Lettere sulla Alceste seconda/Lettera quinta

Lettera quinta

Lettere sulla Alceste seconda/Lettera quarta Lettere sulla Alceste seconda/Lettera sesta IncludiIntestazione 30 novembre 2014 100% Da definire

Lettera quarta Lettera sesta


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LETTERA QUINTA



Che il severo critico patavino esser si possa ingannato nelle sue censure sull'Alceste, parmi, che debba avervene convinto la mia non breve lettera di questa mattina. A me diretti sono gli ultimi periodi del di lui articolo. Io non conosco il mio censore, e credere pur debbo ch'egli me non conosca, mentre altrimenti non avrebbe supposto in me delle opinioni che indicano un carattere, e dei principj ben diversi dai miei. Ecco com'egli si esprime.

Chi ne consultasse il Sig. Bettoni, egli risponderebbe che immenso sarebbe stato l'applauso che avrebbe riscosso questa tragedia sulle scene d'Atene; poiché se ne mostra egli così preso, che volendo dare, nel giusto entusiasmo che gli eccita l'Alfieri, una magnifica edizione delle sue [p. 54 modifica]opere, amò incominciarla per saggio da questa tragedia ch’egli dichiara la sua prediletta.

Troppo inesperto invero nella storia e ne’ costumi dell’antica Grecia, e privo affatto di elementari cognizioni mi crede il rispettabile critico. Se piaceva ai Greci, e se era conforme ai loro costumi ed alla loro credenza religiosa l’Alceste d’Euripide, non è permesso supporre senza far guerra al buon senso, che allo stesso popolo piaciuta fosse l’Alceste d’Alfieri: tanta è la differenza, con cui fu trattato questo soggetto dai due gran tragici; nè so come avrei potuto rispondere che immenso sarebbe stato l’applauso che avrebbe riscosso l’Alceste d’Alfieri sulle scene d’Atene. Ben direi francamente, che se la Grecia si fosse conservata nazione dall’epoca di Euripide fino ai nostri giorni, e se invece di ricadere nell’avvilimento e nella barbarie, fatti avesse de’ progressi nella civilizzazione, in allora dal popolo di Atene trovata si sarebbe intollerabile la tragedia d’Euripide, e quella d’Alfieri meritata avrebbe una giusta preferenza. Chi può mai dubitarne?

[p. 55 modifica]Niente aggiungerò a ciò che già vi scrissi sull'identica obbiezione fattami dal signor Guill. . . rapporto alla mia scelta dell’Alceste. Io non ho mai inteso di farla cadere su tutte le opere d'Alfieri, ma bensì sulle sole postume, e mi dispenserò dal ripetere le palmari ragioni già addotte. Ma segue il mio censore.

Sarebbe diffìcile veramente penetrare il motivo di tal predilezione, di cui non rendendo egli ragione, nè trovandosene nell'intimo merito dell’azione, non resta a ricorrere che a certa interna predisposizione secreta; ed allora è come di pressoché tutte le simpatie e le antipatie, le quali si danno, si sentono, nè si saprebbe dirne il perchè.

Non è più difficile il penetrare il motivo della mia predilezione dal momento in cui si sa, ch'io nè voleva, nè doveva scegliere che fra le opere postume d'Alfieri. Il mio censòre è dispensato pertanto in questo caso dal ricorrere alla sua favorita teoria delle simpatie e delle antipatie. Io cercai sempre di render conio a me stesso delle cause, per [p. 56 modifica]cui la mia ragione ed il mio cuore accordavano il loro suffragio alle produzioni d’indegno, nè so che l'antipatia, o la simpatia siasi mai immischiata in giudizj di simile natura, che non appartengono ai sensi, ma alla ragione. Ben desidero che allorquando la fortuna mi procurerà il piacere di conoscere il mio censore, non sia egli per sentire verso di me alcuna antipatia.

Se gli piace l'Alceste d'Alfieri sopra ognuna delle sue tragedie questi è un fatto che non si può contrastare, e ben ne sia per lui: il suo torto sarebbe se volesse persuadere ancor noi a riguardarla come la più bella, nè egli commette questa irragionevolezza, ed è altronde ben padrone di profondere i pregi di sua tipografia a quell'opera che più gli torna a grado.

Ella è cosa ben singolare che al mio censore piaccia insistere sulla supposizione ch'io preferisca l'Alceste a tutte le tragedie d’Alfieri. Nella mia intitolazione, e nell'avvertimento che trovasi in fine dell'edizione dell'Alceste da me eseguita, non vi è neppure una parola, da cui dedur si possa simile [p. 57 modifica]conseguenza. Nè ho mai espressa questa opinione, anzi ingenuamente protesto che non l'ebbi mai, non essendomi occupato d'un confronto difficile a farsi, il quale esige cognizioni di gran lunga superiori alle poche ch’io possedo. Ben lo ringrazio ch'egli non mi accusi di irragionevolezza, e che non abbia trovato strano il mio divisamento di offrire al pubblico l'Alceste con qualche venustà tipografica.

Dove pare piuttosto ch'egli possa essersi ingannato si è nel tenersi certo che il cuore d’Alfieri avrebbe approvata questa preferenza ch'egli dà all'Alceste; sarà, ma noi vediamo ch'egli pubblicò le altre tragedie, e lasciò questa tra la polve dei suoi scartafacci: appose all'altre il suo nome, di questa non voleva confessare la paternità, sicché vi ha luogo a sospettare che se il cuore d'Alfieri era dell'avviso del Sig. Bettoni, non lo fosse poi la sua mente, e trattandosi d'un uomo di lettere è meglio conformarsi seco nella mente, che nel cuore.

Non so dubitare che il cuore d'Alfieri disapprovar potesse la preferenza da me [p. 58 modifica]accordata all'Alceste in confronto delle altre opere sue postume pubblicate fino a questi giorni; e lontano dal riputare di essermi ingannato, oso tenermi certo, che lo stesso mio censore è del medesimo avviso. Ed infatti ammessa come incontrastabile la paternità d'Alfieri, e che sua veramente sia l'Alceste seconda, non si può resistere alla induzione che non solo il cuore, ma la mente stessa d'Alfieri avrebbe accordata la preferenza ad un lavoro originale in confronto delle traduzioni. Nè lasciò egli la sua Alceste fra la polve degli scartafacci, ma bensì fra suoi manoscritti, certo che sarebbe stata pubblicata; ed è però che il manoscritto era preceduto dal sonetto d’intitolazione alla sua diletta e rispettabile amica, e susseguito dal tante volte citato veramente poetico Schiarimento, che patentemente lo palesa autore della seconda Alceste. Ma chi avrebbe mai creduto che il mio censore, uomo di lettere certamente, desse fine al suo articolo con un epigramma appunto contro gli uomini di lettere? Perchè mai è meglio seco loro conformarsi nella mente che nel cuore? Perchè [p. 59 modifica]far loro questo torto? Possibile che il perfezionamento dello spirito e della ragione esser possano a danno delle qualità del cuore? Quale strana apologia dell'ignoranza e dell'errore! Che l'una e l'altro non le escludano io ben volentieri lo credo; ma qual condanna sarebbe mai quella, per cui all'uomo di genio, ornato di cognizioni negar si dovessero que'piaceri e quelle virtù che hanno la loro sede nel cuore? E si è potuto ciò dire e scrivere nella città ricca tanto di eccellenti ingegni? E si è potuto ciò dire in quella città, che onora qual suo concittadino, e quasi qual suo padre l'Ossian italiano, l'immortale Cesarotti? Gli amici che vi fan corona, o mio rispettabile amico, dican essi se tengono in pregio maggiore la vostra mente, od il cuore, e se fu vero trionfo il vostro, allorché, fortunato io di poter seguirvi ne'passati mesi nella capitale dell’Italico Regno, vidi voi accolto qual genio benefico, mentre riceveste gli abbracciamenti de'vostri amici, che per ultimo contavano il titolo di vostri ammiratori. . . . . . . .

Ma dove trascorro mai? Voi, mia amica, [p. 60 modifica]non troverete biasimevole questo slancio del mìo cuore, che ben conoscete. Dimani parleremo di nuovo della nostra Alceste, nè si occuperemo che di essa, giacché de'suoi censori niente più ci resta a dire Addio.

31 Gennajio di sera.

Note