XXII

../XXI ../XXIII IncludiIntestazione 8 agosto 2017 75% Da definire

XXI XXIII
[p. 153 modifica]

XXII.


Durante la benedizione uscii a passeggiare sul sagrato deserto; la porta della chiesa spalancata sugli arpioni, lasciava vedere l’altar maggiore illuminato e i riflessi cadevano sulle casupole della piazzetta.

La sera era buia: nelle tenebre fitte del villaggio, nessun altro lume che quello della chiesa. Così nella dura vita di quella popolazione montagnuola solo spiraglio d’ideale era la religione.

Densi globi d’incenso salivano innanzi al tabernacolo d’argento. Cantavano il tantum ergo, inno di lode, dalle intonazioni gravi e melanconiche come tutti gli altri della chiesa.

Un solo popolo, che io mi sappia, fortunatissimo popolo d’artisti, fece della gioia un sentimento sacro, — fu il Greco, che inghirlandava di rose e di verbene le colonne dei suoi templi, e intrecciava danze festose innanzi all’ara del sacrificio. — Non ostante il biblico precetto del servite Domine in laetitia, il concetto della nostra religione,— come di tutte quelle che il mistico Oriente ha generato, — è il dolore. Tutte le sue parole sono meste, tutte le sue [p. 154 modifica]sue speranze e le sue promesse sono oltre il limite funesto della tomba.— Seguace d’un Dio che non ha potuto sottrarsi ai patimenti, la umanità cristiana sale il Calvario, il soffrire è per lei l’unica salvezza. L’antica filosofia ellenica si è affaticata dietro il veli o d’oro della felicità mondana.... un bioccolo solo, un minuto di gioia alla luce del sole!.... Invece Santo Ambrogio, narra un’antica leggenda, quando trovò un uomo felice ordinò alla sua gente di seguirlo immantinenti fuori della casa di colui, la quale doveva essere per la sua fortuna abbandonata da Dio! Chi aveva ragione? È un problema che la fossa risolve in un modo, — e la croce che vi sta su in un altro.

Il rito era compiuto: alla salmodia sottentrava il lugubre borbottio del rosario: — una vecchia dalla voce rauca faceva le proposte; un coro di gemiti rispondeva. Baccio spegneva le candele.

Poi uscivano dalla chiesa i fedeli, e, quetamente, ad uno ad uno si perdevano nelle strette viuzze muti come ombre. Un breve scalpiccio che s’allontanava, poi un lugubre silenzio non interrotto che dal ciangottare dell’acqua nella vasca della fontana.

Nei paesi dell’alta montagna nessun crocchio la sera; la battaglia aspra, cupa della vita, da una avemmaria all’altra, — il resto, quando non è del dolore, è del riposo.

Poco dopo entrando in cucina fui assai sorpreso di trovare Aminta in vivace colloquio con Mansueta.

M’accorsi ch’io non dovevo essere del tutto estraneo ai loro discorsi, perchè entrambi si volsero con premura verso di me.

— Ho bisogno di parlarvi, disse Aminta.

— Oh bravo, soggiunse Mansueta, gli dia lei un buon consiglio a questo povero ragazzo. Io, vecchia ignorante, non ho che gli occhi per piangere. [p. 155 modifica]

Aspettavo che Aminta mi informasse di che si trattava.

Ma egli sembrava tanto smarrito che, dopo le prime parole, non aveva potuto tirare innanzi.

I suoi ignobili panni di montanaro erano laceri e lordi di fango.

— Egli è fuori di casa da stamattina e non osa più rientrarvi.

— Colui l’ha ancora maltrattato? domandai al giovinetto.

— Sempre, continuamente, rispose raccapricciando, e guai s’io gli capitassi adesso fra le mani.

— Vuol lasciare il paese, riprese la donna singhiozzando; ma dove andrai, cosa vuol fare tutto solo, pel mondo, come tua madre, che ha tanto sofferto?

— Non so, balbettò Aminta, venivo da lui perchè mi aiutasse, mi raccomandasse a qualche amico.

Ed indicò me guardandomi con ansietà.

Io non sapevo che rispondere. Preso lì su due piedi mi sentivo impacciato a indicare i mezzi di una risoluzione che avevo consigliata io stesso.

Mansueta disse:

— Figliolo, rifletti finchè sei in tempo. Forse tu fai il caso peggiore di quel che sia: se trovassi una scusa..... e tornassi?

— No, no, interruppe spaurito il nipote, con tutta la risoluzione della sua timidezza; — no, no io non tornerò più.... non tornerò più....

— Se ti facessi accompagnare dallo speziale, egli forse saprebbe ragionare il sor sindaco.

— No, no, ripetè Aminta.

La sua ripugnanza era davvero irremovibile. [p. 156 modifica]

— Pensaci bene, ragazzo, — fra poco tu rientrerai in seminario; qualche settimana è presto passata. Vuoi buttare con tanta facilità la certezza di un patrimonio come quello del sindaco? Egli non ha figliuoli, non ha parenti, tutta la sua roba ti apparterrà un dì o l’altro. Ciò val bene un po’ di pazienza. Tu sarai ricco.... ma se te ne vai a questo modo perderai ogni cosa.

— Non importa, oramai mi vergogno di accettare l’elemosina di quel manigoldo; in fin dei conti perchè vivo alle sue spese? che sono io per colui? ditemelo, zia, sono in età da saperlo, mi pare.

— Egli è la persona a cui tua madre ti ha raccomandato..... rispose Mansueta confusa.

Ed io che le stavo vicino l’intesi sospirare: Oh Rosilde! Rosilde!

— La sua roba non la desidero, io non voglio più nulla da lui..... foss’egli mio padre non voglio più vederlo; egli m’inspira odio, — ed io non vorrei che dimenticarlo. Egli mi detesta, mi tiene per forza, perchè, dice, gli sono stato imposto.... ma perchè, domando io, impormegli? M’avessero buttato in mezzo alla strada era meglio... era meglio che fossi morto...

In questo punto una dolorosa esclamazione ci fe’ voltar tutti e tre.

Don Luigi era lì dietro a noi appoggiato allo stipite dell’uscio.

Aminta s’interruppe a mezzo del suo sfogo e chinò il viso rosso dalla vergogna.

Il curato si fe’ innanzi, gli pose una mano sulla spalla.

— È vero, ho fatto male, compatiscimi.

Egli era pallidissimo: la sua voce tremante rivelava l’interna battaglia degli affetti. [p. 157 modifica]

Il giovane al colmo della confusione voleva buttarsegli ai piedi.

Egli lo trattenne, lo strinse fra le braccia.

— Ho fatto male, ripetè con maggior forza, molto male, ma, se Dio vuole, vi metterò riparo.

Poi piegando la sua testa fino ad appoggiar la guancia sui capelli di Aminta, soggiunse intenerito:

— Tu non tornerai più dal De Boni. È la Provvidenza che mi ti manda; ch’ella sia benedetta, poichè si è degnata di soccorrere la mia debolezza. Il mio cuore ti desiderava, ti cercava, tu sei venuto; ebbene tanto meglio! tanto meglio!.... Oramai il tuo avvenire mi appartiene; per fortuna nessun vincolo giuridico ti lega alla persona che finora s’è incaricata di te. Farò il possibile per risarcirti di quel che hai sofferto, voglio che tu sia contento, figliolo mio; penserò io alla tua sorte.... intanto per ora starai con me, — questa casa è, come nei giorni della tua fanciullezza, la tua;.... tornerai ad abitare la cameretta d’una volta.... poi vedremo cosa s’ha da fare.

Don Luigi, così dicendo guardava me e la Mansueta come volesse prenderci a testimoni del solenne impegno che si assumeva.

Noi eravamo sopraffatti dalla commozione, dalla meraviglia, dalla riverenza.

Quanto ad Aminta egli non poteva parlare: ricambiò il suo benefattore con uno sguardo di riconoscenza, di gioia ineffabile.

Io mi chiedevo quali crudeli esigenze avevano potuto separare in questo mondo così arido di sentimenti generosi, quelle due nobili creature, così degne l’una dell’altra, fatte per comprendersi e per corrispondersi. È strano, anzi è triste, molto triste: [p. 158 modifica]se vi sono due cuori che si vogliano bene davvero tutto cospira contro di essi per disgiungerli, per strapparli l’uno dall’altro, ed essi passano il maggior tempo della vita lontani a desiderarsi; per cui quel loro tesoro d’affetti invece che di conforto riesce loro una squisita tortura.

Don Luigi avvertì poi il singolare vestito di Aminta:

— Poveretto, come sei ridotto! sclamò a mani giunte.

Queste parole scossero Mansueta dal suo stupore: in lei la sollecitudine della donna tornò a prevalere.

Ella descrisse gli strapazzi patiti dal nipote e assicurò che egli doveva esser digiuno dalla mattina in poi.

— Orsù, disse il curato, affrettate la cena e mettete a tavola un coperto per lui. E portategli subito qualcosa.

Poi presolo per mano lo trasse amorevolmente con sè, facendomi cenno di seguirli.

Nel tinello c’era don Sebastiano. Seduto davanti la tavola già apparecchiata, al suo solito posto, leggeva il breviario aperto nel piatto, come si legge il giornale per ingannare il tempo e l’appetito: — sbrigava il Signore apprestandosi a soddisfare le più gradevoli esigenze del ventre.

Quando il curato entrò con Aminta, levò gli occhietti grigi sopra agli occhiali e scattò loro uno di quei suoi sguardi freddi, penetranti da inquisitore.

Bisognava rispondere.

È curioso come don Luigi, spirito superiore, subiva l’ascendente di quell’uomo volgare.

S’affrettò a informarlo dell’accaduto, e a partecipargli le sue risoluzioni per il giovine chierico. [p. 159 modifica]

— Spero, conchiuse, che non si disapproverà la mia condotta.

Don Sebastiano ascoltò con la massima indifferenza il racconto; e si guardò bene dal manifestare il proprio avviso: solo notò, così indirettamente, che il giovinetto, destinandosi alla carriera ecclesiastica, doveva dar prova prima di tutto della sua docilità verso coloro che si prendevano cura di lui.

Poi ripiegò il muso sul suo breviario e ve lo tenne immobile finchè Mansueta recò la terrina della minestra. Allora lo chiuse subito sostituendo il riso alla preghiera con una calma ammirabile.

L’avrei stritolato. La sua imperturbabilità mise freno alla nostra commozione.

Secondo il solito egli uscì subito dopo cena: e ci sollevò della sua presenza. Allora don Luigi prese la mano di Aminta, e mentre io raccontavo, per la prima volta, il colloquio che avevo avuto parecchie settimane prima coll’abatino, egli lo guardava affettuosamente senza parlare. Mansueta, ritta in piedi, completava intenerita il quadro commovente.

Ma le peripezie di quella giornata non erano finite.

Un «si può?» stridulo si fe’ sentire.

E subito dopo la ciera aguzza dello speziale Bazzetta comparve nel vano dell’uscio.

L’indiscreto ciarlone, senza aspettar risposta, sì fe’ innanzi con quelle sue maniere dolcereccie e sornione; diè un’occhiata curiosa ad Aminta, un’altra a don Luigi e allargò le ampie narici come per annusare ciò che accadeva nella casa.

Passandomi davanti mi porse la sua manuzza viscida e fredda e mi disse ammiccando furbescamente:

— Beato chi vi può vedere voi! [p. 160 modifica]

E senza aspettare invito, si pose a sedere al posto lasciato vuoto da don Sebastiano.

Don Luigi colla usata bonarietà gli chiese:

— Che buon vento vi porta?

— Eh! buono non tanto.... sapete che....

E lasciò a mezzo la frase come per assaporare l’effetto della reticenza.

— Sapete che i consiglieri Gervasio, Lovati e Leonardo del Gasco hanno fatto opposizione presso all’Intendenza contro la rivendicazione della Carbonaia.... Ebbene l’intendente ha rinviato il reclamo alla Giunta con incarico di sottoporlo alla deliberazione del Consiglio.— L’avevo detto io, non mi hanno voluto dar retta; che costrutto ci hanno cavato? nulla....

E s’interruppe di nuovo:

— Dunque? disse don Luigi senz’ombra d’impazienza.

— Dunque? quando si dice la Giunta, si intende il Sindaco: egli ci ha riuniti oggi, e naturalmente si è deliberato di presentare il reclamo nella seduta di domenica. I due oppositori saranno soli a sostenerlo, — per cui, se non avete altra speranza, potete rinunziare fin d’ora alla Carbonaia.

— Ebbene, caro Bazzetta, bisognerà aver pazienza.... io vi ho rinunziato. Quel terreno, come tutti gli altri che posseggo, sono doni del comune. Se ora lo rivuole, e la legge non lo vieta... qualunque opposizione da parte mia sarebbe non meno sconveniente che illegittima.

Non si poteva dubitare della sincerità delle sue parole.

Il signor Bazzetta rimase piuttosto sorpreso che ammirato di tanta arrendevolezza. [p. 161 modifica]

Si sarebbe detto anzi che ne fosse scontento.

Si strinse nelle spalle coll’aria di chi si vede frodato da una legittima soddisfazione e disse:

— Bene, bene, ciò riguarda voi solo, — voi farete il piacer vostro: ho voluto avvertirvi....

— Ed io vi ringrazio di cuore, interruppe premuroso don Luigi.

— Credevo foste vivamente affezionato a quelle poche spanne di terra....

— Diffatti mi rincrescerà molto il perderle, — rispose un po’ commosso il curato, — ma non si tratta del mio rincrescimento. Che volete, non capisco un prete che piatisce; ciò è tanto contrario al nostro carattere... Non vi pare?

— Già, già, prevedevo che m’avreste risposto a quel modo, e mi sono detto: — perchè tanti misteri quando si possono fare le cose d’accordo, in buona armonia? E per questo motivo mi sono indotto a parlarvene. Voi conoscete i miei sentimenti conciliativi. Oh se tutti fossero come voi e me, che vita carina si farebbe! eh che paradisetto, che piccolo elisuccio la nostra Sulzena eh! che ne dite?

Il curato evitò di rispondere.

— Bevete, caro Bazzetta? domandò.

— No, grazie, — ben, due ditini, due soli ditini.... troppo incomodo.

E rivolto a me:

— Io e il signor curato, non s’è mai avuto in venti anni una parola da dire, vero don Luigi? È un uomo raro (no basta... troppo.... grazie... alla sua salute).

Bevette il secondo bicchiere, strizzò l’occhio luccicante, e ripetè schioccando colle labbra:

— Un uomo raro. [p. 162 modifica]

Non ostante questo subito entusiasmo si vedeva ch’era contrariato.

Non fu buono di riappiccare il discorso e nessuno di noi si diè la briga di aiutarlo.

Però dopo un quarto d’ora prese la magnanima risoluzione di andarsene. Ma non senza prima gittare ancora la rete per pescare qualche notizia.

Nell’uscire chiese ad Aminta se veniva con lui, che si sarebbero accompagnati sino in piazza.

— Aminta resta con noi, rispose don Luigi e soggiunse:— anzi fatemi il piacere voi di avvertire il signor De Boni.

Lo speziale non potè trattenere un atto di meraviglia: la sua ciera volpina si aguzzò alla più viva curiosità.

— Le solite... intemperanze? sclamò tentennando il capo, benedetto uomo quel De Boni!...

Ma le desiderate confidenze non venivano.

— Debbo metter io una buona parola? domandò.

— Grazie, per ora è inutile, disse il curato, il signor De Boni non disapproverà che Aminta resti colla zia. In caso verrò io a chiedere i vostri buoni uffici.

— Sta bene.

Lo speziale non era proprio fortunato quella sera: non ne indovinava una. Indugiò un minuto sulla soglia; finalmente, con visibile malavoglia, uscì.

Mansueta, chiusa ch’ebbe la porta, tornando a ritirare i bicchieri, osservò:

— Egli è venuto per comprare, — e se ne va dal sindaco a rivendere.

Il giorno dopo fu segnalato da due grandi avvenimenti. [p. 163 modifica]

La mattina per tempo venne un messo del sindaco a recare le vesti di chierico ad Aminta e a chiedere a Mansueta certe carte ch’ella sapeva, — e ch’ella ricusò assolutamente di consegnare.

Poi, verso mezzodì, capitò di nuovo lo speziale a parlar con don Luigi.

Il colloquio durò a lungo.

Io ero nella mia stanza e la voce stridula del signor Bazzetta giungeva di quando in quando distinta fino al mio orecchio.

Senza quasi volerlo intesi ch’egli diceva:

— Il De Boni, in sostanza, se voi gli restituite quei documenti vi lascia la Carbonaia e promette di non darvi altra molestia nè ora nè mai.... ma vuole ad ogni costo le carte.

Il curato rispondeva:

— Quanto alla Carbonaia, ve lo ripeto, ho già rinunziato. Ditegli del resto che, nè per avidità di quel possesso, nè per timore delle sue misteriose minaccie, acconsentirei a tradire interessi non miei. Spero che voi troverete ragionevole la mia condotta. Non si tratta di me, ma del ragazzo: le carte sono sue.

Queste proposte e queste risposte si ripeterono, con diverse parole da una parte e dall’altra, molte volte.

E mi parve che la missione del signor Bazzetta restasse senza frutto.

Venni confermato quello stesso giorno nella mia opinione.

Dopo il desinare, quando don Sebastiano si fu ritirato, il curato disse ad Aminta che aveva a intrattenerlo di cose molto importanti. [p. 164 modifica]

Volevo uscire per discrezione, ma egli mi pregò di rimanere, dicendo:

— No, voi siete oramai di casa, siete amico di Aminta, avete molta più esperienza di lui, e sarà bene che egli abbia in questa circostanza qualcuno in cui liberamente confidarsi.

E volgendosi all’abatino che aveva ripreso la sua veste talare, — Figliuolo mio, a scarico di coscienza, debbo avvertirti che abbandonando la casa del sindaco tu rinunzi a una fondata speranza di fortuna, Aminta rispose vivacemente:

— Oh don Luigi, per me non ci può esser fortuna maggiore della sua benevolenza.

— Questa non ti può mancare mai, — ma puoi perdere delle sostanze....

— Non importa, non importa, purchè io non abbia a tornar più in quella casa, rinunziereì ad un regno....

— Sta bene, figliolo; fa il voler tuo.— Però ascolta, Mansueta è depositaria di documenti che comprovano i tuoi diritti verso il signor De Boni. Tua zia ed io abbiamo creduto conveniente, per motivi di delicatezza e nel tuo stesso interesse, di non farli valere che indirettamente. Adesso egli li ridomanda.

— Oh glieli dia, che quell’uomo feroce cessi una volta di perseguitarmi.

— No, li conserveremo fino a che tu abbia raggiunta la età maggiore. Allora tu sarai in grado di giudicare la nostra condotta e potrai o continuarla o ripararla.

— So bene fin d’ora che lei ha agito sempre per il mio bene. Io non posso che ringraziarla lei e anche la zia... ma da quell’uomo non voglio più [p. 165 modifica]accettar nulla, è tempo che io mi guadagni il mio pane. Mi vergogno di aver mangiato quello del signor Angelo....

— Oh quanto a lui, saltò su a dire la Mansueta ch’era presente, quanto a lui, ha fatto il peccato è giusto che faccia la penitenza.

— Mansueta, l’interruppe don Luigi in tono di dolce rimprovero.

— Aminta, soggiunse poi, i tuoi sentimenti sono onesti, e se, quando tu sarai padrone dei tuoi atti, la penserai ancora a quel modo, non sarò io a disapprovarti.

Mentre eravamo in questi discorsi tornò il signor Bazzetta ad annunziare con gravità piena di mistero che il Sindaco era su tutte le furie, che pretendeva la restituzione di quei documenti e faceva, per il caso di rifiuto, i più grandi spergiuri di vendetta.

Il curato, quella mite creatura, tutta indulgenza e dolcezza, fu irremovibile.

— Voi sapete di che cosa è capace quell’uomo. osservò lo speziale.

Don Luigi disse soltanto:

— Fategli sapere che non lo temiamo. Egli non può farci altro male che quello che il Signore permetterà.

E il signor Bazzetta dovette rassegnarsi ad uscire senza aver cavato della sua seconda ambasciata, maggior frutto che della prima.