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— Pensaci bene, ragazzo, — fra poco tu rientrerai in seminario; qualche settimana è presto passata. Vuoi buttare con tanta facilità la certezza di un patrimonio come quello del sindaco? Egli non ha figliuoli, non ha parenti, tutta la sua roba ti apparterrà un dì o l’altro. Ciò val bene un po’ di pazienza. Tu sarai ricco.... ma se te ne vai a questo modo perderai ogni cosa.
— Non importa, oramai mi vergogno di accettare l’elemosina di quel manigoldo; in fin dei conti perchè vivo alle sue spese? che sono io per colui? ditemelo, zia, sono in età da saperlo, mi pare.
— Egli è la persona a cui tua madre ti ha raccomandato..... rispose Mansueta confusa.
Ed io che le stavo vicino l’intesi sospirare: Oh Rosilde! Rosilde!
— La sua roba non la desidero, io non voglio più nulla da lui..... foss’egli mio padre non voglio più vederlo; egli m’inspira odio, — ed io non vorrei che dimenticarlo. Egli mi detesta, mi tiene per forza, perchè, dice, gli sono stato imposto.... ma perchè, domando io, impormegli? M’avessero buttato in mezzo alla strada era meglio... era meglio che fossi morto...
In questo punto una dolorosa esclamazione ci fe’ voltar tutti e tre.
Don Luigi era lì dietro a noi appoggiato allo stipite dell’uscio.
Aminta s’interruppe a mezzo del suo sfogo e chinò il viso rosso dalla vergogna.
Il curato si fe’ innanzi, gli pose una mano sulla spalla.
— È vero, ho fatto male, compatiscimi.
Egli era pallidissimo: la sua voce tremante rivelava l’interna battaglia degli affetti.