Melmoth o l'uomo errante/Volume I/Capitolo IX
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CAPITOLO IX.
«Mio caro fratello! (Dio! qual brivido sentii percorremi le ossa e le vene leggendo queste parole!) io immagino l’effetto che faranno su di voi queste parole appena le avrete coll’occhio percorse. Per amore di entrambi vi supplico e vi scongiuro di leggere la mia lettera con attenzione e con calma. Noi siamo stati ambedue vittime di un errore sconsigliato del nostro padre comune, e di un barbaro e disumano nostro congiunto. Noi dobbiamo perdonare al primo, perchè i nostri genitori sono ancor essi rimasti ingannati. O mio fratello, se sapeste quante cose ho da dirvi!
«Io fui educato per ordine di nostro zio, la cui influenza nella nostra famiglia quanto sul nostro infelice padre, è tanto illimitata; fui, dissi, educato con sentimenti di ostilità contro di voi, come se aveste cercato di privarmi de’ miei diritti naturali e di disonorare la nostra famiglia introducendoci un illegittimo erede. Ciò che vi ho detto non è forse sufficiente a giustificare in qualche modo la crudele freddezza, che vi dimostrai al nostro primo incontro? Fino dalla culla mi avevano insegnato a temervi ed odiarvi; a temervi siccome un impostore, ad odiarvi siccome un acerrimo nemico. Tale era il piano del barbaro consigliere. Egli giudicò che l’influenza che aveva sul nostro genitore non fosse sufficiente per soddisfare la sua ambizione di dominare da deposta sulla nostra famiglia. Le voci vaghe che si erano incominciate a diffondere, l’abbattimento abituale di mia madre, l’agitazione momentanea del genitore, gli fecero scoprire un filo, cui egli tenne dietro con una industriosa ostinatezza a traverso i dubbi, i misteri, le difficoltà, fino a tanto che finalmente la nostra genitrice, spaventata dalle continue minacce di lui, nel caso che ella gli tenesse celato qualche segreto, gli dichiarò la verità.
«Voi ed io allora eravamo bambini. Egli fino da quel momento adottò la condotta che ha in seguito tenuta, ed il piano che seguì a spese di tutti; ma per vantaggio della sua ambizione. Sono convinto che esso non ha mai avuta la minima avversione per voi; il solo suo scopo era di aumentare la sua influenza personale. Condurre, tiranneggiare una famiglia intiera per la conoscenza che gli aveva acquistata della colpa commessa da uno de’ suoi membri, era ciò cui egli mirava. D’allora in poi tutto fu condotto ed ispirato da lui. Fu egli che ci fece viver separati nel tempo della nostra infanzia per timore, che la natura non facesse svanire tutti i suoi progetti. Fu egli che mi educò nei sentimenti d’una implacabile animosità contro di voi. Se avveniva, che la nostra genitrice bilanciasse un poco, le richiamava alla mente il voto, suo che ella aveva avuto l’imprudenza di confidargli. Quando nostro padre mormorava, gli faceva rimbombare alle orecchie l’onta annessa alla colpa della nostra genitrice, le tristi conseguenze delle discussioni domestiche, gli accenti terribili di impostura, di spergiuro, di sacrilegio. Quando vi avrò detto, che egli a fine di assicurarsi del mio zelo in secondare i suoi voti, mi confidò il segreto della debolezza di nostra madre, giudicherete del carattere di cotest’uomo. Ma questo non è tutto. Al momento che io fui in grado di ascoltarlo e comprendere i suoi discorsi, avvelenò tutte le sorgenti che conducevano al mio cuore. Mi esagerò l’amore che aveva per voi nostra madre, dicendo che questo amore combatteva spesso con la di lei coscienza. Mi dipinse il nostro genitore come un uomo debole e dissipato, ma tenero; e che possedendo tutta la vanità naturale ad un padre di sedici anni, era immutabilmente attaccato al suo primogenito. Egli mi andava dicendo: Mio caro, preparatevi a combattere un’armata di pregiudizii; i vostri interessi lo esigono. Prendete un’aria di autorità co’ vostri genitori, voi siete in possesso di un segreto, che rode del continuo la loro coscienza: fatene quell’uso che vi parrà più convenevole. Giudicate dell’effetto che queste parole dovettero fare sopra un carattere naturalmente violento, pronunziate soprattutto da un uomo che mi avevano insegnato a rispettare.
«In questo frattempo medesimo, per quanto mi fu assicurato, egli era esitante ed incerto, se si dovesse intieramente dichiarare per voi in vece mia, o se almeno tenir dovesse equilibrata fra noi due la bilancia, onde aumentare la sua influenza sopra ambedue gli autori dei nostri giorni, loro ispirando del timore e de’ sospetti. Intanto si può facilmente calcolare quale dovette esser su di me l’effetto delle sue lezioni. Diventai inquieto, geloso, vendicativo: io era insolente e baldanzoso verso i miei genitori, sospettoso ed inquieto con tutti quelli che mi erano d’intorno. Prima di avere oltrepassati gli undici anni rimproverai a mio padre il suo amore per voi, insultai mia madre parlandole del suo traviamento; tiranneggiava i domestici; in una parola io era divenuto il terrore ed il tormento di tutta la casa.
«Il giorno che precedette la nostra prima riunione (rimarcate che prima si era avuta l’idea di giammai presentarci l’uno all’altro) nostro zio si recò dal nostro genitore, e gli disse: signore, considerate bene le cose, penso, che sia miglior partito di fare che i due fratelli si veggano. Iddio forse toccherà loro il cuore, e per mezzo della sua benigna influenza sopra di essi, ci permetterà di rivocare il crudele decreto che minaccia l’uno di essi di un perpetuo ritiro, ed ambedue di una penosa separazione. Nostro padre acconsentì, e calde lagrime di contentezza versò dalle pupille, ma le sue lagrime non intenerirono il cuore dello istigatore; egli si portò al mio appartamento, e mi disse: Mio figlio, riunite insieme tutto il vostro coraggio: i vostri creduli, ingiusti, artificiosi genitori vi stanno preparando una scena. Dessi vogliono presentarvi al vostro illegittimo fratello. — Io lo respingerò lungi da me innanzi ai loro medesimi occhi, se avranno il coraggio di farlo, riposi io con tutta l’arroganza di una tirannia prematura. — No, mio figlio, non è così, che vi dovete contenere. Fa d’uopo che simuliate di credere ai loro disegni; voi dovete unicamente stare in guardia di non esser la loro vittima. Promettetemi ciò, mio caro; promettetemi di avere all’occorrenza del coraggio e della dissimulazione. Rimasi urtato da questa espressione e gli risposi: vi prometto di aver del coraggio; ma la dissimulazione riserbatela per voi. — Lo farò sicuramente, giacchè i vostri interessi lo esigono.
«Dopo ciò affrettossi a ritornare presso il mio genitore, e gli disse: Io ho dovuto impiegare tutta la eloquenza del cielo e della natura per persuadere il vostro secondogenito; pare che siasi lasciato piegare. Il di lui cuore si è addolcito; arde di desiderio di gettarsi nelle braccia di suo fratello e di sentire le vostre benedizioni diffondersi ad un tempo sopra di entrambi i vostri figli; ed in fatti eglino lo sono ambedue. Voi dunque dovete dar bando ai vostri pregiudizii e..... Io non ho pregiudizii, nè prevenzioni, rispose il povero nostro genitore. Che io vegga soltanto i miei figli abbracciarsi e stringersi scambievolmente al seno, e quand’anco dovessi morire al medesimo istante, obbedirei senza rincrescimento alla voce del cielo. Suo zio gli fece de’ rimproveri intorno all’eccessivo calore col quale egli si esprimeva parlando in una tal guisa, e senza partecipare in modo alcuno della di lui emozione, ritornò appresso di me per dirmi: io vi ho già prevenuto della cospirazione, che la vostra propria famiglia trema contro di voi; dimani ne avrete la prova: vi sarà presentato vostro fratello e si esigerà che voi lo abbracciate. Già contano sul vostro assenso; al momento stesso il vostro genitore è risoluto d’interpretare la vostra condiscendenza come una volontaria rinunzia a tutti i diritti che la natura vi aveva accordati nel venire che faceste alla luce. Fate ciò che i vostri genitori vi comandano ed esigono imperiosamente da voi; abbracciate cotesto vostro fratello, ma date a questo atto un’aria di ripugnanza, che giustificherà la vostra confidenza, intanto che ingannerà quelli, che cercano di ingannar voi. Ricordatevi di quanto vi ho già detto; abbracciatelo come se abbracciar doveste un serpente: desso non è meno artificioso ed il suo veleno è più mortifero ancora. Non obliate, che il vostro coraggio deciderà delle conseguenze di un tale abboccamento. Assumete le apparenze dell’amicizia; ma considerate, che voi allora terrete nelle braccia il più implacabile nemico.
«Quantunque io in quel tempo fossi straniero ai sentimenti della natura, non potei a meno di non fremere all’udire tali parole. Io esclamai: il mio fratello! — Non importa, mi rispose, egli è nemico di Dio, un illegittimo impostore. Mio figlio, siete voi preparato? Gli risposi affermativamente. Ciò non pertanto passai una cattivissima notte. L’indomani mattina essendo egli ritornato da me, gli dissi con orgoglio. Ma, e che faremo di quell’infelice? Era di voi che io voleva parlare. Gli faremo abbracciare la vita monastica, mi rispose. A queste parole provai per voi un interesse, che non aveva mai per lo innanzi sentito il simile, e perciò col tuono deciso al quale mi avea egli accostumato gli soggiunsi: non voglio che si faccia religioso in alcuna maniera. Egli parve sconcertato, e tremava dinanzi a quello spirito che aveva egli medesimo evocato. Entri nell’armata, proseguiva io a dargli, si ingaggi come semplice soldato; saprò ben io procuragli de’ mezzi di avanzamento. Che abbracci la più vile fra le professioni, io non arrossirei di riconoscerlo; ma non voglio che sia forzatamente astretto a vestir l’abito religioso. — Ma, e donde, mio caro figlio, può nascere in voi cotesta ripugnanza straordinaria? Questo è il solo mezzo di restituire la pace alla vostra famiglia, e di procurarla a colui pel quale v’interessate cotanto. — Cessate da un tale linguaggio; promettetemi, che, se io cedo ai vostri desiderii in quanto a vederlo, mio fratello non sarà mai religioso contro sua voglia. — Contro sua voglia! mio figlio! in una vocazione santa non vi ha mai violenza. Io non m’intendo gran fatto di tali cose; ma esigo da voi questa promessa. Egli me la fece dopo qualche esitazione; corse quindi verso mio padre ad annunziargli che nessun’ostacolo omai si opponeva più alla nostra riunione, e che io aveva inteso con estrema mia soddisfazione, che mio fratello avesse volontariamente risoluto di abbracciare lo stato regolare. Fu in questo modo che fu ordita la nostra prima riunione. Vi giuro, mio caro fratello, che, quando dietro l’ordine ricevuto dal nostro genitore ci slanciammo uno nelle braccia dell’altro, io mi sentii il cuore palpitare di fraterno affetto. Ma l’istinto e la natura dovettero, ben tosto credere il luogo alla abitudine; mi ritirai, e raccolsi tutta la veemenza che la passione mi apprestava per rivolgere su’ miei genitori quell’occhiata terribile. In quel frattempo il vecchio zio si teneva dietro i nostri genitori, e mi sorrideva ed incoraggiava con de’ gesti. Io credetti di avere ottimamente eseguita la mia parte; me ne applaudii, ed abbandonai il luogo della scena con passo tanto fiero ed orgoglioso, quanto se avessi il mondo intero soggiogato; ma intanto io non avea fatto altro che oltraggiare la natura, ed agire contro gl’impulsi del mio proprio cuore.
«Dopo alquanti giorni partii per un convento. Nostro zio spaventato del tuono baldanzoso che mi aveva ispirato egli stesso, fece osservare ai miei genitori, che faceva d’uopo pensare alla mia educazione. Dessi avevano tanto appreso ad eseguire ciecamente i suoi voleri, che non glielo ricusarono; io medesimo vi acconsentii quasi per miracolo; ma intanto che la carrozza mi conduceva al luogo destinato, io non cessava di ripetere al vecchio zio, che mi volle accompagnare: ricordatevi, che non conviene che il mio fratello si faccia religioso....
A questo passo della lettera di mio fratello, trovai uno squarcio ben lungo, che mi riuscì impossibile di poter intendere; lo che fu da me attribuito all’agitazione, che sembrava aver lui provata scrivendo. La vivacità e l’ardore del carattere di mio fratello comunicavasi in certo modo al suo scritto. Ecco le prime linee, che per me si poterono leggere dopo le cancellate.
«.......È cosa molto singolare, che voi dopo essere stato l’oggetto del mio accanito odio, diveniste per me quello del più tenero interesse, e ciò appena arrivato al luogo in cui si doveva la mia educazione perfezionare. Io aveva abbracciata la vostra causa per vanità, e la sostenni per convincimento. La compassione, l’istinto o qualunque siasi altro sentimento, rivestì il carattere di un dovere. Quando io vedeva i castighi e le pene, che si facevan soffrire a quelli de’ miei condiscepoli, che avessero commessa alcuna mancanza, io diceva fra me stesso: esso non ne soffrirà mai di simili; conciosiachè è mio fratello. Quando io riusciva con lode ne’ miei esercizii, io pensava: ecco degli applausi, di cui esso non potrà mai partecipare. Quando era punito, lo che accadeva di frequente, esclamava: oh! son certo, che esso non sarà mai umiliato in tal guisa. Di tanto però non era paga la mia immaginazione, che procedeva più oltre; io mi considerava siccome il vostro protettore futuro. Pensava dentro di me, che io dovessi risarcirvi della ingiustizia della natura, sostenervi, ingrandirvi, e costringervi a confessare di essere a me, piucchè ai vostri genitori, debitore, intanto che io non voleva saper grado al vostro affetto, nè alla vostra riconoscenza. Già voi mi avevate dato il nome di fratello, ma di ciò non mi contentava, chè voleva sentirmi da voi chiamare benefattore. Il mio carattere orgoglioso, generoso ed ardente non erasi ancora, egli è vero, liberato affatto dai lacci di quello che ispirati mi aveva de’ principii e delle massime erronee e contrarie ai vostri interessi; ma ad ogni sforzo che faceva, dirigevasi esso verso di voi con un impulso impossibile a descrivere. Bisogna che vi confessi che non ho mai voluto star soggetto a chicchessia: io voleva da me medesimo studiare ciò che desiderava sapere, e non voleva attaccarmi se non agli oggetti di mia scelta; onde è che più mi si diceva di odiarvi, più aspirava io alla vostra amicizia. I vostri occhi pieni di dolcezza, il vostro sguardo affettuoso, mi seguivano dappertutto. Quando i pensionarii mi offrivano la loro amicizia, io rispondeva loro: ho bisogno di un fratello. La mia condotta era bizzarra e violenta, nè deve far maraviglia, poichè la mia coscienza incominciava a combattere co’ miei pregiudizii. Ora io mi applicava allo studio con un ardore che faceva temere per la mia salute; ora le più severe punizioni non potevano costringermi ad osservare la disciplina ordinaria della casa. A tutta la comunità dispiaceva la mia ostinazione, la mia violenza, le mie bizzarrie. Scrissero perfino alla mia casa paterna, onde mi richiamassero; ma prima che eglino potessero occuparsene, fui assalito da una febbre. Mi furono prodigate le più grandi attenzioni, ma queste non potevano alleviarmi il peso, che opprimevami il cuore. Quando mi veniva offerta con la più scrupolosa esattezza la porzione, che io doveva prendere, diceva; me la dia mio fratello, e quand’anche fosse veleno, la prenderò; io ho fatti a lui molti torti! Quando la campana dava il cenno del mattutino o del vespro, io dimandava se era il segnale per la vostra vestizione. Mi è stato promesso, aggiungeva, che non lo costringerebbero a prender l’abito; ma abbiamo da fare con persone tanto ingannevoli!... Essi invilupparono il battaglio, ma ciò non ostante udiva il suono soffocato, che tramandava, ed allora gridava con impeto: Voi sonate la campana pei suoi funerali: sono io, io stesso che lo uccido!
«La comunità fu spaventata di coteste mie esclamazioni ripetute soventi volte, e delle quali essa non poteva comprendere il significato; onde fui trasportato al palazzo del mio genitore in Madrid. Io era in delirio; vedeva al mio fianco dentro la carrozza un’immagine, che vi rassomigliava perfettamente; dessa meco discendeva agli alberghi, mi accompagnava ne’ luoghi ove io mi fermava, e mi dava il braccio per rimontare in vettura. L’illusione era tanto somigliante alla realità, che io diceva ai domestici: Fermatevi; voglio essere aiutato soltanto da mio fratello. Quando mi dimandavano la mattina, come io avessi riposato: Molto bene, io rispondeva, Alonzo mi ha vegliato tutta la notte. Invitava cotesto compagno immaginario del mio viaggio a continuarmi le sue cure. Quando il mio origliere era ben accomodato, esclamava: Oh! quanto è buono mio fratello! quanto mai egli mi è utile! Ma perchè non vuole egli parlare? Una volta io ricusai fermamente di prender qualunque alimento, perchè mi pareva, che mio fratello non ne volesse: Non mi vogliate forzare, dissi a chi m’istigava a nutrirmi; vedete bene, che mio fratello non ha fame. Oh! gli dimando perdono: è un giorno di astinenza, ecco il vero motivo per cui non vuole appressarsi cibo alla bocca. Desso mi fa vedere il suo abito; ciò mi basta. È una cosa molto notabile, che gli alimenti, che si trovavano in quell’albergo, erano avvelenati, e che due de’ miei domestici ne morirono avanti di arrivare a Madrid. Io non vi racconto queste minute circostanze, se non perchè voglio farvi conoscere fino a quel punto voi dominavate sulla mia immaginazione e sul mio cuore.
«Ricuperata che ebbi la ragione, il mio primo pensiero fu di dimandare novelle di voi. Ciò era stato già preveduto, ed i miei genitori per evitare ogni sorta di discussione, e tremando pe’ resultati che potevano esserne la conseguenza, conciosiachè essi conoscessero bene la impetuosità del mio carattere, incaricarono di tutta la bisogna al vecchio zio, unico loro consigliere. Egli prese l’affare sopra di sè, e lo eseguì come or ora vedrete. Appena mi vide mi si avvicinò, e facendomi delle congratulazioni sulla mia convalescenza, ed esprimendomi il suo rincrescimento sulle violenze, che mi erano state usate nel luogo ove era io andato per ultimare la mia educazione, aggiunse che i miei genitori avrebbero posto in uso ogni mezzo, e cercate tutte le vie affinchè presso di loro io potessi essere perfettamente felice. Lo lasciai parlare per qualche tempo, alla fine lo interruppi dicendo: Che avete fatto di mio fratello? — Egli è nel seno di Dio, mi rispose. Compresi ciò che egli voleva dire, e mi alzai precipitosamente per sortire prima che egli avesse terminata la sua frase: dove andate, figlio; mi disse. — Presso i miei genitori. — I vostri genitori? È impossibile che voi presentemente li possiate vedere. — Anzi sono sicuro, che li vedrò. Non è più tempo di dettarmi leggi; non occorre, che ricorriate al vile mezzo-termine della umiliazione (egli aveva preso un aspetto supplichevole). Fate in modo, che io li vegga all’istante o tremate.... non so di che potrei esser capace.
«A queste parole tremò esso diffatti; egli temeva le mie ardenti passioni. Mi aveva renduto fiero ed impetuoso quando vedeva che ciò era necessario alle sue mire; non aveva però calcolata la direzione straordinaria, che i miei sentimenti avevano presa, e non ci si era preparato. Erasi egli immaginato, che mettendo in moto le mie passioni, sarebbe ancora stato in grado di regolarle a sua posta. Guai a quelli che insegnano all’elefante di far uso della sua proboscide contro i loro nemici, senza riflettere, che il più piccolo movimento di questa proboscide medesima può atterrare il suo condottiere e schiacciarlo! Tale era la situazione d’ambedue noi. Io lo pressai a volermi incontanente condurre presso mio padre; egli fece delle difficoltà, e finalmente in ultima analisi mi ricordò l’indulgenza che aveva sempre usata verso di me. La mia risposta invece fu breve; ma possa eternamente rimbombare nell’anima di consimili istitutori. Ed è appunto cotesta indulgenza, gli dissi infuriato, che mi ha fatto diventare quello che sono. Conducetemi all’appartamento del mio genitore, o passerò sul vostro corpo per aprirmi libero il varco.
«Una tal minaccia, che io era capace di mandare ad effetto, giacchè voi non ignorate che io sono due volte più grande di lui, e che le mie forze, sono proporzionate alla mia persona, lo fece fremere; e vi confesso, che cotesta prova di debolezza fisica e morale pose il cumulo al disprezzo, che m’inspirava da gran tempo. Egli mi precedette tremando all’appartamento in cui il mio genitore era insieme con mia madre ad un balcone che guardava sul giardino. Essi immaginavano che tutto già fosse stato combinato; perciò la loro sorpresa fu estrema quando mi videro slanciarmi dentro quella sala, seguito dallo zio, e con una espressione di volto, la quale dava chiaramente a conoscere quale fosse stato il risultato della nostra conferenza. Esso fece loro un segnale, che non fu da me osservato, e del quale eglino ebbero tempo di profittare; raccapricciarono però nel vedermi pallido ancora pella sofferta febbre, ma acceso di sdegno, e che non poteva proferire che degli accenti interrotti. Lanciarono qualche occhiata di rimprovero allo zio, ed egli rispose con de’ gesti, che io non potei comprendere. Mi feci bensi intendere io dicendo al mio genitore: signore, è egli vero che voi avete fatto un religioso di mio fratello? Mio padre esitò un poco, ed alla fine rispose: credeva che il nostro amico si fosse incaricato egli stesso di parlarvi su questo proposito. — Che ha di comune, signore, tra un padre ed i suoi figli, una terza persona? Questi, di cui mi parlate, non ha mai voluto esser padre; come mai potrebbe giudicare di un caso consimile? — Voi oltrepassate i limiti del dovere; voi abbiate il rispetto che gli è dovuto. — Mio padre, io sono appena sortito da un letto di sofferenza, che ha fatto tremare tanto voi che la mia genitrice per la mia vita; cotesta vita è ancora nelle vostre mani. Io promisi sotto una condizione, che egli ha violata, di obbedire, a questo miserabile.... Sì, caro fratello, lo credereste? ebbi il coraggio di servirmi di questo termine parlando di nostro zio in presenza del nostro genitore. Mio padre voleva interrompermi; ma io proseguii e lo chiamai ipocrita, ingannatore; lo afferrai per le vesti; finalmente non so di che sarei stato capace, se il mio genitore non si fosse parato di mezzo fra noi due. Mia madre mandava delle grida di spavento, ed ebbe luogo una scena di confusione, della quale mi è rimasta a mala pena la rimembranza solamente so, che il vecchio mi parve più ipocrita, che mai. Frattanto la sala fu ripiena di domestici di ambedue i sessi. La mia genitrice fu condotta fuori della sala. Il mio genitore, che l’ama teneramente, fu tanto commosso da quello spettacolo ed irritato dalla mia stravagante condotta, che in un momento di cieco furore trasse fuori perfino la spada. A tal vista io diedi in uno scoppio di risa, lo che fu cagione, che a lui si gelasse il sangue nelle vene. Io spalancai le braccia, gli presentai il petto, e gli dissi: ferite! la mia morte sarà pur opera di cotesto uomo indegno. In grazia di lui voi avete incominciato a sagrificare il vostro Esaù; Giacobbe sia la vostra seconda vittima!.... Allora mio padre si allontanò da me, e inorridito dal mostruoso cambiamento, che la collera aveva fatto sulla mia fisonomia, esclamò: demonio! e da lungi mi considerava fremendo. E chi mi ha renduto demonio? gli risposi audacemente. Desso solo è stato, che ha fomentata la mia passione, nella speranza di trarne un partito pe’ suoi fini segreti ed incomprensibili, e che allorquando la natura risvegliò e fece trasparire in me una sola generosa emozione, pretende, che io sia divenuto folle. Osservate, mio padre, in che strano modo ha egli totalmente rovesciato e confuso il potere e l’ordine della natura. Per cagione di lui mio fratello si trova contro sua voglia rinserrato in un chiostro per tutto il tempo della sua vita: desso finalmente è stato quello, che ha fatto della nascita di due figli una maledizione per la mia genitrice e per voi. Dal momento che egli si è arrogato il regime della disgraziata nostra famiglia, cosa abbiamo noi provato, se non dissenzione e disgrazia? Fate deh! che nulla abbia più di comune negli affari della nostra famiglia cotesto uomo, la cui sola presenza mi fa fremere; date ascolto per un istante alle mie parole, e se io non m’umilio innanzi a voi, rigettatemi per sempre.
«Proseguii a parlare per molto altro tempo: i miei discorsi erano realmente eloquenti, ma vi si trovavano delle incoerenze, e di tanto in tanto delle cose inconvenienti. Perciò mio padre mi rispose: voi non fate che aggravare il vostro delitto nel mentre che volete farlo ricadere su di un altro; siete stato sempre violento, caparbio e ribelle. Se volete dimostrarmi la vostra sommessione datemene una prova con promettermi di non più tormentarmi ponendo in campo un’altra volta questo doloroso soggetto. La sorte di vostro fratello è fissata. Giuratemi, che non pronunzierete più il suo nome, e che.... Giammai, giammai, esclamai, violerò la mia coscienza con un simile giuramento! Il tuono deciso col quale pronunziai queste parole, non m’impedi d’inginocchiarmi avanti il mio genitore, e perfino avanti nostro zio dicendogli: ah! muovetevi a pietà della nostra infelice situazione! ristabilite la pace in una famiglia disperata! riconciliate un padre co’ suoi due figli! per farlo non abbisogna che una sola vostra parola: voi non lo ignorate; e perchè dunque esitate a pronunziarla? il mio disgraziato fratello non fu tanto inflessibile alle vostre preghiere, quantunque non fossero dettate da un sentimento tanto giusto quanto il mio. Io aveva offeso lo zio in una maniera irreconciliabile; io lo sapeva, e parlava così non tanto per commoverlo, quanto per ismascherarlo: non mi aspettava nessuna risposta dalla parte di lui, nè m’ingannai; egli non si lasciò sortire di bocca neppure una parola. Io era inginocchioni in mezzo della camera, tra il genitore e lui, ed esclamai: abbandonato dal mio genitore e da voi, m’appello al cielo e lo chiamo in testimonio del giuramento che faccio di non mai abbandonare cotesto fratello perseguitato, e cui sono stato fin qui forzato ad odiare mio malgrado: so che voi avete del potere, ma io lo sfido. Sono persuaso che si porranno in opera contro di me, tutti gli artifizii dell’impostura, della malignità, dell’industria; tutte le risorse della terra e dell’inferno; ma io invoco il cielo, e non domando la sua protezione, che per assicurare la mia vittoria.
«Mio padre perdette la pazienza, onde disse ai domestici di rialzarmi e condurmi fuori di quel luogo. Un tal ordine, così opposto alle sue abitudini d’indulgenza, produsse un effetto fatale sul mio spirito a malapena ristabilito dal suo delirio, e che era stato posto ad una prova troppo veemente: ricaddi nel mio vaneggiamento; ahimè! padre mio, cominciai a dire, voi non sapete quanto mai cotesto ente, che voi perseguitate, è buono, generoso e scevro di rancore: io gli deggio la vita, dimandate ai vostri domestici, se egli non mi ha seguito passo passo durante il mio viaggio, se non è stato desso, che mi ha apprestato gli alimenti e le medicine, ed aggiustato l’origliere sul quale io riposava. Voi siete in delirio, rispose egli volgendo lo sguardo inquieto su’ domestici. Essi giurarono tremando, che nessuno, ad eccezione di loro, erasi a me avvicinato nel tempo del mio viaggio dal convento fino a Madrid. A questa dichiarazione quel poco di ragione, che rimanevami ancora, mi abbandonò ad un tratto; pieno di collera diedi una mentita all’ultimo, che aveva parlato, e cominciai a percuotere chi si trovava a me vicino. Mio padre maravigliato del mio stravagante furore, ad un tratto esclamò; egli ha perduta la ragione! Lo zio, che finora aveva conservato il silenzio, lo prese tosto in parola, e ripetè: ha perduta la ragione! I domestici mezzo convinti, mezzo spaventati non credettero di poter meglio in tale occasione regolarsi, se non ripetendo ancor eglino: ha perduta la ragione!
«Mi afferrarono, e via mi strascinarono; e conciosiachè la violenza altrui, ogni volta che mi veniva usata, avesse sempre risvegliata la mia, il risultato di questa fu, che il timore del mio genitore ed i desiderii dello zio si avverarono. Io mi condussi siccome un fanciullo, che abbandonato da una febbre violenta, si trova ancora in delirio. Ritornato nel mio appartamento me la presi contro la mobiglia, che lo adornava, e scagliai, sul capo de’ domestici, i vasi di porcellana che mi capitarono fra le mani. Quando essi mi volevan toccare io li mordeva, ed allorchè si videro costretti a legarmi cominciai a roder la fune co’ denti. Per lo spazio di parecchi giorni mi tennero rinchiuso nella mia camera, ed in questo intervallo fece a me ritorno la ragione, ma unicamente per confermarmi sempre più nella mia fermezza e risoluzione e non tardò molto, ch’io ebbi bisogno dell’una e dell’altra. Il dodicesimo giorno un domestico comparve sulla soglia della mia camera, e dopo un inchino profondo, mi disse, che, se io era ristabilito, il mio signor genitore desiderava parlarmi: gli restituì non meno profondamente il saluto, e gli tenni dietro, come se stato fossi un giumento. Trovai mio padre nel suo gabinetto; il consigliere gli stava al fianco. Egli mi venne incontro parlandomi con parole interrotte, le quali chiaramente dimostravano lo sforzo grande, che a sè medesimo faceva. Dopo essersi meco congratulato del mio ristabilimento, così prese a dirmi avete voi ben riflettuto sul soggetto dell’ultimo colloquio che tenemmo insieme? — Ci ho riflettuto, e ne ho avuto tutto l’agio ed il tempo. E voi senza dubbio avrete bene impiegato cotesto tempo? — Almeno lo spero. — Il risultato delle vostre riflessioni sarà dunque favorevole alle speranze della vostra famiglia.
Coteste parole mi fecero un poco stupire; ciò non ostante risposi in una conveniente maniera. Dopo alcuni istanti passati in un totale silenzio, lo zio prese la parola rivolgendomi il discorso con molta amicizia e parlando di cose affatto indifferenti. Io gli risposi; ma quanto mi costò lo sforzo che io faceva a me medesimo! gli risposi, dico, con tutta l’amarezza di una forzata urbanità. Tutto andò bene per allora, e diedero a conoscere di esser contenti del mio ristabilimento. Mio padre stanco desiderava la pace; mia madre versava delle lagrime, e diceva di esser felice. In tal guisa è trascorso un mese in una pace profonda, ma falsa. Essi credono di avermi vinto, ma.... Il potere ognor crescente del loro astuto consigliere basterebbe esso solo a farmi accelerare la mia risoluzione. Desso vi ha confinato in un convento; ma questo primo passo non basta alla sua ambizione; sotto la sua influenza il palazzo del duca di Moncada è divenuto quasi un convento. Mia madre ha consacrata la sua vita intiera a far penitenza del suo primo trascorso; il di lei consorte ondeggia tra’ piaceri e l’austerità, tra questo e l’altro mondo. Ora egli rimprovera alla sua sposa una troppa esagerata divozione, ed un momento dopo si unisce a lei per fare la più aspra penitenza. Nulla vi dico del loro consigliere, giacchè voi conoscendo i suoi principii; da questi potete arguire in qual modo si disporti per non ismentire il suo operato. I domestici infine imitano perfettamente il tuono de’ loro padroni............... La mia febbre si è calmata. Io non ho perduto un istante per consultare su’ vostri interessi......... Mi vien detto essere impossibile, che voi reclamiate contro i vostri voti.... Intorno a ciò bisognerebbe che voi dichiaraste, che vi sono stati estorti con la frode e con la forza. Osservate bene, Alonzo, ciò che vi convenga meglio. Sono assicurato però, che cotesta reclamazione contro i vostri voti si potrebbe fare avanti un tribunale civile: se ciò è vero, voi potete ancora esser libero, ed io arriverei al colmo del contento; non esitate per mancanza di denaro, che io ve ne somministrerò quanti ve ne possono abbisognare: purchè non manchiate di coraggio, non dubito che noi non riusciremo; dico noi, perchè non avrò un momento di riposo, finchè voi non siate libero. Io ho guadagnato uno de’ domestici, che è fratello del portinaio del vostro convento, ed è col mezzo di questo secondo, che riceverete cotesto involto. Rispondetemi pel mezzo medesimo; desso è segreto e sicuro. Vi bisognerà fare una memoria, che sarà rimessa nelle mani di un avvocato; le espressioni deggiono esser forti; ma ricordatevi, che in essa non dovete far menzione della nostra disgraziata genitrice; io arrossisco nel dover dire ciò ad un figlio. Trovate qualche mezzo per procurarvi della carta; se ciò vi riuscirà troppo difficile, ve ne somministrerò io stesso; ma cercate per quanto è possibile di far di meno di me, per non essere obbligati di avere ricorso tanto spesso al portinaio. Voi potete dimandar della carta sotto il pretesto di scrivere la vostra confessione. In quanto alla memoria, prendo sopra di me l’incarico, onde sia rimessa. Vi raccomando al Dio delle misericordie, e sono:
- Vostro Aff. Fratello
«Giovanni di Moncada.»
Tale fu la lettera, che il portinaio mi consegnò in diversi tempi e per frammenti. Io inghiottii il primo involto, e trovai mezzo di distruggere gli altri a misura che li riceveva. L’incarico dell’infermeria, in cui era quasi giornalmente impiegato, mi procurava molta libertà.
Lo Spagnuolo era arrivato a questo punto del suo racconto, quando il giovane Melmoth si accorse, essere lui in modo singolare agitato, più però di emozione, che di fatica; gli disse perciò di prendere alcun tempo di riposo, e lo straniero non ebbe pena ad acconsentire.