Lettere d'una viaggiatrice/Mein liebe Tirol
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MEIN LIEBE TIROL
Igls, agosto. . . . .
Tutti i viaggiatori che credono fermamente di avere una fantasia brillante e un’anima poetica, disprezzano, con tutte le loro forze, quel libro legato di rosso che è la guida Baedeker: e ovunque si trovino, innanzi alle Piramidi di Ghizeh, o innanzi ai fjords della Norvegia, essi guardano con un sorriso di commiserazione tutti coloro che, semplicemente e umilmente portano con fedeltà, sotto il braccio, il loro volume rosso, che lo aprono spesso, che lo leggono attentamente. A questi viaggiatori, che hanno tanta fiducia nella potenza della loro immaginazione, basta aver letto il vecchio Itineraire de Paris à Jerusalem, per visitare la Palestina, basta aver letto il Marocco di Edmondo De Amicis, per comprendere Tangeri, senza altra indicazione, e basta aver letto quella magnifica e giovanile incoerenza, che è la Coupe et les lévres di Alfred de Musset, per visitare e intendere la beltà del Tirolo. Ahimè, come la realtà s’incarica di punire questi presuntuosi, che non hanno mai comperato, nelle loro peregrinazioni, una guida Baedeker, trovandola troppo arida e troppo banale!
Chi viaggia, solo guidato dal sogno di un poeta, rischia di nulla vedere, di nulla intendere e di nulla ammirare: poichè il sogno non si trasmette: poichè la parola del sogno, è l’ombra del medesimo: poichè nessun sogno appare due volte, eguale, a due persone diverse: poichè ogni uomo ha il suo sogno o non ne ha nessuno. E chi vuole sentire come Pierre Loti innanzi ai templi indiani, come Paul Bourget innanzi ai palazzi di sedici piani di New-York, o chi vuole, in fine, nel Tirolo, ritrovar il sogno di Alfred de Musset, tornerà indietro deluso e triste e accuserà questi poeti e questi scrittori di menzogna. Ma la guida Baedeker è un libro così ampio nella sua sintesi vigorosa, così limpido nella sua descrizione breve e succinta, così preciso nel dirvi quel che dovete vedere e solo quello, e non altro, un libro, infine, così poetico nell’indicarvi una bellezza d’arte o una bellezza di paesaggio, con tre righe nette, vivide e matematiche! Ah se voi passate il Brennero, andando verso il Tirolo, e avete per bagaglio letterario solo il poema di Alfred de Musset, se voi rammentate solo le invocazioni di Frank, l’eroe ribelle della Coupe et les lévres, se voi cercate il Tirolo del poeta, di quel poeta, quel Tirolo di sogno, circondato di una visione di bellezza montana, fra i boschi alti e profondi, fra le balze ove salta il camoscio, fra le sorgenti cristalline che scorrono sotto le erbe morbide inchinantesi alla deriva, fra le huttes delle belle montanine e dei fieri cacciatori, voi, forse, errerete un mese a Igls, a Merano, a Toblach, a Madonna di Campiglio, a Cortina d’Ampezzo, senza riunire i brandelli del fulgido sogno tirolese di Alfred de Musset!
Ma se il vostro animo è mite e non domanda luce e consiglio che al libro rosso, stampato a Leipzig, se voi chiedete al libro dove dovete andare, che cosa dovete vedere e che non vedere, se voi domandate, con umiltà, alla guida del Tirolo, che vi è di più bello oltre le sue montagne, simili, in verità, a molte altre, oltre i suoi paesaggi, eguali, in verità, a tanti altri già visti, oltre i suoi prati fioriti e i suoi ruscelli alpestri, la buona, la cara guida vi dirà una cosa giusta e saggia, che, in Tirolo, voi dovete ascoltare il canto delle donne, degli uomini e dei fanciulli, che, sui monti, sui colli alla mattina, al tramonto, nella notte, voi dovete riempirvi l’anima di questi canti, di queste musiche e allora. . . . .
⁂
Era sopra la veranda grande di una villa nascosta fra gli alberi e i fiori, a Igls, in un’ora pomeridiana di estate: e anche gli archi della veranda eran frescamente coverti di foglie e di fiori, salienti dal vasto giardino, sul colle. Era in un giorno un poco malinconico, con un cielo bianco, lavato da tre giorni di pioggia forte e lunga, con un paesaggio velato di nebbia e di umidità, coi monti quasi vanenti nel leggiero fumo, che avvolgeva tutto il paesaggio. Tutte le tende vivide, contro il sole, erano tirate e tutte bagnate ancora, dagli uragani appena finiti: e, talvolta, come un lungo brivido di freddo passava nella umidità e serpeggiava in noi. Le cantatrici tirolese e i cantatori giunsero, in silenzio, chetamente, dai saloni della villa, sulla veranda, ove noi li aspettavamo, muti e senza impazienza, e salutarono, gentilmente, in tedesco, la piccola assemblea, quasi tutta fatta di donne, e qualcuno, non io, che sapea il tedesco, rispose al saluto. Erano, questi tirolesi, quattro donne e due uomini, una comitiva che, esperimentata dall’infanzia nel canto, e nella musica di montagna, si era riunita, come tante altre se ne eran formate e questa, forse, una delle migliori, una delle più popolari, poichè possedeva delle belle voci, e un repertorio dei più tradizionali, come canzoni. Delle quattro donne tutte eran molto giovini: solo una, Marie, andava verso la quarantina: e la più giovine, Louise, un fior di bellezza dolce e sorridente e un’altra, Johanna, un’aria fiera e pensosa. Vestivano il perfetto costume tirolese, la gonna di seta a fiori, a grosse pieghe, rotonda, il busto di velluto nero, il gran fazzoletto di merletto bianco incrociato sul petto, le maniche della camicia fine, sbuffanti, al gomito; la crocetta d’oro al collo, sospesa a una catenina e il grembiale chiarissimo, a fiori, con un fiocco di seta, a capi lunghi, sopra un lato: e il cappello tirolese, sovra tutto, il cappello sull’orecchio, col fiore di edelweiss nel nastro e la piumetta bianca, quel cappello, con quella piumetta che v’indica, dovunque e subito, il tirolese.
Gli uomini avevano i pantaloni corti al ginocchio e quelle loro curiose calze bianchissime, arrivanti sino a sotto il ginocchio, fermate da legacce, simili a quelle delle donne e la gran cintura colorata, sovra il panciotto, e le piumette più alte, più sottili, più arcuate, sui loro cappelli tirolesi. Il capo della comitiva, l’accompagnatore, dispose sovra un tavolinetto, in fondo alla veranda, il suo istrumento, la zithar, fra la cetra e la chitarra, a corde gravi e sonore, frementi al minimo tocco: le quattro donne e l’altro uomo, il cantante, un bellissimo giovane bruno ridente, dai denti bianchi, si disposero in semicerchio, e il canto cominciò. E una profonda meraviglia c’invase per quelle armonie lente e nobili, talvolta spiranti una tristezza rude e sobria, per quelle armonie vivaci e fresche di un carattere originalissimo, a nulla rassomigliante. Le voci erano alcune forti e piene, alcune sottili, alcune sorde, ma riunite in una fusione perfetta, tanto da parere concertata, da maestri sapienti, lunghissimamente studiate e concertate. Toccante, penetrante, la zithar accompagnava, sotto le dita del suonatore, quel mirabile canto in cui il giovine che cantava, metteva la melodia di una voce bassa, modulata nelle tonalità più commoventi, che hanno le voci basse. Io non sapevo che fossero quei canti: non ne comprendevo le parole: la loro lingua era ignota: la medesima melodia tutta montana, tutta nordica, mi era estranea. Ma io intendevo, nei miei nervi, nel mio cuore, nella mia anima, tutta l’amarezza e tutta la dolcezza di quel canto sconosciuto e misterioso: intendevo tutta la languidezza mesta di certe cadenze, di canzoni alpestri, risuonanti di roccie in roccie: intendevo tutta l’asprezza di certe marcie quasi trionfali, cammino di cacciatori che discendono al piano, cammino di guerrieri che tornano da una battaglia per la libertà: intendevo tutta la grazia dei ritornelli d’amore, di collina in collina, al cader del sole. Purissimo canto: di una limpidità cristallina: saliente nell’aria, in echi più fini, più fievoli, ma sempre nitidi: cupo e tetro, in sue note estreme: o brillante come in cinguettìo di tanti uccelletti sugli alberi, ma sempre preciso, chiaro, di una penetrazione singolare. Curiosamente, a un tratto, il canto s’interrompeva: e il grido acuto, stridente, tirolese, il yu inimitabile, il grido dato da una voce, ripetuto da quattro, gittava la sua nota dissonante: ecco, è la montagna, tutta quanta, con le sue solitudini, coi suoi deserti, e, a un tratto, col grido lontanissimo stridentissimo, il yu, il yu, onde i tirolesi a enorme distanza si chiamano, si riconoscono. E le canzoni di amore, di dolore, i canti di guerra, riprendevano in un onda musicale, onde eravamo travolti. I volti delle donne e dell’uomo mentre cantavano, restavan sereni, sorridenti, come se quella musica, quel canto fossero la emanazione più naturale e più semplice della loro vita: e solo ogni tanto, come un’ombra di mestizia traluceva nel viso come nel canto. Era, io suppongo, in certe canzoni di esiliati tirolesi, lontani dalle loro montagne e che le rimpiangevano, ogni tanto sulla frase Mein liebe Tirol, la voce delle cantatrici si posava, con una malinconia, con una malinconia! Giammai nostalgia fu espressa così tristamente, nel canto: e quando le parole di rammarico ritornavano, Mein liebe Tirol, ah che il sogno si ergeva innanzi a noi, il sogno di una patria libera, fra il cielo e i monti, fra i magnifici e liberi tramonti, fra le libere albe, in alto, in alto, bevendo alle sorgenti gelide, perseguitando il camoscio sulle pietre aguzze, il fiore al cappello, la piuma al vento, mentre da un villaggio arrivano i canti delle fanciulle e il giocondo yu, interroga sul ritorno dei fidanzati! Oh sogno di altitudine e di libertà, in quel canto! Io vidi quei volti sorridenti farsi pensosi, a un tratto, accendersi anche il volto del bellissimo, intonando una lunga complainte: era l’epopea del loro eroe tirolese, di Andrea Hofer, l’eroe della montagna, l’eroe popolare, colui che seppe combattere, vincere sempre, anche vinto, anche quando fu preso dai francesi e fucilato a Mantova, e prima di morire salutò il suo Tirolo, Mein liebe Tirol, e salutò la libertà, Andrea Hofer, il cui monumento sorge a Innsbruck, Andrea Hofer, cioè la montagna e la libertà, cioè tutto il Tirolo! al momento in cui, nella complainte, Andrea Hofer muore, quasi, le voci singhiozzavano. O sogno di noi immobili, muti, estatici, in un bianco e brumoso pomeriggio di estate, sopra una veranda, fra anime belle e tenere, sogno di noi tutti, immobili, sovra ogni beltà e ogni grandezza del Tirolo, sogno venuto da quel canto che andava verso il cielo, sogno di un lungo viaggio di noi, immobili, taciturni, avvolti di sogno.