Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione XV

Il Paradiso - Lezione XV

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Lezione XV

[Povertá d’azione nei vari cieli; risveglio d’interesse nell’Empireo.]


La vita intrinseca di un lavoro è posta in un concetto che riempia di sé tutte le parti. Abbiamo veduto il concetto del paradiso essere la forma evanescente, e questo concetto lo abbiamo trovato e nella forma e nel sentimento e nel pensiero. Fin qui però possiamo chiamar questo mondo un tutto concorde e ragionevole, possiamo nell’autore ammirare la potenza dell’architetto, che sa ben congegnare le diverse parti, ma non ancora il poeta. Abbiamo dunque esaminato questo mondo sotto il rispetto artistico, e veduto gli sforzi fatti dal poeta per dare ad un mondo essenzialmente lirico una forma epica. Ma queste forze interne non bastano essendo di lor natura astratte. Si richiede che elle paian fuori in un corpo, cioè a dire che abbiano estrinsechezza in una tela di fatti che dicesi ordito. L’ordito è un mezzo per mostrare al di fuori l’anima, cioè le forze intellettive, affettive ed immaginative, pensieri, caratteri, passioni, immagini ecc. Ora l’ordito dantesco è per la sua semplicitá accomodato a questo suo scopo, non essendo altro l’azione o l’ordito che il salir di Beatrice e di Dante di stella in stella. Nella loro visione e ne’ loro discorsi con le luci in cui s’incontrano, si manifestano le forze interne del paradiso.

Ma l’ordito non è solo un mezzo; esso dee avere il suo proprio valore, e destare curiositá, sospensione, ammirazione per la [p. 314 modifica]natura stessa del fatto. Ora l’ordito dantesco povero com’è di azione non può destare alcuno interesse. Il suo interesse è nel progresso della sua azione, nel crescente spiritualizzarsi della forma. E l’interesse sarebbe maggiore, se Dante avesse voluto rappresentare drammaticamente questo passaggio di stella in stella, come passaggio da uno stato dell’animo in un altro piú puro piú vicino a Dio. Cosi Faust può ogni volta che passa di uno stato in un altro conoscere se stesso e mostrare quello che egli sente con la parola. Ma Dante, a cui la natura propria e de’ tempi non consentiva questo subbiettivismo, ha obbiettivato il suo sentimento, mostrando la sua successiva purificazione nel progressivo schiarirsi dell’occhio, e nel viso sempre piú lucente di Beatrice.

Tutte queste stelle ci sembrano perciò vuote gallerie, radianti sempre piú di luci, ma dove ti trovi solo senza eco e senza simpatia. Hanno diversi nomi, e non di meno sono si povere di determinazioni che non puoi fissartele nella memoria e le confondi l’una con l’altra. L’interesse si risveglia quando si giunge nel cielo empireo dove spunta la forma. Cosi hai innanzi un punto luminoso centro di banchi semicircolari rassomigliati ad una candida rosa, con l’intervallo riempiuto di una plenitudine volante. Questa visione è ammirabilmente descritta con chiarezza ed efficacia massime per quello che riguarda gli angioli. La visione è accompagnata con l’impressione. Dapprima il poeta rimane come stupido al modo de’ barbari all’aspetto di Roma. Questo è detto in una forma alquanto arida, e dove non trovi di poetico che un tratto ironico lanciato cosí di passaggio a Firenze.

                                         Io che era al divino dall’umano.
Ed all’eterno dal tempo venuto
E di Firenze in popol giusto e sano
     Di che stupor dovea esser compiuto!
     

Poi il poeta gitta lo sguardo vagante giú su e intorno, come un pellegrino che per isciogliere il suo voto va a visitare un tempio e lo esamina attentamente per darne notizia al suo [p. 315 modifica]ritorno. Volgendosi in fine per domandare alcuna cosa alla sua guida, la sua guida è scomparsa. Beatrice apparisce nell’inferno con tutti gli affetti di una donna. La vedi lusinghiera verso Virgilio, angosciosa per il pericolo di Dante, mossa dall’amore; un pittore potrebbe dipingerla. Nel purgatorio, quantunque nascosta in una nuvola di fiori ha pure una fisonomia.

                                    Regalmente nell’atto ancor proterva.      

Nel paradiso scompare ogni parte terrestre; l’amore purificato diviene un affetto maferno e Dante l’ama con caritá filiale. Espresso simbolicamente il riso della donna amata, l’interesse languisce; ma qui è la Beatrice poetica del paradiso; qui la parola esprime con chiarezza drammatica i sentimenti dell’uno e dell’altra. Le parole di Dante sono affettuose, ma di un affetto misto di gratitudine e di riverenza. Beatrice è in un’attitudine determinata:

                                    E vidi lei che si facea corona,
Riflettendo da sé gli eterni rai.
     

Il suo sorriso il suo ultimo sguardo ha un significato; è lo sguardo dell’addio, è l’amore terreno che va a dileguarsi nell’amore di Dio. Ella ama Dante in Dio:

                                         Cosi orai; e quella si lontana,
Come parea, sorrise e riguardommi:
Poi si tornò nell’eterna fontana.
     

A Beatrice succede S. Bernardo, il fedele di Maria:

                                    Perocché io sono il suo fedel Bernardo.      

Anch’egli è in un’attitudine concreta, che s’imprime nella memoria, ciò che non è di S. Giacomo S. Giovanni e degli altri, luci senza figura e senza colore. [p. 316 modifica]

                                         Diffuso era per gli occhi e per le gene
Di benigna letizia in atto pio,
Come a terreno padre si conviene.
     

Gli occhi di Dante guidati dal santo si rivolgono alla contemplazione della Vergine, alla quale il santo indirizza la preghiera.