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lettera cui era unita quella del Viani, al quale dopo tanti tuoi elogi voglio bene quasi come ad un mio fratello, sicura che tu non puoi nè vuoi ingannarmi sul di lui conto. Io scriverò prestissimo a quel bravo giovine mostrandogli quanto affezione mi ha inspirato con quella grandissima ch’ei porta al nostro Giacomo, ma in quanto a ciò ch’esso desidera dovrò ripetergli quello che un anno fa io gli scriveva; la vita di Giacomo essere stata oscurissima e tranquillissima fino alla sua dipartita da Recanati, e quando egli era inabissato nei suoi studii, studii che faceva da se senza alcun maestro, io non ero capace di conoscerne il corso, nè di giudicare quanto mai diveniva bravo, e quanta fama andava ad acquistare. Non abbiamo nemmeno più il suo carteggio epistolare, da lui ridomandatoci quando era fuori; della sua vita poi, dacchè usci di casa, noi non sappiamo più nulla, e sarà una benedizione del cielo se, usciti a Firenze questi volumi delle sue opere colla vita scritta da Ranieri, noi arriveremo a procurarceli. Sicchè, se avessi occasione di scrivere al Viani, potrai dirgli quanto io ti ho detto, e farlo persuaso che non per cattiveria o per iscortesia io non giungo a compiacerlo, ma solo per reale impotenza. D’altronde poi sarei oltremo io lieta e ne andrei troppo superba di poter parlare del nostro Giacomo con quell’immensa affezione che gli ho portato sempre e mai cesserà. Poi, ha contribuito ancora ad ignorare io molte cose, quello stato di contreinte in cui era Giacomo coi suoi genitori, ai quali si dovean tener celate molte cose e molte io non ne sapeva, essendo donna e legata alla sottana di mamà. Però