Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XXXIX

XXXIX. Alla stessa - A Bologna

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XXXVIII XL

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XXXIX.

ALLA STESSA

a Bologna

9 Luglio (1832)


La tua carissima ultima di Roma mi ha ricoperta di confusione, e se non trovassi nell’intimo della mia coscienza la consolante certezza di non averti non solo mai dimenticato, ma anzi di aver [p. 112 modifica]pensato ogni giorno, ogni momento a te come ad oggetto carissimo ed amatissimo, io non prenderei punto la penna per dirti che sei sempre la mia diletta, che ti ho amato, adorato sempre teneramente dal punto in che mi hai offerto la tua amicizia che io considero come la più cara cosa che m’abbia, e che, se tu non mi ricusi, sarò sempre tua, desiderosissima di conoscerti, di gettarmi fra le tue braccia, e convincerti che fra noi non vi può esser, per parte mia, nè dimenticanza, nè oblio.

Dunque non dirmi più, per carità, quello che mi hai detto nell’ultima, che mi parleresti della Malibran se non avessi paura di annoiarti. Marianna mia, tu non sai, e io non valgo a dirti quale impressione dolorosa mi abbiano fatto quelle parole, ed il pensiero, che me le ero forse meritate col mio silenzio aggravava il mio dolore.

Ma tu hai a promettermi di non dirmele più, no, se mi vuoi bene! Se una ragione vi può essere nel mio silenzio, se vuoi persuaderti ch’egli non è stato punto capriccioso, bisognerá pure che ti dica che, da persona cui non posso onninamente dir di no, sono stata pregata a fare delle traduzioni dal francese, il che mi teneva impiegata in quel tempo in cui solo posso scriverti in tutta la giornata, e che appena avuto il primo giorno di vacanza ti ho scritto a Bologna, credendoti là. Ora io voglio che tu mi creda quando ti dico che ogni giorno avevo un nuovo dolore, pensando che lasciavo senza risposta una tua lettera, che non potevo aver più nuove delle mie amiche, e che facevo ad esse pensar male di me. Ma ciò non succederà più, siine certa, ed ora amami, o cara, chè io non [p. 113 modifica]ho cessato di meritare l’amor tuo, e dimmelo presto, prima di partire da Bologna. Poi parlami della Malibran, dei tuoi ultimi giorni a Roma, parlami di Nina, anzi no, lascia ch’essa mi parli da sè, e poi parlami di un’altra cosa che ora ti dirò chiedendoti il tuo consiglio.

Un giovine signore di Recanati sono già parecchi anni che mi fece domandare in isposa, più volte. Io l’ho ricusato sempre costantemente, e ciò per i motivi che seguono.

Prima di tutto, la sua casa non può stare (come si usa dire fra noi) alla mia per suola di scarpa. Poi egli è un buonissimo giovine, e lo è stato sempre, non si è unito mai agli altri giovani, non ho sentito dir mai una parola della sua ragazza, è cristiano, religioso, etc. Poi egli non conosce letteratura affatto, ed io dovrei passar la vita con uno, cui non potrei mai dir nulla di quelle poche cose che so io; credo che abbia poco spirito, ed anche poco talento.

Poi, ha un padre ed una madre, la madre poi è un vero orrore in ogni genere.

Poi è figlio solo, con due sorelle maritate; una delle quali lo è con uno di una piccolissima famiglia di un sobborgo di Recanati, ove io avrei difficoltà grande di andarla a trovare. Per tutte queste ragioni il mio amor proprio si rivoltò all’idea di un tale matrimonio, e mi pareva impossibile di poter lasciare il mio cognome, cui voglio assai bene, per uno tanto meschino.

Quando ero sposa del mio Ranieri, non mi pareva sacrifizio quello che andavo a fare, poichè l’amore velava il tutto, ma qui la cosa la vedo [p. 114 modifica]troppo chiara. Ora questo signorino mi ha fatto chiedere un’altra volta, e mi è venuto la diabolica idea di dargli mente. Però sorgono vivacissime tutte queste difficoltà, e la ripugnanza di lasciare il mio nome è grande, e poi lasciarlo per prenderne uno chè non ha valuto mai gran cosa! Solamente per togliermi all’immensa ed insopportabile soggezione in cui vivo ho dato adito a questo pensiero, non vedendo altra speranza di bene, poichè se non te l’ho detto mai, te lo dico adesso, che mio padre non vuole ch’io mi mariti, ed ha mandato al diavolo quei partiti che si sono presentati, ed ora tutti sanno che non gli si può far più parola di questo. Mia madre è stata del suo sentimento finora, ed adesso vorrebbe ch’io sposassi quello, di cui ti parlo. Marianna mia, tu mi hai a dire cosa credi ch’io debbo fare, cosa faresti tu nel caso mio.

La troppa riflessione mi uccide; io so ch’ero disperata qualche anno fa quando ero sposa d’un tale di Urbino, che mi voleva un bene grande, e che io non potevo soffrire, al quale ho detto di no tre volte, e di si due, poi non ebbi cuore di dire il terzo si; ed ero disperata allora che riflettevo meno di adesso, figurati che ne sarebbe di me in questo caso, ove di tutte le illusioni che per forza devono accompagnare questo salto importante non ve n’è alcuna, nemmeno quella del cangiare paese, e di montare in un legno con otto cavalli di posta.

Sono certa che il signorino mi vorrebbe un gran bene (io non gli ho mai parlato), ma non lo sono egualmente se glielo vorrei io; per la sua bontà lo meriterebbe, ma..... Della sua figura non parlo, credo che non sia brutto. [p. 115 modifica]

Io ti ho detto tutto: ora parla, Marianna mia, dimmi quello che ne pensi.

Ne parlavo a Giacomo qualche anno fa, quando si trattava di questo, ed egli non vi trovava niente di strano; ma gli uomini cosa ne sanno dei nostri affari? Perdonami, o cara: ma se non debbo chiedere consiglio alla mia amica, a chi lo chiederò? Le tue parole mi saranno di gran lume; tu conosci il mondo meglio di me, ed avrai più forza di quanta ne ho io per vincere i pregiudizi. In ogni modo il tuo consiglio mi sarà carissimo. Addio, mia carissima: io sono tua con una tenerezza inesauribile: bacio Nina, e te pure.


Il delegato è entrato in Ancona il 1.° di agosto: venne incontrato dal generale francese, dalla banda, — la sera vi fu illuminazione — egli era accompagnato da 80 dragoni.