Iacopo Vittorelli

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Questo testo fa parte della raccolta Poemetti italiani, vol. XI


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LO SPECCHIO

POEMETTO

di

JACOPO VITTORELLI


    Io su l’altar de la volubil moda
Sparsi devotamente e carmi e fiori,
Nè scortese privò d’ingenua loda
Le quadrilustri rime Egeria o Clori.
5E, se l’affabil Dea volgasi e m’oda,
Or de lo specchio canterò gli onori,
Col suo favor narrando a parte a parte
Le cure di Madama in queste carte.

     Grazie a gli Dei. Già per l’aerea mole
10Gli scintillanti alipedi sospinge
Il cocchio rapidissimo del sole,
Che la metà di sua carriera attinge.
E già la vaga innamorata Jole
A sorger da le coltri omai si accinge;
15Mentre ne l’anticamere Brunetta
De l’argenteo metallo il segno aspetta.

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     Già il chiaro tintinnio le aurette siede,
E già l’ancella fortunata avanza
Tra soglia e soglia con veloce piede
20Nel sacro orror de la rimota stanza.
E subito Madama a lei richiede
Lo specchio consiglier giusta l’usanza,
Per vedere se il giglio o pur la rosa
Tinga la guancia sua fresca e vezzosa.

     25Sovente pallidetta avvien che sia,
Come bianco ligustro in sul mattino,
Qualor ne la sognante fantasia
Le comparve infedele il suo Lesbino.
Sovente il Rokembol cagion ne fia,
30Che a lei jer sera emunse il borsellino;
Poichè nel luogo disugual contrasto
Ebbe nemica la spadiglia e il basto.

     Jole si appoggia a i morbidi origlieri,
E Brunetta la stanza intanto alluma,
35Finchè quel labbro intemerato anneri
Del cioccolatte la nettarea spuma.
Già su le penne a i zeffiri leggeri
L’odorifero impasto olezza e fuma;
E la beata chicchera già tocca
40L’estremità de la virginea bocca.

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     Rinvigorito a l’utile bevanda
Il delicato stomaco languente
Le usate spoglie sue Jole domanda,
Onde balzar dal talamo repente.
45Eccola in aria graziosa e blanda
Correre a la toletta immantinente,
E d’un pugno afferrar vetri bacheche
Guantiere orciuoli nei spille e manteche.

     Con tale ardor fra i sibili e le brume
50Del Getico aquilon, del verno crudo,
Seguendo il patrio giovanil costume,
Ippolita surgea dal terren nudo;
E a i foschi raggi del nascente lume
Correva ad imbracciar l’asta e lo scudo,
55Tutta spargendo la montagna e il piano
Co le Amazzoni sue di sangue umano.

     Chi raccontar varria con qual profondo
Studio de i ricci al magistero assista?
Cosa per lei non si ritrova al mondo
60In cui maggiore attenzion consista.
Se fornita non è da capo a fondo,
Ella non perde il suo cristal di vista;
E il figliolin, che a vezzeggiarla prende,
Uno sguardo fuggiasco in van pretende.

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     65Spesso Dorindo a la gentil cognata
Un libriccin fra le guantiere appresta,
Onde furtiva donile un’occhiata,
Mentre le acconcia il parrucchier la testa:
Ma Jole bruscamente o l’accommiata,
70O a incartocciare le manteche ei resta;
Nè l’infingarda coltivar procura
Quell’acre ingegno, che le diè natura.

     E mal ciarla talun per lo contrario
Il qual fra i maschi e fra le donne tutte
75Vuol che passi in acume un gran divario;
Poichè, se fosser ne lo studio istrutte,
In qual siasi esercizio letterario
Manderiano i dottori a Calicutte;
E il Portico e la Stoa vedovi quasi
80Diventerebbon floridi ginnasi.

     Ogni filosofante ogni cantore,
Che dal vulgo fanatico si appella
De l’Accademia e del Liceo splendore,
Reggere non potrebbe a tal coppella.
85Qual poeta di Pindaro maggiore?
Eppur lo vinse tenera donzella:
Corinna il vinse, e l’invido Tebano
Per ben tre volte provocolla in vano.

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     Ma già comincia a torreggiar il crine,
90E Jole su lo specchio il guardo aguzza:
Compiesi l’edifizio, e tutta alfine
Per intimo piacer si ringalluzza.
Indi quelle manuccie alabastrine
Di cristallino umor l’ancella spruzza;
95E su le dita de la casta Ninfa
La profumata sgorga innocua linfa.

     Quinci con molle spugna o pannolino
L’intatta neve del bel viso terge,
Come far suole candido armellino,
100Che a biancheggiar vie più nel rio s’immerge.
Poi di belletto acconcio e soprafino,
Quanto il vetro desia, le gote asperge;
E per lucido albore in trita polve
Le perle Comogotiche dissolve.

     105Se in lor tanta scopria virtù novella,
Che le seguaci età rinvenner dopo,
La regnatrice incestuosa e bella
Del Fario sen, de l’Amicleo Canopo,
Avrebbe un tempo risparmiata quella
110Meravigliosa perla a simil uopo;
Di comparir fra le vivande paga
Quanto fastosa men tanto più vaga.

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     Nè sol Egle, Nerea, Fillinda, e Nice,
Soggette oimè! de l’iterizia a i danni,
115Ricorrono dolenti a la vernice,
Che l’invido squallor tolga ed appanni:
Ma fin l’etate rancida e infelice,
Che pieno ha il dorso di magagne e d’anni,
Le rughe avvien che stranamente implichi
120Di putridi color, d’unti orichichi.

     Lalage appunto disparuta ed agra,
Che il lustro dodicesmo appena tocca,
Nulla ostante il catarro e la podagra
Per cui veglia la notte e il dì tarrocca,
125Tutto il mattin sollecita consagra
Non a seria lettura od a la rocca;
Ma solo a specolar nel fido vetro
Il suo deforme e rincagnato spetro.

     Su Persico origliero intanto accoscia
130Giusto rimpetto al lucido cristallo:
Prima si guarda, si vagheggia, e poscia
Distempera la biacca ed il corallo.
Ed or la fronte rugginosa e floscia,
Ora il labbro dipinge arido e giallo:
135E arrubina sul mento e su la guancia
L’insalubre color di melarancia.

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     Tal la vizza Fabulla a i giorni prischi
Imbellettar solea la pelle irsuta
Di fetidi cinabri untumi e vischi,
140Onde giovane e bella esser creduta.
Ma i gravi danni e i perigliosi rischi
De la pioggia e del sol fuggiva astuta;
Poichè l’acqua inimica, e ’l solar astro
Disciolto arian quel triplicato empiastro.

     145Lalage senza specchio i suoi capricci
Nè determina mai, nè mai seconda.
Se di denti bianchissimi posticci
Le vedove gengie fascia e circonda:
Se vuole ricoprir di finti ricci
150La cuticagna inaridita e monda,
O sotto arduo cuffion tenerla occulta,
Sempre lo specchio Lalage consulta.

     Certo men brutta men deforme e sozza
Fu quella vecchia stomacosa un dì,
155Che co l’animatrice tavolozza
Il fantastico Zeusi colorì;
Ma un riso tale chiusegli la strozza,
Poichè quel ceffo orribile compì,
Che giacquesi boccon di vita esausto
160A la deformità primo olocausto.

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     Ma Jole impaziente ne richiama,
E vola al suo gridar la nostra Musa,
Quando co la vecchiaja insulsa e grama
Di trescar volentieri ella non usa.
165Nuova beltà sul volto di Madama
In grazia del belletto or è diffusa;
E specchiandosi il labbro e le pupille
Sembra lieta sclamar: cedimi, o Fille.

     Quanto compiango l’inesperta Dea,
170Cui Cecrope innalzò templi ed altari,
La qual dovendo su la cima Idea
Gareggiar di beltà, giudice Pari,
Sotto a la sferza ignivoma correa
(Bella semplicità!) de’ rai solari;
175Onde poi comparir nel gran litigio
Vermiglia e rubiconda innanzi al Frigio.

     In così dir la vaga Jole osservo,
Che al leggiadro de’ nei costume intende,
Forse a celar quell’invido e protervo
180Bitorzolino, che la gota offende.
E già dal bruno immacolato acervo
Senza nulla indugiar varj ne prende:
Col vetro si consiglia, e per capriccio
Ne attacca un su la fronte, un sotto al riccio.

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     185Ciò fatto avvien che d’abito si cange
Presso al cristal l’affannosetta Diva;
Ed ecco sparsa di minute frange
Quasi in trionfo l’andrienne arriva:
Poi di merli e di nastri una falange
190La seguita dappresso in comitiva,
E qual tributa lavorio più gajo
Batava spola o Parigin telajo.

     Ma che vegg’io repente? Ah largo, largo:
Ecco il pendulo alfin cerchio solenne,
195Che folcer dee lo sventolante margo
De la Gallico-italica andrienne.
Qual sia lo specchio sì mirando e largo
Che il gran volume interamente accenne?
Fortunate Nereidi! a cui la vasta
200Acqua del mar per ispecchiarvi basta.

     Infrascatasi appien, Jole contenta
Quanto fa, quanto puote, or si vagheggia,
E nel cristallo suo medita intenta
Come il ventaglio pertrattar si deggia,
205Come la vita or celere ed or lenta
Certo languor dolcissimo richieggia;
E come stringa il suo bocchin Dameta
Nel dir Monsieur con lo sfuggevol zeta.

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     Oh! veramente semplice e inurbana
210L’età, da cui fuggir le grazie in bando,
Che specchiava al ruscello e a la fontana
I luccicanti occhietti e il viso blando,
Poichè soffio legger d’aura lontana
La superficie liquida increspando,
215Fea comparire ne l’instabil fonte
Torta la bocca e irregolar la fronte.

     Oh de lo specchio nobil magistero!
Oh vivo quadro armonioso e bello,
Simile tanto ed uniforme al vero,
220Che sei del ver moltiplice fratello!
Ceda spontaneo a te l’onor primiero,
Bassan, Paolo, Caraccio, e Raffaello,
O qual veleggia su i marini bordi
Pittor famoso a i taciti Milordi.

     225Potrei fra l’Alpi e il gelido Pirene
Del Lannese Gobin volare al lido,
Poichè su quelle industriose arene
Fondò l’arte del vetro albergo e nido.
Potrei le circostanti isole amene
230De l’Adria salutar con fausto grido,
La rena mescolando in giusta norma
A quella soda, che lo specchio informa.

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     Potrei non meno col solerte fabbro
De la sulfurea vampa al fumo tetro
235Quel mercurio natio scior dal cinabro,
Che deo lo specchio intonacare addietro.
E rivolger potrei l’esperto labbro
A soffiar da la canna il bianco vetro;
O pur, seguendo l’ingegnoso Gallo,
240Colar sul desco il liquido cristallo.

     Certo potrei; ma il fulgido apparecchio
Me non invita di straniera gloria.
Bastami sol che lietamente orecchio
Porga taluno a la gioconda storia:
245Bastami sol che quanto il fido specchio
Di ritrar Jole al natural si gloria,
Tanto le cure e le ansietà di lei
Scopransi al natural ne’ versi miei.