Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo XII

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO XII.


Il manoscritto, che mi aveva dato a ricopiare l’ebreo Adonia, continuò a dire Moncada, offriva in questo luogo alcune pagine non intelligibili in alcuna maniera; Adonia stesso non fu in istato di diciferarle; nondimeno potei così in confuso raccogliere da esse, che Isidora diede imprudentemente il permesso al suo misterioso amante di continuare a frequentare il giardino di notte tempo e che seco lui discorreva dalla [p. 270 modifica]finestra. Intanto però ella non potè da lui ottenere, che egli facesse la sua dichiarazione formale alla sua famiglia; forse ella medesima paventava, che non fosse malamente ricevuto. Conoscendo la severa ritenutezza e la somma regolarità, che regnava nella famiglia, Isidora provava interiormente qualche sorpresa della felicità con la quale Melmoth sembrava affrontar l’una e l’altra, e si trovasse in questa maniera in grado di entrare nel giardino tutte le sere. Ma tale era l’influenza che aveva su di lei la sua romantica esistenza, che la presenza del suo amante, non ostante le straordinarie circostanze dalle quali era essa accompagnata, non le ispirò mai la brama di fargli una sola interrogazione su i mezzi, che pareva, che egli avesse di vincere delle difficoltà che a chiunque altro sarebbero state insormontabili.

Due circostanze soprattutto erano ammirevoli nella loro riunione. Essendosi separati in un’isola del mare delle Indie, si rivedevano dopo il lasso di tre anni in Ispagna, e nè [p. 271 modifica]l’uno nè l’altra avevano pensato ad informarsi delle avventure, che avevano preceduto un incontro sì straordinario ed inaspettato. Per quello che riguarda Isidora era cosa agevole a spiegare d’onde procedesse in lei la mancanza di ogni curiosità. La sua primiera esistenza era stata di un genere sì favoloso e fantastico, che le cose le meno probabili le erano divenute familiari, intanto che le cose le più semplici le rassembravano mancanti di probabilità. Le cose maravigliose erano il suo primo elemento, ed ella era meno sorpresa di riveder Melmoth in Ispagna, di quello che fosse stata la prima volta, che lo aveva incontrato nella sua isola prediletta. Un motivo onninamente opposto faceva un effetto consimile sopra Melmoth. Dal suo fatal destino eragli stata ugualmente inibita la curiosità e la sorpresa. Il mondo non poteva presentargli una maraviglia più sorprendente della di lui propria esistenza; e la facilità con cui passava da una all’altra regione, immischiandosi con gli uomini [p. 272 modifica]senza aver nulla di comune con essi, simile ad uno spettatore stanco ed oppresso dalla noia, il quale va errando da un angolo all’altro di una vasta sala da spettacolo, nella quale non conosce alcuna persona, cotesta dico, avrebbe prevenuta in esso ogni maraviglia, quando pure avesse incontrata Immalia sulla vetta del Chimborazo la più elevata delle Cordigliere.

Pel giro di un mese intiero Isidora non cessò di permettere allo straniero le sue visite notturne, quantunque, per vero dire, ad una distanza, che avrebbe, impedito di formalizzarsene anco alla gelosia spagnuola: perciocchè la sua finestra si eleva quattordici piedi dal livello del giardino, ove si teneva Melmoth. Durante il corso di cotesto mese Isidora rapidamente, ma impercettibilmente passò per tutte le fasi del sentimento, che quelli i quali amarono una volta hanno tutti conosciuto, o la loro passione abbia avuto un corso tranquillo o sia stata seminata di ostacoli e di pene. Da principio ella era piena di desiderio [p. 273 modifica]di ascoltare e di farsi intendere allo stesso tempo. Aveva una smania ardente di raccontare tutte le maraviglie della sua nuova esistenza; provava, senza che sapesse renderne a sè medesima ragione, quel desio vago e spogliato affatto di ogni sentimento di amor proprio, che ne induce a dispiegare in presenza dell’oggetto, che amiamo, tutta la eloquenza, tutti i talenti, tutte le attrattive che noi possediamo, colla sola speranza di aumentare agli occhi di esso il nostro pregio. Allora è il tempo, che noi ci gloriamo dell’omaggio che viene accordato dalla società, con la mira di sagrificare cotesto omaggio medesimo alla persona amata. Ci sembra incerto modo, che gli elogii, che noi riceviamo, ci rendano più degni dei suoi.

Per quello che appartiene ad Isidora, anco nell’isola nella quale Melmoth aveva, se è lecito di esprimermi così, assistito all’aurora della intelligenza di lei, ella aveva sentito in sè stessa il germe dei talenti de’ quali però non andava superba. La sua [p. 274 modifica]stima per sè medesima andava di pari passo con l’attaccamento per lui. La sua passione divenne il suo orgoglio, e quando lo spirito di lei cominciò ad estendersi, ella immaginò, che quest’uomo fiero e sì bizzarro veggendo l’ammirazione che ella ispirava per la sua amabilità, i suoi talenti, le sue ricchezze, terminerebbe con l’umiliarsi avanti di lei o almeno riconoscerebbe il potere di quei talenti che ella aveva avuta tanta pena ad acquistare dopo il suo involontario ingresso nella società europea.

Dessa aveva nudrita in sè medesima cotesta speranza nel principio delle visite dello straniero, ma per quanto innocente e lusinghiera fosse per l’oggetto al quale si dirigeva la speranza di lei rimase delusa. Per Melmoth non vi era realmente nulla di nuovo sotto il sole. Le conoscenze erano per lui un peso; egli non aveva nulla da apprendere da chicchessia; i talenti erano bagatelle senza valore; la beltà un fiore, che egli contemplava con disprezzo e che appassiva al più leggiero tocco di lui. [p. 275 modifica]Quanto alle ricchezze, agli onori, egli ne faceva quella stima che meritano, ma non già col tranquillo sdegno di un filosofo o col pietoso obblio di un santo, ma con quella indignazione e con quell’avido desiderio, che aveva di vedere eseguito il decreto col quale non dubitava, che non fossero stati condannati i possessori. Mosso da simili sentimenti e da altri, che è impossibile di descrivere, provava Melmoth un refrigerio straordinario dalle fiamme eterne, che ardevano già nel suo seno, nella freschezza perfetta e senza taccia del cuore d’Immalia, che sempre Immalia era per lui. Ella era come l’Oasi del suo deserto, la fontana limpida alla quale si abbeverava, e che gli faceva obbliare le ardenti sabbie per le quali era passato finora e quelle più ardenti ancora, verso le quali il suo corpo era diretto.

Al termine di otto giorni Isidora aveva già rinunziato alla speranza di ispirargli dell’interesse a quella speranza, che nel cuore di una donna, anco la più riservata, nasce nello stesso tempo che l’amore. Tutti i [p. 276 modifica]suoi voti, tutto il suo cuore si concentrarono non più nell’ambizione di essere amata, ma nel solo desiderio di amore. Ella non parlava più con uno orgoglio innocente ed ingenuo de’ talenti che aveva acquistati: del suo gusto che aveva coltivato, apriva appena bocca e si contentava di ascoltare. Lo vedeva molto tempo prima che comparisse; lo ascoltava quantunque egli non parlasse. Sovente essi passavano la notte intiera, Isidora fissando gli occhi alternativamente sulla luna e sul suo misterioso amante, intanto che Melmoth senza proferir parola si appoggiava contro le colonne del balcone ove stava Isidora o contro un folto mirto, che copriva con una spessa ombra (della quale egli andava in traccia anche la notte) l’espressione terribile della sua fisonomia. Cotesto reciproco silenzio veniva prolungato fino a tanto che allo spuntar dell’aurora Isidora faceva con la mano il segnale della loro separazione.

Tali sono le gradazioni marcate di un sentimento profondo. Il [p. 277 modifica]linguaggio non è più necessario per quelli, il cui cuore palpitante sa farsi intendere, ed i cui occhi si parlano più chiaramente anco al debole chiarore della luna, che la fisonomia aperta e di giorno chiaro: coloro i quali sperimentano un piacere esquisito nel rovesciamento di ogni sentimento, e di tutte le abitudini della terra, sanno rinvenire la luce nelle tenebre e l’eloquenza nel silenzio.

Nell’ultima loro conversazione Isidora parlava di tratto in tratto: ma unicamente per rammemorare al suo amante e col tuono il più dolce, la promessa, che egli le aveva fatta di farsi conoscere ai suoi parenti e di mandarla in matrimonio. Gli disse qualche parola intorno alla propria salute che andava a deperire da un giorno all’altro, del suo coraggio che l’abbandonava, della sua speranza che temeva non si realizzasse, de’ loro misteriosi colloquii che ella rimproverava a se medesima. Nel parlare così ella piangeva, ma procurava di nascondere le sue lagrime.

E in tal guisa, mio Dio, che noi [p. 278 modifica]siamo giustamente condannati quando ci attacchiamo a tutt’altri che a voi, a vedere il nostro cuore respinto, come la colomba, che percorreva l’Oceano senza sponde, e non trovava luogo da posare il suo piede nè un ramoscello da riportare nel suo becco. Possa l’arca della misericordia aprirsi per tali anime, e loro accordare un asilo contro questo mondo procelloso e questo diluvio di furore, contro il quale esse non ponno combattere e dove non trovano alcun luogo in cui riposare! Isidora era finalmente arrivata all’ultimo periodo del suo penoso pellegrinaggio, nel quale essa era stata suo malgrado condotta da una guida crudele. Durante il primo periodo ella aveva con l’innocente artifizio di una donna cercato di attaccarselo spiegando innanzi a lui tutti i suoi nuovi pregii, senza pensare, che essi non erano già nuovi per lui. Nel secondo si era contentata di vederlo; ma ora cominciava a sentire, che per un amore sì vivo, un attaccamento sì profondo, ella meritava almeno una [p. 279 modifica]onorevole confessione per parte del suo amante, e che codesta misteriosa dilazione nella quale la sua esistenza andava dissipandosi, poteva rendere codesta confessione un poco tardiva, quando egli finalmente si fosse risoluto a dichiararsi. Ella gli fece parte de’ suoi pensieri; ma a tutte le di lei preghiere, delle quali le meno toccanti non erano quelle nelle quali non impiegava che i suoi sguardi egli non rispondeva, se non con un silenzio profondo ed inquieto, o con dei discorsi frivoli, renduti più spaventevoli dalle selvagge e terribili arguzie, con cui li accompagnava.

Talvolta sembrava, che egli insultasse quel cuore, del quale aveva trionfato, affettando di aver qualche dubbio intorno alla di lui conquista, con l’aspetto di un uomo, che se ne fa una gloria e dileggia il suo prigioniero, dimandandogli se è realmente incatenato.

Voi non mi amate, diceva egli allora. Voi non potete amarmi. L’amore nel vostro paese cristiano [p. 280 modifica]deve essere il risultato di un gusto coltivato di abitudini simili, di una perfetta rassomiglianza di studii, di pensieri, di speranze, di sentimenti. È impossibile pertanto, che amiate un ente di un esteriore ributtante, bizzarro nelle sue maniere, impenetrabile e rozzo ne’ suoi sentimenti, inacessibile finalmente nello scopo della sua esistenza terribile ed imperturbabile. No, aggiungeva egli con un tuono malinconioso, ma fermo: voi non potete amarmi nella posizione in cui la vostra nuova vita vi ha collocata. Un tempo... ma questo tempo è passato... ora voi siete una figlia battezzata della Chiesa cattolica.... un membro della società civilizzata.... il germoglio di una famiglia, che non conosce lo straniero. Che vi ha dunque di comune tra me e voi, Isidora? — Io vi ho amato, rispose la vergine spagnuola con una voce tanto pura, tanto ferma e tanto tenera, quanto in quel tempo, in cui ella era la sola divinità della sua isola incantata e smaltata di fiori; io vi ho amato prima d’esser cristiana; io [p. 281 modifica]ho mutato credenza, ma il mio cuore non è cambiato: vi amo tuttora e sarò vostra per sempre. Voi mi fate un grave insulto col dubitare di questo sentimento, che cercate di analizzare non per altro motivo, se non perchè non lo sentite o comprender non lo potete. Ditemi che cosa è amare; ed io con tutta la vostra eloquenza ed i vostri sofismi vi sfido a rispondere a questa mia dimanda con tanta giustezza con quanta lo posso io. Se volete sapere cosa sia l’amore non dovete già dimandarlo alla bocca di un uomo, ma bensì al cuore di una donna. — Nel pregarmi, che io vi spieghi l’amore, disse Melmoth con un amaro sorriso, voi mi imponete un incarico tanto piacevole, che non dubito di soddisfare intieramente al vostro desiderio. Amare, bella Isidora, è vivere in un mondo, che ci formiamo da noi medesimi, e nel quale le forme ed i colori degli oggetti sono brillanti, quanto falsi ed ingannevoli. Per quelli, che amano non vi ha nè giorno nè notte; verno nè estate; nè società nè [p. 282 modifica]solitudine. La loro deliziosa, ma illusoria esistenza, non offre che due epoche, la presenza e la assenza, e queste tengono luogo di tutte le distinzioni che si fanno o fare si possono nella natura e nella società. Il mondo per loro non racchiude che un individuo, e per essi cotesto individuo è il mondo intiero. L’atmosfera della sua presenza è la sola aria nella quale essi possono respirare, ed il lume de’ suoi occhi l’unico sole della loro creazione. (Io dunque amo, disse seco stessa Isidora.) Amare, proseguiva Melmoth, è vivere in una esistenza piena di contraddizioni perpetue; sentire che l’assenza è insopportabile; soffrire quasi altrettanto alla presenza dell’oggetto amato; esser ripieni di migliaia di pensieri quando siamo lontani da lui; pensare al contento che proveremo nel fargliene parte la prima volta, che ci riabboccheremo con esso; e quando arriva il momento della nostra riunione, sentirci, in forza di una timidezza egualmente oppressiva ed insopportabile, fuori di stato di [p. 283 modifica]esprimere un solo di questi pensieri; esser eloquenti in sua assenza e muti in sua presenza; aspettare ansiosamente l’istante del suo ritorno, come l’aurora di una nuova esistenza, e quando arriva esser privati tutto ad un colpo di questi mezzi, ai quali esso deve dare una nuova energia; stare espiando il lume de’ suoi occhi, come il viaggiatore del deserto espia il sorger del sole; e quando l’astro è comparso, soccombere sotto il peso sfavillante de’ suoi raggi e desiderar quasi la notte. — Ah! se è così, io sono persuasa di amare, lo interruppe a mezza voce Isidora. — Amare, continuò a dire Melmoth con una energia ognor crescente, è sentire che la nostra esistenza si trova talmente assorta in quella dell’oggetto amato, che non abbiamo altro sentimento fuori di quello della sua presenza; altre consolazioni che le sue; altri mali fuori di quelli, che esso soffre; amare è non essere se non perchè esso è; non usare della vita che per conservarla ad esso, intanto che la nostra umiliazione cresce in [p. 284 modifica]ragione del nostro attaccamento. Più noi ci abbassiamo, meno ci sembra il nostro attaccamento sufficiente ad esprimere il nostro amore; la femmina, che veracemente ama non deve più ricordarsi della sua esistenza individuale; dessa non deve considerare i suoi parenti, la patria, la natura, la società, la religione medesima...... Voi tremate? Immalia; voglio dire Isidora.... se non come i grani d’incenso, che ella getta sull’altare del cuore.

Sì, io amo di fatti, esclamò Isidora, e nel fare questa terribile confessione piangeva a dirotta e tremava da capo a piè; io amo, perchè ho obbliato tutti i beni, che mi hanno insegnato esser quelli della natura, ed il paese, in cui mi hanno detto che io era nata. Rinunzierò, se fa d’uopo a’ miei parenti, alla patria, alle abitudini, che ho prese, ai pensieri, che mi hanno inseriti nella mente, alla religione, che io.... Oh! no, no; mio Dio! mio Salvatore! aggiunse ella abbandonando la finestra, per gettarsi a’ piedi del Crocifisso ed [p. 285 modifica]abbracciarli; no, io non vi rinunzierò, giammai! voi non mi abbandonerete nell’ora della mia morte! non mi toglierete la vostra mano dal capo, all’ora de’ combattimenti e delle prove! voi non mi lascerete in abbandono nemmeno in questo istante!

Allo splendore delle candele, che ardevano nella camera di Isidora potè vederla Melmoth prostesa ai piedi della sacra immagine. Egli distinse quella divozione del cuore, che lo faceva palpitare in una maniera quasi visibile nel di lei seno alabastrino; le sue mani giunte, che parevano implorar soccorso contro i movimenti di quel cuore, che ella indarno cercava di reprimere, e le quali in seguito si elevavano verso il cielo per dimandargli perdono dalla inutilità de’ loro sforzi. Fremeva egli al vedere la sincerità con la quale ella abbracciava il Crocifisso. Esso non guardava mai questo simbolo senza rivolgere indietro gli occhi, ma questa volta non potè distaccarli da Immalia inginocchiata avanti alla Croce. Parve che per un momento [p. 286 modifica]obliasse l’istinto infernale, che governava la sua esistenza, e che non la guardasse che pel solo piacere di vederla. La di lei persona tutta intiera prostesa, le ricche vesti che l’adornavano a guisa delle tappezzerie, che fregiano gli altari; i bei capelli che coprivano le nude spalle; le belle e candide mani congiunte per pregare; la purità dell’espressione che sembrava identificarla con ciò, che faceva, tutto ciò riunito le dava l’aspetto non d’una mortale in atto supplichevole, ma del genio stesso della preghiera. Chiunque in tale atteggiamento veduta l’avesse non avrebbe potuto astenersi dal pensare, che a due labbra consimili non sarebbe stato possibile di conversare che con gli abitanti del cielo. Melmoth, che provava ciò che io ho descritto, sentiva nel tempo stesso di non potere in nessuna guisa parteciparne; rivolse dunque indietro il capo con un profondo e triste dolore, ed il raggio della luna, che s’imbattè nella di lui ardente pupilla, non ci potè rinvenire una lagrima. [p. 287 modifica]

Se egli l’avesse contemplata un istante di più avrebbe veduto sul volto d’Isidora una espressione troppo lusinghiera, se non pel suo cuore almeno per la sua vanità; avrebbe in esso rimarcato quella profonda perniciosa meditazione dell’anima, diretta a scruttare i misteri dell’amore e della religione, a fine di decidersi per l’uno o per l’altra; quella pausa sull’orlo di un abbisso, quella pausa, che fa tremare la bilancia tra Dio e l’uomo.

Al termine di pochi istanti Isidora si rialzò, e nel di lei aspetto scorgevasi una calma maggiore. Melmoth ritornato al suo posto sotto la finestra la guardò per qualche tempo con un misto di sorpresa e di compassione; ma accelerandosi a rigettare codesti sentimenti le dimandò qual pegno essa dargli volesse dell’amore che le aveva descritto, che era il solo, che meritarne potesse il nome. Il pegno, essa gli rispose, che gli uomini possono dare, cioè a dire il mio cuore, è la mia mano; la mia risoluzione di esser vostra nel grembo del [p. 288 modifica]mistero e del dolore; di seguirvi, se fa di bisogno, nell’esilio e nella solitudine. Mentre ella proferiva queste parole regnava negli occhi di lei, anzi in tutta la fisonomia una sublimità sfavillante che le faceva acquistare l’apparenza di una creatura celeste, che riuniva ad un tempo la passione e la purezza. Vi si aggiungeva ancor qualche cosa, che annunziava l’orgoglio della virtù, e la confidenza in una debolezza apparente ed in una interna energia. Dessa era ivi come una femmina amante, ma che dall’amore non è renduta vile o depressa, congiungendo la tenerezza alla magnanimità, pronta a tutto sacrificare al suo amante ad eccezione, di ciò che deve agli occhi di lui diminuire il pregio del sacrifizio; pronta ad esser la vittima, ma sentendosi degna d’immolarsi da sè medesima.

Melmoth la guardava fiso: un sentimento generoso ed umano fece momentaneamente battere il cuore di lui. Egli vedeva la di lei bellezza, l’attaccamento, la pura e perfetta [p. 289 modifica]innocenza, il di lei sentimento unico per un uomo, il quale per motivo della sua possanza terribile, della sua soprannaturale esistenza non poteva nessun sentimento provare per alcuna creatura umana. Egli distolse gli occhi da lei, ma senza che questi fossero in alcun modo umidi di pianto.

Ebbene! Isidora, le disse dopo alcun tempo, voi dunque non volete darmi alcun pegno del vostro amore? E forse questo quello che avete risoluto di farmi comprendere? — Dimandate un pegno, che una donna possa dare. Quanto più sarà al di là del mio potere, tanto meno renderà il pegno senza valore.

Queste parole fecero una sì viva impressione sopra di Melmoth, il cuore del quale benchè insozzato di delitti impossibili a descrivere, non erasi mai dato in balia della sensualità, che abbandonò, il luogo dove era, la contemplò un momento; ed in seguito esclamò: Sì, voi mi avete date delle prove incontrastabili del vostro amore. Resta a me a darvene una di cotesto amore, che vi ho [p. 290 modifica]descritto, di cotesto amore, che voi sola potete ispirare, di cotesto amore, che in circostanze più felici avrei potuto.... ma non importa; non trattasi qui di analizzare il sentimento, ma di darne una prova. Consentirete voi dunque unire il vostro al mio destino? Vorrete realmente esser mia in seno del mistero e del dolore? Mi seguirete voi alternivamente dalla terra al mare, e dal mare alla terra dandovi tutta a me senza curarvi di conoscer riposo, con la marca della ignominia sulla fronte e la maladizione sul medesimo vostro nome? Vorrete voi veramente a queste condizioni esser mia? esser la mia cara, la mia unica Immalia? — Lo voglio. — Ebbene! ricevete in questo luogo la prova della mia riconoscenza eterna. In questo luogo rinunzio alla vostra vista! vi sciolgo da ogni vostro impegno! voglio fuggirvi per sempre!

E dicendo queste parole disparve.