Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XC
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XC.
ALLA STESSA
a Modena per Vignola a Campiglio
6 ottobre (1844)
Mia carissima,
In una bellissima giornata di ottobre, sotto il pergolato del nostro giardino lessi l’ultima tua . lettera cui era unita quella del Viani, al quale dopo tanti tuoi elogi voglio bene quasi come ad un mio fratello, sicura che tu non puoi nè vuoi ingannarmi sul di lui conto. Io scriverò prestissimo a quel bravo giovine mostrandogli quanto affezione mi ha inspirato con quella grandissima ch’ei porta al nostro Giacomo, ma in quanto a ciò ch’esso desidera dovrò ripetergli quello che un anno fa io gli scriveva; la vita di Giacomo essere stata oscurissima e tranquillissima fino alla sua dipartita da Recanati, e quando egli era inabissato nei suoi studii, studii che faceva da se senza alcun maestro, io non ero capace di conoscerne il corso, nè di giudicare quanto mai diveniva bravo, e quanta fama andava ad acquistare. Non abbiamo nemmeno più il suo carteggio epistolare, da lui ridomandatoci quando era fuori; della sua vita poi, dacchè usci di casa, noi non sappiamo più nulla, e sarà una benedizione del cielo se, usciti a Firenze questi volumi delle sue opere colla vita scritta da Ranieri, noi arriveremo a procurarceli. Sicchè, se avessi occasione di scrivere al Viani, potrai dirgli quanto io ti ho detto, e farlo persuaso che non per cattiveria o per iscortesia io non giungo a compiacerlo, ma solo per reale impotenza. D’altronde poi sarei oltremo io lieta e ne andrei troppo superba di poter parlare del nostro Giacomo con quell’immensa affezione che gli ho portato sempre e mai cesserà. Poi, ha contribuito ancora ad ignorare io molte cose, quello stato di contreinte in cui era Giacomo coi suoi genitori, ai quali si dovean tener celate molte cose e molte io non ne sapeva, essendo donna e legata alla sottana di mamà. Però mi ha fatto molto piacere, e così a mio fratello la lettera di Viani e le notizie che ci dà di quello che si stampa di lui che non sapevamo punto per quanta fame abbiamo di queste notizie. Sai niente se Paolina Ranieri sia maritata, e con chi? Della Ferrucci e del suo marito io non so nulla, anzi io credeva che la fosse rimasta vedova quando lessi dato, per tema ad improvvisatore la morte del Ferrucci.
Cara Marianna mia, io ti abbraccio e ti bacio piena di consolazione per la tua guarigione. Dunque credevi di morire e non pensavi alla nostra desolazione, al nostro interminabile affanno se andavi via? Godi dunque ora di questa nuova vita, la quale poi non è tanto infelice come questa mia, e pure io la vivo! Goditi l’amore dei tuoi, goditi quel delizioso luogo in cui sei, e il caro aere che respiri in questa bella stagione, e poi, il sapere di essere tanto ardentemente invidiata ti gioverà ad essere sempre più lieta. Che Nini continui ad essere la massaia, ciò le sta bene, ma lasci fare qualcosa anché a te acciò stii occupata, e non vada tu pensando a cose cattive, e giacchè mi hai parlato di un fritto eccellente lavorato dalle tue mani, tienilo a mente per quando verrò io a chiederti ospitalità di farmelo gustare. Pareva essere la prima cosa ch’io ti dicessi questa, dell’esser io sommamente lieta che Brighenti stia bene, dopo la paura terribile che ne mise con quel suo svenimento così lungo. È inutile ch’io raccomandi alle di lui figlie tutta la cura possibile, raccomando a lui di tenersi distratto, divagato, contento dell’amore delle sue figlie, tanto brave e tanto buone, di scegliere per soggiornare quell’aria e quel cielo che più gli conviene, e di obliare i guai e le infinite miserie di questo mondo, non già nello sciampagna, ma nel conversare con i suoi amici chè molti e bravi ei deve averne per tutto. Mi dispiace che non abbia riveduto Giordani come sperava, cosa che gli avrebbe cagionato un gran piacere come mi dicevi. — Non far più l’indirizzo delle tue lettere a Paolina Leopardi; quest’ultima tua ov’era quella di Viani io l’ho acchiappata per miracolo, ma dirigi pur sempre (anche senza sopracoperta) a Carlo Leopardi, direttore delle Poste in Ancona; quella che dirigesti colà, io l’ebbi subito.
Addio, cari ed amatissimi! Ricevi saluti ed abbracci di Cleofe, di mio fratello e dei piccoli. Malgrado le tue prediche Virginia ė Virginia è sempre la mia diletta, e sempre la sarà. Essa è la sola mia consolazione, lasciami almeno questa, e così sarà meno infelice la tua Paolina che non cessa di baciarti con tutta l’anima. L’altro giorno trovai per accidente, una lunga lettera di Nina scritta nell’ottobre 1831 da Ascoli, diretta a me col proprio mio nome, ch’io non avea mai avuta, perchè sequestrata, e me la presi, e non le rispondo; era in quel tempo in cui le piaceva Comer e voleva dirmi che non era vero, oh cattivaccia!