Parte prima

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Dedica Parte seconda
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PARTE PRIMA



Argomento.

Lotario figlio d’Ugone di Provenza re di Lombardia, conosciuto il costui progetto di spegnere Berengario Marchese d’Ivrea che secretamente aspira al trono Lombardo, salva la vita del Marchese con pericolo della propria onde evitare al padre la taccia di traditore.

 
     — «Perchè sì tacito, sì tetro in viso
Mirarti, o padre, sempr’io dovrò?
Qual mai t’ha l’anima dolor conquiso?
Qual ferrea mano sul cor posò?

     5T’offria la sorte propizia in dono
Quel ch’è dei Cesari gentil sospir:
Bieco Rodolfo1 t’invidia il trono
Ch’ardua fu meta de’ tuoi desir.

     E tu fai torbidi quei dì ridenti
10Di cui sì splendido brillò il seren?
Padre, se m’ami, de’ tuoi tormenti
L’arcana fonte ch’io sappia almen!»

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     Movea Lotario così la voce
Dolente al fianco del genitor;
15Ruggìa d’Ugone l’alma feroce
Che in questi accenti proruppe allor:

     «Vôto fremendo stringea l’artiglio,
È ver, d’Elvezia2 scornato il sir;
Ma l’altrui danno che valmi, o figlio,
20Se innanti veggiomi l’abisso aprir?

     Se più da presso m’insidia il regno
Tale che ammantasi del mio splendor;
Tale che a compiere sì reo disegno
Si giova, iniquo! del mio favor?

     25Sì, Berengario...3 — Padre, che ascolto!
Di lui sospetti?.. ma oh ciel! pur or
Te umano accoglierlo, benigno in volto
Non vidi? or d’onde l’astio, il livor? —

      — Troppo inesperto, fanciul, tu sei!
30Fin che il sorriso sul labbro sta,
Avvolto io tengolo ne’ lacci miei,
Nè da me salvo fuggir potrà. —

      — Ahi raccapriccio! no, la tua fama
Il tradimento non macchierà!
35Su questa il giuro fedel mia lama,
O questa il petto mi squarcierà. —

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     — Vivi, o dei popoli, speme ed orgoglio!
Reo forse io sono; ma il son per te... —
— Odio la vita; rinunzio al soglio
40Ove al rimorso compagno egli è. —

     — Pur te d’ascenderlo sol degno io veggio;
Cedi, Lotario... — Di me pietà! —
— No, fin ch’io vivo d’Ausonia il seggio
No, Berengario non calcherà! —

     45— Ned ei vi aspira. — Chi t’assecura?
Non ha Ermengarda4 matrigna invan!
Ambizïosa, cocente cura
Lo guida all’inclito lombardo pian.

     — Padre, tiranno te il dubbio rende
50Se lui punisci del tuo timor.
Ma se l’aspetto di lui ti offende
Da te lontano vada, o signor! —

     — Che parli, o stolto? finch’ei m’è presso
Lieve sue trame mi fia sventar.
55Non t’è più oltre parlar concesso
Ove sol l’opra ne può scampar.

     Ah! invan su questo superbo volto
L’astuta maschera sofferto avrò
Ch’ha in sè tremendo martire accolto
60Che pondo orribile su lui gravò?

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     D’angoscie tante sfuggirmi il frutto
Or lascierommi? — Quel frutto è vil!
Fia del delitto compenso il lutto. —
— Pensiero indegno d’alma viril!

     65Già del mio scettro te a parte io volli;
Ma in me risiede, ben sai, l’imper:
Ora ai femminei pensieri e folli
Legge immutabile sia il mio voler!»

     Tal quel magnanimo turbato ei lascia
70Cui l’onta è strazio del genitor:
Però nol vince l’orrenda ambascia
Ma afforza il nobile natio vigor.






     Regna d’Ugon nella magione altera
L’oscura notte del silenzio amica;
75Ma non posa del re l’anima fera
Cui l’ira ognor del suo velen nutrica;
Come celato o come aperto ei fera,
E traditore il popol lui non dica,
Medita e libra; e il perfid’atto affretta
80Chè gli è del figlio la virtù sospetta.

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     Ma nel turrito suo palagio intanto
Giustizia incontro al suo voler congiura:
Del fallir quasi qui riveste il manto,
Serbando intatta sua gentil natura;
85Chè spesso oprare a’ rai del sol l’è vanto,
Talor le giova la tenébra oscura.
Ma di sè lascia poi vestigi eterni
Onde l’esempio i posteri governi.

     Striscian nell’ombra due guerrier; possenti
90Entrambi invero, ma di cor diversi;
La propria vita avvien che l’un cimenti
Per quei che nutre a lui gli affetti avversi,
Sebbene astuto altro mostrare ei tenti
Con detti accorti ognor di miele aspersi.
95Ma di Lotario l’opra è men gentile
Se il benefizio suo cade sul vile?

     Taciti e cauti ambo si fur ridotti,
Dell’atrio presso, a una terrena sala;
Un sol desir colà li avea condotti,
100Li spinge del timor la gelid’ala;
Brevi scambiâro insiem furtivi motti
E sceser poscia per un’ampia scala
Di pochi gradi nel regal giardino:
Ed escîr quindi con egual destino.

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     105E come di Pavia varcâr le porte,
Rugger, del prence il tenero scudiero
Che ognor di lui volle seguir la sorte,
Ciascun di lor fornia d’un buon corsiero.
Ambo saliro; e dello spron sì forte
110Dieder ne’ fianchi al nobile destriero
Che partì ratto qual da corda strale
Sì che a seguirlo l’occhio altrui non vale.

     Così fuggiano per la notte folta;
Di grigio ferro ognun de’ due si veste;
115Nella visiera ambo la faccia accolta,
Lo scudo egual, l’arme e la sopraveste;
Tale che in dubbio l’altrui mente avvolta
Guardar perplessa può quell’arme e queste,
Ma nè fra lor discerne Berengario;
120Chè non diverso sembra ei da Lotario.







     Del giorno comparve la bella foriera;
Ma Ugon la prevenne che sorto era in piè:
Dell’odio il combatte crudel la bufera:
Il sonno rifugge dall’occhio del re.

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     125Un’ansia inquïeta, funesta lo assale:
Innanti venirsi fa un vecchio scudier;
Vendetta lo sprona... ma il cenno che vale?
La reggia è in tumulto, gli apprendono il ver.

     «Su! prodi, in arcione! che il rege è tradito!
130Ei grida furente; s’insegua quel vil!
Chi fugge è colpevole; in ceppi, schernito,
Sol orrida torre qui porgagli asil!»

     E paggi e guerrieri già s’armano a gara;
Gli ardenti corsieri già mordono il fren;
135Chè il servo a obbedire fra’ despoti impara;
Ma il ponte è percorso — chi ratto ne vien?

     Ruggero fedele d’Ugone ecco al piede
Recando una scritta del nobil suo sir.
La scorre il monarca; ma al guardo non crede;
140Poi lento dal petto traendo il respir:

     («Son pari le spoglie... simìli son l’armi...
Oh indomita rabbia d’inutil desir!»)
E impone: «Sostate! di sangue bruttarmi
Non voglio; chè al cielo s’aspetta il punir.

     145Ripongansi l’armi; lo sdegno è cessato;
Al rio Berengario concedo perdon.
(Or quel che m’è forza concedere al fato
Lo credan clemente mio libero don.»)

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     Quel misero prence nell’erme sue stanze
150Celando sue smanie trascorse quel dì.
È il figlio che ha tronche le inique speranze;
Pur mai come allora l’amplesso ne ambì.

     Il sole s’asconde; chi lento si appressa?
— Sei desso Lotario?... sei desso!» — Lo son» —
155— Ingrato che festi?» — «Mio padre deh cessa!»
Tra mesto ed altero s’innoltra il garzon.

     Pur una gioia non provata mai
Il re conobbe per virtù d’amor: —
«Padre, dall’onta il nome tuo salvai:
160Or mi punisci... » — Ed ei lo strinse al cor.



Note

  1. [p. 18 modifica]Rodolfo di Borgogna (poscia re di Francia) già competitore d’Ugone di Provenza ed escluso dal soglio di Lombardia, per le perfide arti di Ermengarda dei cui vezzi erasi fatto schiavo.
  2. [p. 18 modifica]L’alta Borgogna chiamavasi anche Svizzera a’ quei tempi.
  3. [p. 18 modifica]Avvertano le giovanette lettrici che questo non è da confondersi col I. Berengario duca del Friuli, e poscia re d’Italia, che perì in Verona di morte violenta per avere generosamente perdonato ai suoi sicari.
  4. [p. 18 modifica]Cotesta troppo celebre Ermengarda il cui nome si associa nella storia a quello delle Marozie e delle Teodore, era sorellastra d’Ugone e matrigna di Berengario. — Il tempo dell’azione risale al X secolo dell’Era Cristiana. — L’azione del poemetto si svolge nella reggia di Ugone e poscia di Berengario in Pavia.