Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 155 — |
Aspettavo che Aminta mi informasse di che si trattava.
Ma egli sembrava tanto smarrito che, dopo le prime parole, non aveva potuto tirare innanzi.
I suoi ignobili panni di montanaro erano laceri e lordi di fango.
— Egli è fuori di casa da stamattina e non osa più rientrarvi.
— Colui l’ha ancora maltrattato? domandai al giovinetto.
— Sempre, continuamente, rispose raccapricciando, e guai s’io gli capitassi adesso fra le mani.
— Vuol lasciare il paese, riprese la donna singhiozzando; ma dove andrai, cosa vuol fare tutto solo, pel mondo, come tua madre, che ha tanto sofferto?
— Non so, balbettò Aminta, venivo da lui perchè mi aiutasse, mi raccomandasse a qualche amico.
Ed indicò me guardandomi con ansietà.
Io non sapevo che rispondere. Preso lì su due piedi mi sentivo impacciato a indicare i mezzi di una risoluzione che avevo consigliata io stesso.
Mansueta disse:
— Figliolo, rifletti finchè sei in tempo. Forse tu fai il caso peggiore di quel che sia: se trovassi una scusa..... e tornassi?
— No, no, interruppe spaurito il nipote, con tutta la risoluzione della sua timidezza; — no, no io non tornerò più.... non tornerò più....
— Se ti facessi accompagnare dallo speziale, egli forse saprebbe ragionare il sor sindaco.
— No, no, ripetè Aminta.
La sua ripugnanza era davvero irremovibile.