Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/XXX

Principj per regolare il Tributo

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XXIX XXXI
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§. XXX.

Principj per regolare il Tributo.


U
NA nazione decaderà per colpa del tributo in due casi. Primo caso, [p. 189 modifica]quando la quantità del tributo eccederà le forze della nazione, e non sarà proporzionata alla ricchezza universale. Secondo caso, quando una quantità di tributo, la quale nella sua totalità è proporzionata alle forze, sia viziosamente distribuita. Nel primo caso il rimedio è solo e semplice, cioè proporzionare il peso alla robustezza della nazione. Il secondo caso è assai variabile e inviluppato. Cerchiamo di mettere a luogo le idee, e comprendere in capi tutti i casi particolari.

Il tributo è viziosamente ripartito, quando immediatamente piomba sopra una classe di Cittadini dei più deboli dello Stato, ovvero quando nella precezione vi sia abuso, ovvero quando impedisca la circolazione, la esportazione, lo sviluppamento dell’industria; in una parola quando renda difficile quelle azioni, per le quali s’accresce la riproduzione annua.

Ogni tributo naturalmente tende a livellarsi uniformemente su tutti gl’individui d’uno Stato a proporzione delle consumazioni di ciascuno. Se il tributo sarà nelle terre, il proprietario procurerà di vendere altrettanto più care le derrate, e così risarcirsene su ciascun consumatore. Se il [p. 190 modifica]tributo sarà sulle merci, e sulle manifatture, i mercanti, e gli artigiani cercheranno di risarcirsene, vendendone a più caro prezzo le loro manifatture, e così ripartire su i loro consumatori proporzionalmente il tributo. Se il tributo verrà imposto immediatamente sul minuto popolo che niente possiede, e che locando unicamente se stesso vive d’un giornaliero salario, il minuto popolo necessariamente esigerà salario maggiore; e così il tributo ha sempre una forza espansiva, per cui tende a livellarsi sulla sfera più vasta che si può. Riguardato da questo canto solo parrebbe indifferente, ch’egli cadesse più su di una classe di uomini che su di un’altra.

Come mai potrà alzarsi il prezzo di quelle merci o derrate, che possedono i primi che anticipano il tributo, quando non sia diminuito il numero de’ venditori, o accresciuto quello de’ compratori? Rispondo, che il numero de’ venditori appunto si diminuirà, perchè cadendo un nuovo interesse immediatamente sopra una classe di Cittadini, e accrescendo in essi tutto in un tempo un nuovo bisogno d’avere più merce universale, al bel principio i più facoltosi si asterranno dal fare le vendite, [p. 191 modifica]aspettando prezzi più alti, e i venditori che resteranno in attività, essendo ristretti a minor numero otterranno appunto che il prezzo si rialzi, e fatta che sia quella livellazione al primo imporsi del tributo naturalmente seguiterà, sin tanto che il tributo continui, tutto il resto eguale, a distribuirsi in quella forma.

Ho detto che il tributo si distribuisce, e si conguaglia naturalmente sulle consumazioni di ciascuno. Per rendere quest’idea più chiara immaginiamoci un forestiero domiciliato da noi, il quale abbia tre mila scudi d’entrata che gli vengono dalle terre che possede nella sua patria. Suppongasi, ch’egli spenda ogni anno per il proprio mantenimento tutta l’entrata. Egli deve pagare sopra le consumazioni che fa, sì immediatamente per la sua persona, quanto mediatamente per la persone de’ suoi domestici, il tributo del nostro paese; e se i tributi da noi ascendessero al cinquanta per cento del valore capitale, dico che il forestiere avrebbe contribuito mille scudi delle sue terre nel carico nostro nazionale. Quando i tributi sono imposti sull’ingresso delle merci in città, sulla vendita de’ generi di prima [p. 192 modifica]consumazione, sulle case, sulle arti e mestieri, come lo sono attualmente quasi dappertutto, ella è cosa assai ovvia d’intendere, come il forestiere a misura della sua consumazione forza è che contribuisca. Ma se il tributo presso di noi fosse interamente collocato sulla sola parte dominicale delle terre, allora è più lunga la strada del conguaglio sulle consumazioni; pure egli pagherebbe le derrate di suo consumo più care di quello che le comprerebbe, se non vi fosse tributo, e tutte le opere e servizj, che dovrà pagare, saranno proporzionatamente più cari, quanto sarà maggiore il peso della terra, da cui ricevono alimento i Cittadini. Quindi io credo che se un terriere possessore di vasti fondi consumerà pochissimo, sarà realmente piccolissima la porzion del tributo che avrà pagata; e così il forestiere che soggiorna da noi, pochissimo contribuisce alla sua nazione; donde è nata la legge di alcuni Stati che impedisce l’uscita ai possessori di fondi stabili: legge, la quale se da una parte impedisce l’uscita del denaro, e la diminuzione del numero de’ contribuenti, dall’altra però non invita le estere famiglie a stabilirsi nello Stato, a comperarvi dei fondi, e a portarvi le ricchezze, e l’industria loro.

[p. 193 modifica]Sembra dunque a primo aspetto, poichè ii tributo tenda conguagliarsi sulle consumazioni, che arbitrario sia lo scegliere anzi una classe che l’altra del popolo; ma ciò non è; poichè questo conguaglio, e questa suddivisione del tributo è sempre uno stato di guerra fra ceto e ceto d’uomini. Quando il possessore, e il Cittadino che ha fondi, debbono anticipare il tributo, la suddivisione sul minuto popolo si fa sollecitamente e con poco ostacolo, perchè egli è il potente che richiede ragione dal debole: ma quando il tributo immediatamente cada di primo slancio sulla classe del debole, la suddivisione si farà, ma con quella lentezza, e con quegli ostacoli che debbon nascere, quando il debole e povero cerca ragione dal ricco e potente. Questi intervalli fra l’impulso e la quiete sono le crisi più importanti negli Stati; e sono ben da osservarsi in ogni cambiamento di tributo.

Il tempo che trascorre fra la imposizione del tributo e il conguaglio, è un tempo di guerra, e di rivoluzione. Quel che dico del tributo, dicasi delle mutazioni nel valor numerario delle monete. In questo intervallo di tempo fra l’impulso dato dal [p. 194 modifica]legislatore, e l’equilibrio, quel ceto d’uomini anticipatamente caricato del tributo soffre un peso maggiore delle ordinarie sue forze; quanto più sarà debole e povera la classe a preferenza caricata, tanto più sarà da temere lo scoraggimento dell’industria, o l’evasione degli abitanti. Il primo canone dunque per dirigere il tributo sarà: non piombar mai immediatamente sulla classe de’ poveri.

Si è creduto che ogni tributo finalmente si riduca a una capitazione, e su questo principio si è immaginato, che la forma più semplice sia tassare egualmente ogni abitante. Il ragionamento, che si fa, si è questo: Ogni uomo a misura che è facoltoso gode delle manifatture e dei servigj d’un maggior numero di poveri Cittadini, ai quali forza è che paghi non solamente il vitto corrispondente al tempo, che impiegarono per lui, ma altresì il tributo proporzionato a questo tempo medesimo, che da essi si è dovuto pagare. In conseguenza di ciò la capitazione si conguaglia dà se medesima, e al terminar di ogni anno avrà pagato maggior tributo ogni uomo in ragione degli agj maggiori che ha goduto, e il popolo che non possede sarà stato [p. 195 modifica]intieramente indennizzato. Ma quello discorso ha, contro di se il tempo del conguaglio, cioè lo spazio, in cui debba il povero far la guerra al ricco. Aggiungasi a tutto ciò la ostilità che seco porta un simile tributo, e la odiosa servitù, a cui degrada l’uomo, poichè quando il tributo abbia per base o i fondi stabili, o le merci di un Cittadino, il tributo è una azione che cade sulla cosa, e non sulla persona. Laonde la pena di non aver pagato il tributo sarà la perdita, tutto al più, del fondo o della merce. Ma quando il tributo cade sulla persona, l’uomo medesimo, la sua libertà, la sua esistenza personale vengono ipotecate per il tributo, e la povertà e l’impotenza vengono offese e oppresse da quelle leggi medesime, che dovrebbero pure esser fatte per sollevarle e difenderle. Ogni angolo più riposto dello Stato, ogni povera capanna debb’essere visitata dai perlustratori; se la famiglia d’un povero contadino non ha la moneta del censo, l’insensibile esattore la ridurrà all’esterminio; si vedranno i gabellieri a forza strappare le marre, i vomeri, e una semplice, virtuosa e povera famiglia resterà in totale rovina. Questa immagine deve realizzarsi [p. 196 modifica]dovunque vi sia un tributo diviso per capitazione. Dovunque paghi l’uomo, e non il possessore, ivi è violata radicalmente la libertà civile. Le idee morali della nazione saranno in pericolo, perchè continui esempj della forza pubblica esercitata sopra gl’innocenti le distruggeranno. L’industria viene corrosa nella sua radice, e la nazione non riceverà mai spinta ad accrescere l’annua riproduzione, perchè fischia il flagello delle leggi terribilmente sui capo degli uomini riproduttori avviliti e scoraggiti. A questi mali un altro se ne aggiugne, ed è le spese della percezione di quello tributo, per esigere il quale, sotto questa forma, conviene mantenere de’ subalterni in tanto numero da stendersi e visitare ogni anno ogni più riposta abitazione dello Stato.

Le spese della percezione del tributo sono di un mero aggravio allo Stato per due ragioni. Una ragione si è, perchè di tanto è più grave il peso, come ognun vede, su tutta la nazione. L’altra si è, perchè quanto più s’accrescono i gabellieri di ogni genere, tanto si aumenta nello Stato una classe d’uomini, i quali non essendo nè riproduttori, nè mediatori, ma semplici consumatori, e consumatori che non possedon fondi, che non difendono lo Stato, sono [p. 197 modifica]perciò uomini puramente a carico. Il loro officio naturalmente ostile, la loro abitudine di amministrar denaro pubblico, d’ordinario gli rendono anche di assai cattivi costumi, e in conseguenza si è questa una classe d’uomini sempre più gravosa, e da restringersi al possibile. Il secondo canone che debbe dirigere il tributo si è: sceglier quella forma che importi le minori spese possibili nella percezione.

Il tributo ferisce immediatamente la classe del più minuto popolo non solamente in ogni capitazione palese e manifesta, ma altresì in ogni capitazione tacita e occulta. Tale si è ogni tributo imposto su i generi di prima necessità, e molto più se qualche privativa se ne appropriasse il Principe per venderli solo al popolo. In questi generi di prima necessità consumandone presso a poco egual porzione tanto il facoltoso, quanto il povero, egli è manifesto, che quanto ai suoi effetti un simil tributo si riduce a capitazione.

Questa capitazione, tacita però, sebbene porti con sè il contrasto fra il debole e il forte nel di lei conguaglio, non è nella esecuzione tanto odiosa e ostile, quanto la vera capitazione, essendovi sempre [p. 198 modifica]una sorta di spontaneità nel contribuente, ed essendo garanti verso l’erario non la nuda esistenza dell’uomo, ma gl’indispensabili bisogni di lui.

Cade il tributo sulla classe de’ Cittadini più deboli immediatamente, quando venga particolarmente imposto sulle vendite più minute. In alcuni paesi è libero il contrattare in grosse partite di alcune merci di uso pubblico, e non lo è il venderne in ritaglio per li giornalieri bisogni del più minuto popolo senza pagare un separato tributo. Di ciò ne nasce, che i più poveri e bisognosi mancando sempre di un capitale per provvedersi ad un tratto della consumazione di qualche settimana, debbono colle piccole compre di ogni giorno pagare talvolta la merce persino il doppio di quello che la pagano i più facoltosi. Ognuno facilmente sentirà, quanto poco sia umana e giusta una sì fatta maniera di distribuire il carico, e che tutti questi pesi di primo slancio imposti a quella parte di uomini che non possede, tendono a scoraggire l’industria, e desolare la parte più operosa della nazione, e conseguentemente essere tributi, che sarà sempre possibile ripartire altrimenti con utile della nazione. [p. 199 modifica]

Ho detto di sopra, che il secondo vizio nella ripartizione del tributo si è, quando nella percezione di esso vi sia abuso. Sarà un abuso nella percezione del tributo, se nella classe degli uomini desinati alla finanza vi sarà o eccesso nel numero, o eccesso ne’ salarj; poichè, come si dice, questo peso ricaderà sulla nazione. Il problema che deve sciogliersi tutte le volte che si tratta di tributo si è sempre questo: Come si possa fare che fra la somma totale pagata dal popolo, e la somma totale entrata nell’erario vi sia la minore differenza possibile, lasciando alla nazione tutta la possibile libertà.

Sarà un abuso nella percezione del tributo, e abuso massimo, quando vi sia luogo ad arbitrio, e che i Finanzieri possano esentar gli uni, aggravare gli altri a loro talento, e che il debole e lontano sia nell’alternativa, o di soffrire una forza ingiustamente adoperata contro di lui con pazienza, ovvero intentare una lite contro un potente incaricato della riscossione dei tributi, che ha un facile accesso ai tribunali. Tutte le volte che nella società possa più l’uomo che la legge, non si speri mai industria. Questa non regna, se non vi [p. 200 modifica]è sparsa generalmente sulla faccia della nazione la sicurezza della persona, e dei beni; nè sì vedrà mai l’industria dar vita ad un popolo, se non sia fiancheggiata dalla libertà civile, per cui dalla sacra autorità delle leggi tanta protezione riceva ogni membro della società, che nessuno possa mai impunemente usurpargli del suo. Il terzo canone adunque del tributo si è: ch’egli abbia per norma leggi chiare, precise, inviolabili da osservarsi imparzialmente verso di qualunque contribuente.

Il terzo vizio nella ripartizione del tributo si è, quando direttamente si opponga alla circolazione, ovvero all’accrescimento dell’annua esportazione, e in una parola, quando si opponga di fronte a quella azione ch’è utile a promuovere nello Stato per accrescere l’annua riproduzione. Ogni tributo che sia imposto sul trasporto delle merci da luogo a luogo nello Stato, fa l’effetto medesimo, come si è di sopra accennato, come se si allontanasse fisicamente un luogo dall’altro: conseguentemente tende a diminuire i contratti e la circolazione. Ogni tributo imposto sul passaggio delle strade, e sul trasporto delle merci, come i pedagj, i carichi sulle vetture, su i [p. 201 modifica]carri ec. sono del genere medesimo, e fanno il medesimo effetto di diradare la nazione, e rendere le parti di essa più isolate, e meno comunicanti.

Impedirà la circolazione interna parimente ogni tributo che sia imposto su i contratti; poichè sebbene immediatamente non impedisca il trasporto, rallenta però la rapida comunicazione dei Cittadini, diminuisce il numero dei contratti, scema la circolazione, e conseguentemente tende a impicciolire l’annua riproduzione. Quarto canone adunque sarà: non collocare mai il tributo in modo che direttamente accresca le spese del trasporto da luogo a luogo nello Stato, o s’interponga mai fra ii venditore e il compratore immediatamente.

Se vorrà imporsi tributo all’ingresso nello Stato del materie prime, sulle quali si esercita l’industria nazionale, ovvero sugli stromenti che si adoprano nell’industria per le manifatture, l’annua riproduzione delle manifatture scemerà, come ognun vede. Parimente se s’imponga tributo nell’uscita dallo Stato sulle manifatture nazionali, vi sarà da temere, ch’esse nella concorrenza vengano posposte presso degli [p. 202 modifica]esteri per il prezzo troppo caro, ammeno che l’eccellenza delle manifatture non sia giunta a segno da non aver concorrenti.

Se a misura che le terre vengono dall’industria accresciute di valore, a misura che l’agricoltura si stende su’ terreni in prima derelitti, a misura che un artigiano accresce il numero de’ telaj, in una parola se a misura che l’uomo cerca di migliorar la sua sorte coll’attività dell’industria, gli caderà proporzionatamente sui capo un sopraccarico di tassa sul tributo, questo tributo sarà diametralmente opposto ai progressi dell’industria, e tenderà direttamente a impedire i progressi dell’annua riproduzione. Quinto canone adunque: non si debbe far mai che il tributo segua immediatamente l’accrescimento dell’industria.

Non fa d’uopo ch’io ricordi, come tutt’i tributi imposti sulle nozze sono dannosi, perchè sono un ostacolo diretto contro la popolazione.

Si osservi inoltre, che se il tributo si pagherà una o due volte l’anno, e o non si divida, o si divida in poche parti, ne accaderà che avvicinandosi il tempo di pagarlo si sottraerà dalla circolazione tutta [p. 203 modifica]ad un tratto una massa importante di denaro, anzi dovrà cominciarli qualche tempo anticipatamente a radunarla, e così con un moto forzato uscirà dalla carriera dei contratti una quantità sensibile di merce universale, e si rallenterà l’attività del commercio. Per lo che in quanto maggior numero di pagamenti più piccoli si potrà dividere il tributo, tanto più si conserverà uniforme il moto della circolazione.

Annotazioni.

Risarcirsene su ciascun consumatore. Non sembra dimostrato ad evidenza, che ogni tributo naturalmente tende a livellarsi uniformemente su tutti gl’Individui a proporzione delle consumazioni. Il tributo si paga in denaro; ma il denaro non è che un segno, ed un pegno per ottenere le cose inservienti all’uso della vita, ed ai bisogni tanto privati, che pubblici; entrato nell’Erario si spande per una infinità di canali, e compera tutto ciò, che serve al mantenimento delle persone, che servono il Pubblico. Se in vece del danaro ti portassero all’Erario le cose dal denaro rappresentate, per poi da quello distribuirsi alle persone destinate al Pubblico servigio, ed agli usi tutti di quello; egli è chiaro, che in questa supposizione tutti quelli, che riceverrebbero quelle cose, sarebbero tanti compratori di meno di quelli, che hanno pagato il [p. 204 modifica]tributo. Sarebbe dunque in questo caso di tanto diminuito il numero de’ compratori, la qual diminuzione abbassa il prezzo, quanto basta a livellare lo sforzo, che sarebbero i Particolari per alzare il prezzo per risarcirsi. Lo stesso accader deve pagando il tributo in denaro, e vendendosi promiscuamente tutti i prodotti, perchè non annichilendosi, nè sottraendosi dalla concorrenza queste merci, colla vendita delle quali si paga il tributo, queste impediscono, che si alzi il prezzo di quelle che restano a libera disposizione del Proprietario.

Egli è però vero, che la consumazione può pagare il tributo sino a quel segno, al quale il consumatore può ristringere la propria consumazione, ma quanto egli restringe la propria consumazione, di tanto si abbassa il prezzo delle derrate medesime.

Piccolissima la porzion del tributo che avrà pagata. Da quanto si è detto nella precedente nota si potrà facilmente rilevare, che un terriere possessore di vasti fondi, che consumasse pochissimo, non perciò pagherebbe una picciolissima porzione del tributo posto su le sue terre. Il tributo ai paga in denaro, ma questo denaro non è la derrata raccolta sul terreno, nè il prodotto delle miniere dei contribuenti; questo denaro contribuito ha rappresentato alcune merci, e deposto nell’Erario le rappresenta tuttavia: queste merci pagate dai Proprietarj o in natura, o nell’equivalente denaro, uscite che siano dalle mani di quelli in quante mani passano, di [p. 205 modifica]tanto diminuiscono il numero de’ compratori per il restante; onde elidono quello sforzo, per il quale il Proprietario, o il terriere tenderebbe a risarcirsi. Il terriere di fatti, come osserva ottimamente l’Autore, è un possessore, il quale possiede una parte di terra, che non è sua; mentre nelle vendite di tutti i poderi il compratore deduce sempre quella porzione di capitale, al frutto della quale corrisponde l’annuo tributo. È stato da alcuni recenti Scrittori dimostrato ad evidenza, che il Sovrano è un vero Proprietario di tanto, quanta è la somma del Carico, che le terre de’ Proprietarj particolari debbono pagare, ed è verissimo, ch’essi non sono di parte delle loro terre, che semplici affittuarj, non liberi ed assoluti Padroni. Il patrimonio del Sovrano è amministrato da’ Particolari, e questa amministrazione è utile egualmente al Sovrano, ed a’ Possessori. Non perciò io ne cavo la conseguenza, che questi recenti Scrittori vorrebbero; cioè che l’Imposta fosse pagata unicamente da tutte le terre d’uno Stato. È verissimo, che in qualunque maniera e da qualunque persona si paghi il tributo, egli è sempre o una merce, o un equivalente di essa, e questa merce è sempre il prodotto di una terra: ma è altresì vero, che il tributo posto direttamente ed unicamente sulle terre di uno Stato sarebbe un tributo ripartito sopra una minor porzione di terre, di quello che una parte essendo posta indirettamente sull’industria, e sul commercio potrebbe essere; perchè le terre forestiere [p. 206 modifica]verrebbero anch’esse a contribuire il tributo nazionale. Ma non è questo il luogo opportuno ad una così difficile discussione. Non è possibile di finire in poche parole problemi tanto complicati, le soluzioni generali dei quali saranno tanto più vaghe, quanto le equazioni particolari, da cui si deducono, saranno più indeterminate.

Fra il venditore, ed il compratore immediatamente. È Principio universale addottato e dalla ragione, e dall’autorità (la quale al più non può essere nelle Scienze, che hanno per base la ragione umana, che una semplice occasione di sospettare della maggiore, o minor veracità delle nostre opinioni) che si debba lasciar libera e sollevata la circolazione interna delle merci, rendere i trasporti meno dispendiosi, che sia possibile: ma non perciò sarà egualmente vero in tutte le circostanze, e relazioni varie delle Nazioni, che non si debba mai collocare il tributo in modo, che direttamente accresca le spese di trasporto da luogo a luogo nello Stato: perchè sarebbe, come se si allontanasse fisicamente un luogo dall’altro, conseguentemente tenda a diminuire i contratti, e la circolazione. Troppe parole vi vorrebbero a sviluppare con quella minuta esattezza, che si richiede in una tale scienza appoggiata ad un numero di dati così vario, tutti i punti di vista, coi quali si debbe tessere una Tariffa di Finanze. Basti riflettere, che tutte le Tariffe non sono fatte appunto ad altro fine, che per accrescere le spese di trasporto da luogo a luogo, acciocchè questo accrescimento di [p. 207 modifica]spesa determini la consumazione di una merce più da vicino alla produzione di quella, acciocchè per esempio le materie prime portate ai forestieri manifattori costino una maggiore spesa di trasporto di quelle portate ai manifattori Nazionali. Ciò supposto come vero, se si parla di uno Stato rispetto ad un altro, dico, che può verificarsi anche rapporto a diverse parti di uno Stato medesimo. Si suole ammettere per Assioma di buona Economia Politica, che i Dazj vogliono essere ai Confini per non turbare la circolazione interna: ma voglionsi altresì distinguere i Confini Politici dagli Economici. Li Confini Politici sono quelli, che sono fissati dagli eventi delle guerre, dai trattati delle Paci, delle successioni dei Sovrani; ma i Confini Economici debbono esser fissati dalle situazioni locali delle Provincie più, o meno favorevoli al Commercio, all’Agricoltura, alle Arti: quelli rimanendo invariabili, questi debbono variare a misura che si cambiano le relazioni delle Classi de’ Proprietarj, Produttori, ed Industriosi ec. Se alcune Città poste ai Confini di uno Stato vivono di un’industria esercitata sulle produzioni di uno Stato estero, mentre le produzioni che sono nel centro servono al mantenimento dell’industria degl’Interni Paesi, sarà vero, che si dovrà alleggerire il Dazio posto ai Confini dello Staro per sollevare l’industria confinante, ed aggravare il Dazio sulle stesse merci, quando si avviano al centro appunto per non avvilire le produzioni interne. Più generalmente un [p. 208 modifica]Dazio totale posto inesorabilmente ai Confini, un Dazio numericamente uniforme può essere nel fatto più distruttivo dell’industria, e più ingiusto, che non un Dazio percepito a proporzione che la merce o esce, o s’introduce in uno Stato, e differente secondo che sono differentemente situate le diverse parti delle Provincie confinanti cogli Stati esteri. Il fine regolatore delle operazioni di Finanze non può mai essere abbastanza uno e semplice, ma i mezzi non possono mai esserlo, perchè debbono variare quando variano i soggetti, su i quali si adoperano. Non bisogna, per rendere uniformi i mezzi, rendere diseguali gli effetti, nè per simplificare le operazioni complicare i disordini. La natura è semplice a prima vista nelle sue operazioni, ma se noi la consideriamo più attentamente, noi vedremo quanta complicatezza di organi ha sparso con profusione per nutrire e far muovere quegli animaletti, che noi calpestiamo. La Natura può essere semplice quanto si vuole, ma abbandonata a se stessa è altrettanto selvaggia ed informe, altrettanto tendente alla distruzione, come alla produzione, e colla morte, colle malattie, colle continue depredazioni procedente a fini a noi per lo più occulti. Guardiamoci dunque dall’imitare quella semplicità nella Politica Economica, la quale è altrettanto artificiosa nelle sue operazioni, quanto lo possono essere le manifatture, ch’essa protegge e promuove.

Uniforme il moto della circolazione. Il [p. 209 modifica]suddividere in piccole parti l’esazione del tributo è una massima utile ed umana, ed è inutile il quì annoverarne tutte le ragioni; ma giovi riflettere, che se si sottrae una massa considerabile di denaro dalla circolazione, ciò è un affare momentaneo, e nell’intervallo è supplita dal denaro, che si trova ammassato, il quale rientra in circolazione. La circolazione nonFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273 s’interrompe per le sottrazioni di denaro, ma coll’improvvisa, o successiva diminuzione dalla consumazione giornaliera.