Lettere dal fronte/L'ultima lettera

L'ultima lettera

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Lettere a varii

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III.


L’ULTIMA LETTERA




(Questa lettera fu consegnata al cappellano don Ezio Barbieri del 125º reggimento fanteria e dallo stesso inviata alla madre, dopo la morte di Giosuè. Perciò si pone qui come ultima, sebbene non sia l’ultima scritta). [p. 205 modifica]


(127)


Alla madre.

21 Ottobre 1915.


Mamma,

questa lettera, che ti giungerà soltanto nel caso che io debba cadere in questa battaglia, la scrivo in una trincea avanzata, dove mi trovo da stanotte coi miei soldati, in attesa dell’ordine di passare il fiume e muovere all’assalto. Volevo scriverla con minor fretta e con più calma, oggi, se, come tutto faceva credere, fossimo rimasti ancora accampati per un giorno a Zapotok. lersera già mi disponevo ad addormentarmi sotto la mia tenda, e pensavo con vera gioia che oggi avrei avuto una intiera giornata tranquilla per prepararmi al grande cimento: all’alba avrei ascoltato la messa e mi sarei comunicato, poi ti avrei preparato questa lettera di commiato, e finalmente, in pace col mondo, con me stesso e con Dio, [p. 206 modifica]avrei atteso la sera meditando e pregando, parlando ai miei soldatini, pronto a tutto, ben preparato a ogni evento, pienamente distaccato da tutti i legami terreni.

Invece giunse l’ordine repentino di levare le tende e prepararci alla marcia d’avvicinamento. Ci guardammo, io e il tenente Maltagliati, mio compagno di tenda: — Ci siamo! — Ci stringemmo la mano con quella dolce effusione fraterna che solo chi è stato in guerra può capire. In breve fummo armati e in ordine; riunii il mio plotone, feci l’appello, e corremmo al comando di battaglione per riepilogare attentamente tutto il piano d’attacco con le carte topografiche alla mano. Poi il colonnello ci disse qualche parola, ci strinse la mano ad uno ad uno. Finalmente ci siamo messi in marcia sotto la luna, abbiamo salito il monte, siamo discesi dall’altro versante e, giunti sulla riva dell’Isonzo, ci siamo disposti in linea. Fino all’alba ho lavorato coi miei soldati a scavare la nostra trincea, vi ho disposto tre delle mie squadre e ne ho condotto una quarta con me, in questa trincea coperta, lasciata dagli avamposti. Sotto questa trincea scorre [p. 207 modifica]l’Isonzo, che vediamo dalle feritoie in tutta la sua incantevole bellezza. A monte, sulla nostra sinistra, è il punto della riva dove sarà gettato il ponte per il nostro passaggio. A valle si trova la testa di ponte di Plava, con due reggimenti pronti a rincalzare la nostra avanzata. In faccia a me, sulla riva opposta del fiume, si stende un bel paesino ridente. È Descla, uno degli obbiettivi dell’azione affidata a noi. All’alba di stamani è cominciata la battaglia, col fuoco delle nostre magnifiche e formidabili artiglierie. Lo spettacolo è stato terribilmente superbo e maestoso. Tutte le posizioni nemiche sono state bombardate da una gragnola di proiettili d’ogni calibro. Tutte le trincee degli avversari sono state sconvolte ad una ad una, feritoia per feritoia, con una precisione matematica, inesorabile. Una pattuglia austriaca, che occupava una trincea sulla mia destra, s’è vista rimanere sepolta, e due soldati sono stati scagliati in aria come fuscelli. L’artiglieria avversaria ha risposto debolmente e senza risultati. Sul camminamento coperto che conduce alla trincea occupata da me, e dove forse i nemici hanno scorto qualche [p. 208 modifica]movimento di soldati, è caduta una quarantina di granate, di cui soltanto cinque o sei sono scoppiate, senza recare il minimo danno. Presso la nostra trincea ne sono cadute una ventina, di cui una sola ha colto nel segno, ferendomi un soldato e spezzando un fucile. Adesso siamo arrivati al pomeriggio. Sulle nostre ali s’è impegnato un fuoco di fucileria violentissimo e rabbioso, mentre l’artiglieria continua l’opera propria. Poco sappiamo di quel che accado presso di noi. Io ho mangiato poco fa, ho scambiato qualche parola e qualche biglietto con gli ufficiali dei due plotoni che ci fiancheggiano, Maltagliati del primo e Viviani del terzo. I miei soldati sonnecchiano, l’attesa si prolunga, e ho pensato di cominciare a scriverti, nella speranza che il tempo non mi manchi per dirti almeno una parte dei pensieri e degli affetti che mi traboccano dall’anima per te, mamma mia.

Sono tranquillo, perfettamente sereno e fermamente deciso a fare tutto il mio dovere, fino all’ultimo, da forte e buon soldato, incrollabilmente sicuro della nostra vittoria immancabile. Non sono altrettanto certo di vederla [p. 209 modifica]da vivo, ma questa incertezza, grazie a Dio, non mi turba affatto, e non basta a farmi tremare. Sono felice d’offrire la mia vita alla patria, sono altero di spenderla così bene, e non so come ringraziare la Provvidenza dell’onore cbe mi fa, offrendomene l’occasione in questa fulgida giornata di sole autunnale, in mezzo a questa incantevole vallata della nostra Venezia Giulia, mentre sono ancora sul fiore degli anni, nella pienezza delle forze e dell’ingegno, e combatto in questa guerra santa, per la libertà e per la giustizia. Tutto mi è dunque propizio, tutto mi arride per fare una morte fausta e bella, il tempo, il luogo, la stagione, l’occasione, l’età. Non potrei meglio coronare la mia vita; sento tutta la compiacenza di farne un uso buono e generoso. Perciò non voglio che tu pianga, mamma, perchè in verità offenderesti la mia sorte. Non piangere per me, mamma, se è scritto lassù che io debba morire. Non piangere, perchè tu piangeresti sulla mia felicità. Io non debbo esser pianto, ma invidiato.

Tu sai quali speranze ineffabili mi conforrano, perchè sono anche le speranze in cui [p. 210 modifica]anche tu hai riposto ogni tuo bene. Quando tu leggerai queste mie parole, io sarò già libero, sciolto e al sicuro, ben lontano dalle miserie del mondo. La mia guerra sarà finita, e io sarò alla pace. La mia morte quotidiana sarà morta, e io sarò giunto in alto, alla vita senza morte. Sarò in fàccia al Giudice che ho tanto temuto, al Signore che ho tanto amato. Pensa, mamma, che, quando tu leggerai queste parole, io ti guarderò dal Cielo, a fianco dei nostri cari: sarò con babbo, con la mia Laura, con Dino, il nostro angioletto tutelare. Saremo, lassù, tutti uniti e in festa ad aspettarti, a vigilare su te e su Gino, a prepararvi con le nostre preghiere il luogo della vostra gloria sempiterna. E questo pensiero non deve bastarti solo ad asciugare tutte le tue lacrime e a riempirti d’una gioia indicibile? No, no, non piangere, mamma mia santa, e sii forte come sei sempre stata. Anche se non ti basta la compiacenza d’avere offerta alla nostra adorata Italia, questa terra gloriosa e prediletta da Dio, il santo sacrificio della vita d’uno dei tuoi figli, pensa in ogni modo che non devi ribellarti neppure per un istante ai decreti [p. 211 modifica]divinamente sapienti e divinamente amorosi del nostro Signore. Se egli voleva serbarmi ad altro, poteva farmi sopravvivere; se mi ha chiamato a sé, è segno che quello era il migliore dei partiti e il maggior bene per me. Egli sa quel che fa; a noi non resta che inchinarci e adorare, accettando con giubilo fiducioso la sua altissima volontà.

Non rimpiango la vita. Ne ho assaporate tutte le ebbrezze malsane, e me ne sono ritratto con insormontabile fastidio e disgusto. Potevo ora, piccolo fìgliuol prodigo tornato dopo tanti smarrimenti nella casa del Padre, sperare ragionevolmente di gustare le buone gioie, quelle del dovere compiuto, del bene praticato predicato, dell’arte professata, del lavoro, della carità, della fecondità. A fianco della bella e buona giovinetta che tu conosci e apprezzi, che ho sempre, sempre così teneramente, timidamente e fedelmente amata, anche attraverso ai miei errori e trascorsi colpevoli, potevo sperare di riuscire un buono sposo e un buon padre. Vi sono al mondo tante sante e nobili battaglie da combattere per l’amore, per la giustizia, per la libertà, per la fede; [p. 212 modifica]e, per qualche tempo, lo confesso, mi sono anch’io, povero presuntuoso, creduto predestinato e designato al compito arduo e terribile di vincerne qualcuna. Tutto questo era bello, era lusinghiero, era desiderabile, ne convengo, ma non vale la mia sorte d’ora, ecco la verità; e davvero non so se sarei veramente contento d’avere scritta invano questa lettera. La vita è triste, è un penoso e increscioso dovere, un lungo esilio nell’incertezza della propria sorte. Perchè la vita mi trascorresse a seconda dei miei desideri e senza offrirmi mille amari disinganni, occorreva un concorso di circostanze troppo rare e difficili. E poi sono e mi sento debole, non ho la minima fiducia in me stesso. Tutta la lotta contro le ingratitudini e le iniquità del mondo non mi avrebbe spaventato come la lotta contro me stesso. Meglio dunque come è avvenuto, mamma. Il Signore, nella sua infinita bontà chiaroveggente, mi ha riserbato proprio il destino che occorreva per me, destino facile, dolce, onorevole, rapido: morire per la patria in battaglia. Con questo bel trapasso encomiabile, compiendo il più ambito tra i doveri del [p. 213 modifica]buon cittadino verso la terra che gli diede i natali, ecco che io mi distacco, tra il rimpianto di tutti coloro che mi amano, da una vita di cui già troppo sentivo il fastidio e il disgusto. Lascio la caducità, lascio il peccato, lascio il tristo e accorante spettacolo dei piccoli e momentanei trionfi del male sul bene, lascio la mia salma umiliante, il peso grave di tutte le mie catene, e volo via, libero, libero, finalmente libero, lassù nei cieli dove è il Padre nostro, lassù dove si fa sempre la sua volontà. Figurati, mamma, con quanta esultanza accetterò dalle sue mani anche i gastighi che mi imporrà la sua giustizia per i miei peccati. Egli stesso li ha tutti pagati coi suoi meriti sovrabbondanti. Dio di misericordia e di pietà, riscattandomi col suo sangue prezioso, vivendo e morendo per me quaggiù. Soltanto per sua grazia, soltanto con Gesù Cristo io ho potuto ottenere che i miei peccati non fossero la mia morte eterna. Egli ha visto le lacrime del mio pentimento, egli mi ha perdonato per bocca della sua Sposa illibata, la Chiesa. Spero che la Madonna, così pietosa e benigna per noi, mi assista col suo potente aiuto quell’istante [p. 214 modifica]in cui si deciderà di tutta la mia eternità. E poiché sono a parlare di perdono, mamma, ho una cosa da dirti con tutta semplicità: perdonami anche tu. Perdonami tutti i dolori che ti ho dato, tutte le angosce che ti ho fatto patire, ogni volta che sono stato verso di te sconoscente, impaziente, smemorato, indocile. Perdonami se per negligenza e inesperienza non ho saputo procurarti una vita più agiata e tranquilla col mio lavoro, dal giorno in cui mio padre ti lasciò affidata a me con la sua morte prematura. Vedo bene ora di quanti torti sono sempre stato colpevole verso di te, e ne sento tutta la stretta, il rimorso e l’angoscia crudele, ora che morendo sono costretto ad affidarti alla provvidenza del Signore. Perdonami infine quest’ultimo dolore che ho voluto darti, forse non senza leggerezza ostinata e crudele, offrendomi volontariamente al servizio della patria, affascinato dalle lusinghe di questa bella sorte. Perdonami anche di non avere mai abbastanza riconosciuto, adorato, cercato di ricompensare la nobiltà impareggiabile del tuo animo, del tuo cuore immenso e sublime, madre mia veramente perfetta ed [p. 215 modifica]esemplare, a cui debbo tutto quanto sono e quanto ho fatto al mondo di meno male.

Troppe altre cose avrei da dirti, ma non basterebbe un poema. Non mi resta che raccomandarti ancora una volta al nostro Gino, sulla cui serietà, sulla cui probità, sulla cui forza d’animo, sul cui tenero amore filiale faccio il più alto assegnamento. Digli a nome mio che serva volenteroso la patria, finché la patria avrà bisogno di lui, che la serva con abnegazione, con ardore, con entusiasmo, fino alla morte, se occorre. Se il destino riserba a lui una lunga vita di lavoro, l’affronti con serenità, con fermezza, con amore indomito alla giustizia e all’onestà, confidando sempre nel trionfo del bene, con la grazia di Dio. Sia un buon marito e un buon padre, educhi i figli all’amore del Signore, al rispetto della Chiesa, alla fedeltà verso il nostro E,e, verso le leggi, al culto geloso della patria nostra diletta.

Pensate spesso a noialtri quassù, parlate di noi tra voi, ricordateci e amateci come vivi, perchè noi saremo sempre con voi.

Tu prega molto per me, perchè ne ho bisogno. Abbi il coraggio di sopportare la vita [p. 216 modifica]fino all’ultimo senza perderti d’animo, continua ad essere forte ed energica come sei sempre stata in tutte le tempeste della tua vita, e continua ad essere umile, pia, caritatevole, perchè la pace di Dio sia sempre con te. Addio, mamma; addio, Gino, miei cari, miei amati. Vi abbraccio con tutto lo slancio del mio amore immenso, che si è centuplicato durante la lontananza, in mezzo ai pericoli e ai disagi della guerra. Qua, staccato dal mondo, sempre con l’immagine della morte imminente, ho sentito quanto sono forti i legami col mondo, quanto gli uomini abbiano bisogno d’amore reciproco, di fiducia, di disciplina, di concordia, d’unità, quanto siano necessarie e sacrosante cose la patria, il focolare, la famiglia, quanto sia colpevole chi le rinnega, le tradisce, le opprime. Amore e libertà per tutti, ecco l’ideale per cui è bello offrire la vita. Che Dio renda fecondo il nostro sacrificio, abbia pietà degli uomini, dimentichi e perdoni le loro offese, dia loro la pace, e allora, mamma, non saremo morti invano. Ancora un tenero bacio.

Giosuè