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La mattina per tempo venne un messo del sindaco a recare le vesti di chierico ad Aminta e a chiedere a Mansueta certe carte ch’ella sapeva, — e ch’ella ricusò assolutamente di consegnare.

Poi, verso mezzodì, capitò di nuovo lo speziale a parlar con don Luigi.

Il colloquio durò a lungo.

Io ero nella mia stanza e la voce stridula del signor Bazzetta giungeva di quando in quando distinta fino al mio orecchio.

Senza quasi volerlo intesi ch’egli diceva:

— Il De Boni, in sostanza, se voi gli restituite quei documenti vi lascia la Carbonaia e promette di non darvi altra molestia nè ora nè mai.... ma vuole ad ogni costo le carte.

Il curato rispondeva:

— Quanto alla Carbonaia, ve lo ripeto, ho già rinunziato. Ditegli del resto che, nè per avidità di quel possesso, nè per timore delle sue misteriose minaccie, acconsentirei a tradire interessi non miei. Spero che voi troverete ragionevole la mia condotta. Non si tratta di me, ma del ragazzo: le carte sono sue.

Queste proposte e queste risposte si ripeterono, con diverse parole da una parte e dall’altra, molte volte.

E mi parve che la missione del signor Bazzetta restasse senza frutto.

Venni confermato quello stesso giorno nella mia opinione.

Dopo il desinare, quando don Sebastiano si fu ritirato, il curato disse ad Aminta che aveva a intrattenerlo di cose molto importanti.