’ottima persona se non che d’una troppo favorevole prevenzione che aveva per me. Tutte le opere della mia penna erano per lui ammirabili. Il mio ingegno era per lui sorprendente. La mia condotta era agli occhi suoi esemplare, morale, filosofica, non rigida e spregiudicata.

Negli anni della nostra reciproca buona amicizia egli ha creduto in alcune delle sue vicende di aver talora necessitá de’ miei consigli ch’egli ascoltava come oracoli. L’ho servito sempre con quel poco lume che aveva, ma ingenuamente. Fu ventura per lui ch’egli abbia trovato il suo conto eseguendoli, e fu ventura per me ch’egli accrescesse in mio favore ognor piú una considerazione non meritata.

Per altro lontanissimo egli dall’imitare il mio costume solitario, seguiva non so per qual genio contrario alla costituzione del suo individuo e al modo del suo pensare, a vivere nel mezzo a quello che in Venezia si chiama «bon ton» e «gran mondo», che niente aveva che fare con un mondo e una societá a lui proporzionati. Forse senza essere filosofo osservatore si piccava di seguire un andazzo ciecamente, e forse cercava de’ sollievi ch’egli m’ha confessato ben mille volte di non trovare.

Credo che vivendo nel mezzo a cotesto bon ton, egli fosse amico da un maggior numero d’anni che non era di me, del Gratarol. Non saprei dire in che consistesse il loro amichevole commercio nel bon ton, né quale opinione avesse il Gratarol del Maffei, né con qual sorta d’amicizia quest’ultimo fosse trattato dal primo. A me basterá di provare con chiarezza nella pura narrazione di queste Memorie con le parole stesse del Gratarol che chiunque non contribuisce alle sue ambiziose, stolte, proditorie, strattagemmatiche violenze è inutile amico, uomo da nulla, uomo sciocco, uomo cattivo.

Può darsi che il Gratarol abbia trattato il Mafifei ne’ tempi anteriori con amicizia cordiale, e posso solo provare con somma [p. 71 modifica]limpidezza che il Gratarol riguardo a me ebbe cuore di abusare dell’amicizia verace che sentiva il Maffei per lui e di sedurlo ad essere strumento d’un sutterfugio che gli aprisse la via ad una fetida ipocrita sopraffazione, degenerata poscia in un tradimento.

Interpreto senza temere di prendere un granchio che la tenera umanitá dell’onesto Maffei sentisse afflizione e compassione della circostanza in vero commiserevole in cui era caduto con de’ passi falsi e delle petulanze imbecilli il Gratarol per Le droghe d’amore, e che provasse gran dispiacere che il Gratarol avesse di me quella rea opinione ch’io non meritava per nessun conto.

Stata sia la commiserazione che il delicato animo del Maffei sentisse per la miseria in cui si trovava ravviluppato il Gratarol, o stato sia il desiderio ch’egli sentiva per delicatezza, che il Gratarol si persuadesse ch’io non aveva alcuna parte nella di lui sciagura; il Maffei fu condiscendente e facile a imbrogliarsi in un uffizio intempestivo a petizione del Gratarol, il quale realmente non guarda di sacrificare l’amico o il nimico, l’amica o la nimica, quando si tratta del suo puntiglio, della sua boria, o si ostina a credere d’avere un vasto cervello da strattagemmi.

Il far cadere da una scala una povera comica e il ridurre il povero Maffei al passo che si vedrá, furono due strattagemmi grataroliani non molto dissimili l’uno dall’altro. Ecco finalmente l’uffizio fattomi dal signor Carlo Maffei.

Egli m’espose che i casi del Gratarol destavano in lui una estrema compassione, che quel signore era stato a visitarlo e che lo aveva fatto piangere, che l’incendio della di lui fantasia era eccessivo e da commiserarsi, ch’egli lo aveva pregato ad indurmi ad ascoltarlo sul proposito del noto dramma, che il luogo scelto dal Gratarol per il colloquio nella mattina vegnente era la stessa abitazione Maffei, che per altro il Gratarol mostrava anche d’esser disposto di venire insieme con lui da me e ch’era certo ch’io averei fatto il favore d’ascoltarlo nell’uno o nell’altro luogo. [p. 72 modifica]

La dimanda mi sorprese. — Come mai — dissi tra me — il Gratarol che per tutti i velenosi uffizi fatti dalla Ricci si è determinato a formarsi un’idea di me tanto svantaggiosa e che per tutti i suoi sospetti, tutte le sue mosse, tutti i suoi strattagemmi e per quanto sin ora è accaduto, deve odiarmi assolutamente, si avvilisce e impegna ora la cordialitá d’un amico comune ad essere mezzo di conciliare un tale abboccamento amichevole? Perché non cercò egli quest’abboccamento amichevole meco a’ primi spruzzi di veleno fattigli bere dall’attrice? Questa tarda premura di favellare con me ha qualche scorpione celato.

L’immagine che ragionevolmente m’era formata di quel signore, a quella richiesta mi dipinse in astratto una raggiratrice petulanza verso di me e un sacrifizio ch’egli faceva della delicatezza e onestá del buon amico commosso Maffei. Non mi sono ingannato nella mia astratta previsione.

I sofismi non sono per me né per gli uomini di fermo intelletto. L’animo lordo del piú nero livore, costretto e coperto dalla piú sordida ipocrisia verace, co’ quali il Gratarol per vincere l’invincibile o per cadere ne’ tradimenti brutali verso l’ospitalitá e la buona fama altrui tentò d’aver meco col mezzo dell’innocente Maffei un colloquio sotto l’ombra di sociale amistá, sará svelato dal Gratarol medesimo, siccome farò vedere.

Se nel punto in cui il Maffei mi pregava d’unirmi ad un colloquio amichevole col Gratarol a richiesta di quello, mi fosse stato noto che il Gratarol aveva un giorno o due prima presentato una supplica da delatore al tribunale supremo contro di me per proccurare la mia rovina, appoggiando sempre riguardo a me a quanto gli aveva istillato una comica, e che quella supplica era stata da quel sacrario con clemenza rispinta, siccome rilevai dopo nel colloquio accordato, dalla stessa voce di quella cerasta alla presenza del Maffei intercessore per il colloquio; averei negato altamente al Maffei di accordare colloqui con un tal uomo.

Ignaro sino a quel momento del proditorio tentativo usato da quel verme superbo e insistente, come credo che fosse all’oscuro anche il Maffei, ecco la risposta da me data all’onorato Maffei, [p. 73 modifica]ben altro testimonio che non è una scenica attrice. — Signor Carlo, io non saprei indovinare ciò che brami da me il Gratarol nel colloquio ch’egli cerca col di lei mezzo d’avere con me. Dal canto mio non v’è ostacolo ad un tale colloquio, e a lei non devo negarlo.

Se però nelle prime mosse fatte dal Gratarol sedotto dalle riferte d’una comica per impedire la esposizione della mia infelice commedia, ed a’ primi discorsi da lui suscitati nella cittá a di lui ed a mio pregiudizio, dissi a lei e a ben vent’altri lagnandomi ciò che averei fatto con animo aperto e cordiale con lui, se fosse venuto da me a sincerarsi sul noto proposito; la prego ora a riflettere sulla differenza della circostanza e a conoscere che niente di ciò che poteva fare in quel tempo posso fare in presente, e che se per avventura egli volesse da me che la commedia non ritornasse nel teatro cercherebbe una impossibilitá.

A lei è palese con quante comiche insidie fatte alla mia non difficile condiscendenza mi fu strappata in dono quella cattiva commedia; quanto feci perch’ella non fosse esposta sul teatro, col solo riflesso alla sua snervatezza e lunghezza; con quante imprudenze inaspettate il Gratarol credulo ad un’attrice fece divenire la commedia una satira personale. Sono a lei noti gli sforzi miei per impedire l’ingresso in sulla scena di quella maledetta commedia, sulle voci sparse che stabilivano un’illusione; sforzi che m’erano anche felicemente riusciti. È nota a lei l’astuzia maligna del capocomico di porre sotto la protezione d’una dama bizzarra e forse nimica del Gratarol la commedia con delle inopportune informazioni alla nuova chiamata al magistrato di revisione, mossa per parte del Gratarol; e sono note a lei le doglianze e le grida sincere fatte da me col capocomico sulla di lui direzione in questo proposito. Noti a lei sono gli sdegni e i puntigli de’ Grandi in questo inetto argomento. A lei è noto il precetto ch’ebbi per parte del magistrato sopra la bestemmia dopo la seconda revisione e seconda licenza, ch’io non dovessi cercar d’impedire e anzi dovessi sollecitare l’ingresso nel teatro dell’opera, giá non piú mia per essere donata [p. 74 modifica]e omai resa soltanto dipendente da’ tribunali e dal pubblico. Sono noti al di lei animo giusto gli esosi arbítri presi con baratti di parte e sull’apparecchio del personaggio in contesa, voglio credere, da’ comici e senza la menoma colpa mia. Ella ha lume bastante per vedere che per tutte le cose nate io non ho piú alcuna facoltá sopra un dramma non piú mio.

Credo alla sua riferta che il Gratarol abbia un incendio nella fantasia. Un solo frenetico fa quanto egli fece. L’ultimo suo sublime pensiero di far cadere fintamente dalla scala la comica, fu un’autentica bestialitá. Ella sa il tumulto avvenuto nel teatro, i discorsi che bollono, lo sdegno de’ Grandi, i ricorsi e le riferte del patrizio padrone del teatro ai capi dell’Eccelso, il comando di quel tribunale che il dramma rientri in iscena con la Ricci condotta da un ministro del tribunale al di lei dovere. Io sono un nulla piú che ogn’altro mortale su questo punto, e credo che tanto lei quanto il Gratarol mi consideri quel nulla a cui la prudenza e il dovere mi costringono.

Ho una costante lusinga ch’Ella sia certa ch’io senta al vivo la reale sciagura del Gratarol. Quantunque dovrei sentire piú la sciagura mia per la vista in cui egli m’ha posto colle sue bestiali direzioni e colla sua lingua, sento la sua sola sciagura.

Non so ciò ch’egli voglia dirmi né ciò che pretenda da me. Il suo cervello acceso dovrebbe farmi rifiutare il colloquio che egli brama con me, e tuttavia non devo ributtare una preghiera di lei.

Siccome io non ebbi e non averò giammai alcuna ruggine nel cuore verso il Gratarol e siccome non devo negare ciò ch’Ella mi chiede, sono pronto ad essere con lui e ad ascoltarlo in qualunque luogo Ella mi comandi. Ben le dico che nella mia abitazione egli non deve venire. Quel signore ha troppo proccurato colle sue incessabili stramberie in alleanza con un’attrice di far credere al mondo ch’io l’abbia esposto in sul teatro per una ridicola vendetta d’amore. Non è difficile che molti credano questa sua folle disseminazione. Pur troppo incontro con frequenza de’ signori i quali mi dicono con esultanza: — Bravo Gozzi! vi ringrazio, avete fatto le mie vendette. Colui [p. 75 modifica]ha involata l’amorosa anche a me. — E le mie negative, le mie proteste veraci sono rese inutili con mio dolore per sua cagione.

Nelle vertenze che corrono, assolutamente egli non deve venire da me, perocché gli occhi sono troppo aperti sopra lui e sopra me. È impossibile ch’egli non sia conosciuto, se non da altri, da chi mi serve. Potrebbero esser sparse delle voci a suo pregiudizio e ch’egli fosse venuto a chieder grazie al mio tribunale. Voglio anzi andar io da lui, e potremo domattina andare insieme a quell’ora ch’Ella vorrá destinarmi.

Se errai nella risposta data al signor Maffei, ottimo testimonio, e se qualche cosa manca alla ingenua dichiarazione ch’io feci con lui, bramo d’esser corretto.

Non so qual uso abbia fatto il Maffei, amico comune, della mia risposta verso il Gratarol ch’egli desiderava con tutto lo spirito di favorire, credo senza sapere ciò ch’egli volesse. Egli era incapace di fare un uso cattivo, ma egli non era allora suscettibile che della compassione e d’una allegrezza di poter esser mezzo d’una riconciliazione che dal canto mio non era necessaria e dal canto del Gratarol era impossibile.

M’avvidi la mattina vegnente in cui ebbi la visita, che il Maffei non aveva riferto al Gratarol il massimo ostacolo ch’io non aveva piú la menoma facoltá sul sciagurato mio dramma; la qual cosa ha cagionato a lui ed a me nella visita avuta uno di quegl’imbarazzi de’ quali la testa infiammata e vendicativa del Gratarol era fertilissima nel cagionarne, come dirò colla veritá sulla penna.

Il tenero Maffei partí dal teatro immediatamente con un giubilo mal impiegato, e ritornò quella stessa sera a dirmi che il Gratarol mi ringraziava e che voleva risolutamente venir egli da me la mattina successiva. Dichiarai quel dispiacere sincero ch’io sentiva della visita nella propria mia casa fissata; ma per troncare nuove gite e nuove riferte, m’assoggettai con dell’amarezza ad attendere il Gratarol e il Maffei la mattina vegnente del dí sedici di quel gennaio all’albergo mio.