Lettere (Campanella)/VII. Al cardinale Odoardo Farnese
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VII
Al cardinale Odoardo Farnese
Rifatta la storia de’casi di Calabria e dell’orrenda sua prigionia, ripromette miracoli e profezie, aggiungendo un altro non breve elenco di nuove imprese che compirebbe in venticinque mesi, pena la vita; e per dare una prova del suo valore, elenca le opere fin allora composte. Narra ciò che ripeterá nella lettera seguente intorno al diavolo fintosi angelo, ed accenna alle rivelazioni divine consecutive per cui egli si paragona a san Giovanni e Mosè. Lo si faccia venire a Roma, perché è disposto ad affrontare il rogo ove venga meno a quanto dá da sperare. Alla qual condizione non è improbabile che lo si lascerá partire.
All’illustrissimo e reverendissimo signore
cardinale Farnese, padrone colendissimo.
Quello altissimo Dio, — chi mi liberò di sette tormenti orrendi ed «a laqueo venantium» e dalla furia «conclamantium: crucifige, crucifige», perché si manifesti la sua gloria in me servo suo vilissimo, laonde, «quia noluit mundus cognoscere per sapientiam Dei virtutem, placuit Deo per stultitiam salvos facet e credentes», come è scritto, — mi dona anche animo e commoditá, dentro una fossa d’acqua puzzolenta dove mai non vedo giorno, sempre inferrato e morto di fame e di mille afflizioni confuso tra cinquanta leopardi chi mi guardano, di scrivere a Vostra Signoria illustrissima e supplicarla che mi aiuti a tanto ch’io possa veder luce solo per annunziare alla santa chiesa quel che fin mo’ non m’han voluto credere, e confirmarlo con miracoli e testimonianze di cielo e di terra. Son accusato per ribello ed eretico, per lo che otto anni cominciano che sto sepolto «donec veniret verbum eius»: e le dico che la ribellion mia è come quella d’Amos profeta nel settimo dove scrive l’empio sacerdote Amasia: «rebellat contra te Amos, o rex Ieroboam»; la eresia è come quella di Socrate [che] per esser piú pio de gli altri fu stimato empio, e cosí morto.
Vero è che, sendo stato preso io e molti frati dell’ordine per ribello, quasi volessemo ribellare il regno al papa, in tempo che molti officiali e baroni del regno erano scommunicati e perseveravano, e la cittá di Nicastro interdetta, e in tutte queste cose mi trovai, e fu gridato in Seminara Viva il papa, dal clero che armata manu liberò un clerico dalle carceri secolari. Del che facendo processo lo scommunicato fiscale don Luigi Sciarava per le parole di fra Dionisio che predicava di mia bocca la novitá del secolo — e fu interpretato per ribellante, ed io capo, — furo necessitati gli amici di dire che ribellavamo per far eresia e non per il papa, altrimente moriamo tutti de acto, inconsulto pontifice. Poi fu posto il negozio a giustizia e si vide il vero dell’eresia, che tutti testimoni si ritrattâro dicendo perché aveano finto; e cosí pur della ribellione, ché di ottanta tormentati ad pompam nullo confessò, e quelli che morîro nelli primi impeti per tormenti diabolici, dissero cose varie e morendo si ritrattâro ad alta voce — e ci son presentate le fedi di confessori.
Tutti poi fûr liberati; ed io rimasi solo per coprir l’errore di processanti al re ed al mondo. Non ho testimonio contra me se non uno morto che, per altra causa morendo su le forche, persuaso dal falso fiscale e confessore tornò in pregione e disse mirabilia et non subsistentia. L’altri tutti si ritrattâro. Li revelanti sunt ex dicto fratris Dionysii qui omnia negavit. Se ne fuggío e si fe’ turco, ché tanto gridato al cane lupo lupo, che si fe’ lupo. Ma Dio lo permesse per la sua lussuria; perché esso ha riferito le parole mie d’altro modo, volendo uscire in campagna a vendicar la morte di suo zio ammazzato da altri frati: e però dicea che dovea perir il regno; e certi carcerati per debito l’accusâro e s’indultâro e premii acquistâro.
Or, signor mio, ben sa ella che tutti profeti passâro per questa accusa: Micheas «quia non prophetat nobis bona»; Isaia per lo stesso mori; Ieremia «moriatur quare dixit contro templum hoc etc.». De gli altri si legge sempre questa accusa: «benedixit Deo et regi»; e Platone e Senofonte nell’Apologia in favor di Socrate dicon che questa è querela antica contra li sapienti nati ad illuminar la gente al meglior vivere, e però odiati da chi governa male. Non mi ammacchia fra Dionisio, sendo scritto: «erunt duo in eodem lecto, unus assumetur, alias relinquetur»: e san Giovanni: «ex nobis exierunt, sed non erant ex nobis, nam permansissent etc.».
Avendo io l’anno [15]98 predicato il fin del mondo e la renovazion del secolo per la mutazion del sole che da Tolomeo in qua è calato cento e diecimila miglia, e per la obliquitá del Zodiaco mancata trenta miglia incirca, e per la mutazion dell’apogei, eccentricitá e d’equinozii e solstizii ch’arrivano al proprio quatrato di novanta gradi dal principio del mondo in qua, e son confuse tutte le figure celesti — cose non intese dagli antichi, parte scoperte da Copernico con l’osservanze passate, ma con falsi principii e cause, non cause ragionate, e da me conosciute solo per sintomi della morte del mondo perituro per fuoco, onde scrissi quattro libri della mortalitá del mondo in favore di san Pietro, Contra Aristotele e Tolomeo e Copernico e Telesio, e palesai come è giorno il tempo, «virtutes coelorum movebuntur»; — tutta la gente mi venea a dimandar di questo. Occorse nel medesimo tempo l’inondazion del Tevere ed in Calabria cometa e visioni in aria come quelle di Gerusalem, e li terremoti prodigiosi ch’inghiottîro quasi mezza la Calabria e Sicilia e fûr da me predetti ed antevisti.
E da ciò io predissi la ruina della provinzia, ché dovea venir gente forastiera a conculcarla: come veramente venne Carlo Spinello con piú compagnie di spagnoli e la disertò d’ogni bene, e compose in denari piú di quaranta persone, e la consumò; e me co’ i miei prese come ribellante per il papa. E questa strada sendo da noi con industria schifata, disse per il turco: con occasione che un carcerato andò sopra le galere per un riscatto, e dimandò curiosamente s’era vero quel ch’io predicea, che li turchi a questo tempo avean d’esser divisi e la metá farsi cristiani, secondo scrive Arquato astrologo e santa Caterina da Siena; e perch’era bandito, si fece fare un salvacondutto per il mare. Ed io avvisai questo per uscir dal peggior laberinto del papa e di tanti vescovi e cardinali che nominâro nel principio li revelanti. Talché il fiscale per vendicarsi di suoi nemici, che fin al viceré ci pose, ch’era mio amico per lettera di curiositá, e delli ecclesiastici contra li quali esso scommunicato tenea la fazione in Nicastro e Melito e Catanzaro, fece quelli orrendi e falsi processi.
Or io trovandomi in guai senza aiuto umano, ricorsi a Dio, appellai alla santitá di Paolo quinto e dimandai ch’almeno mi lasciasse defendere secondo il canon pastoralis De sententia et re indicata in Clementinis: che non devo in man della parte esser tenuto sotto le fosse senza difesa: e che li avversaria accorti che il re potrebbe saper il gran male ch’han fatto, s’io mi defendessi o potessi scrivere, mi tengono sepolto. Ricorsi al viceré; e non mi vuol udire, perché il capitano chi me tiene, è amico di nemici e sempre riferisce male di me: e li possenti nemici, premiati di danari e dignitati «ex mercede iniquitatis», tengon l’orecchie del viceré assediate ch’io non possa arrivarci con la voce, e combatton contra me con ferri, maniglie, tormenti, fossi, sbirri e fame. Armi che io non ho contra loro; e mi offero d’ogni cento ragioni dar a loro cinquanta e la mano, purché mi lasciti combattere per via di ragione, della quale son tanto scarsi che non si fidano darmi al mio tribunale, dove io son notato d’eretico e di diavolo, ed elli come figliuoli primogeniti son del papa e della chiesa.
Dunque la grazia ch’io dimando, è solo d’esser ascoltato ex iure: e tanto piú ch’io posso far grandissimi beneficii alla cristianitá, e non son membro fracido e resecando dal corpo della republica. Le quali cose presentai al viceré e mandai a Sua Beatitudine; e non mi voglion udire, perché forsi non mi credono. Nel che son prudenti; ma a non voler veder prova son tirati da imprudenza e malignitá de nemici. Ebbi in questo luoco dal Signore revelazioni e miracoli in prova maggior di quelli di Mosè, ed autoritá come quelle di san Gioanni secondo il decretal; e pensano che son bugiardo senza veder la speranza, guidati da ragion di stato umano. «Venite, cogitemus adversus Ieremiam et non attendemus ad universos sermones eius». Veda, per grazia, prima le promesse.
In primis prometto, sotto pena d’essermi tagliata una mano s’io mento, di augumentar li vassalli e rendite del regno di Napoli a centomila scudi piú che l’ordinario, con gusto di popoli e gloria del re, subito svellendo abusi e piantando virtú; e facilmente il medesimo fare nello stato della chiesa etc.
2°. Far guadagnar al re per una volta cinquecentomila scudi per una impresa importantissima a tutti negozi d’Europa per la monarchia cattolica, con facilitá e gaudio de’ popoli ancora.
Di piú, sotto pena della vita si non riescono, prometto le seguenti imprese e libri finire in venticinque mesi, che non possino esser notati d’errore né di stiratura de sensi né d’adulazione, fortificati con la ragione comune copiosamente ed autoritá della Bibbia e di dottori santi e di sapienti d’ogni nazione: e sodisfar ad ogni contradicente etc.
In primis, far un libro dove si mostra esser venuto l’articolo magno de’ tempi in cui s’adimpisca la promessa d’Abram, «ut haeres esset mundi»; e che dopo tanti scompigli del mondo avvenuti per la diversitá di principati e di leggi varie, è naturale e conveniente al governator del mondo unir tutte le genti sotto una sola legge ed uno principato felicissimo cantato da poeti per secolo d’oro, da filosofi descritto per stato d’ottima republica ancor non vista, da profeti antevista nella tranquillitá di Gerusalem liberata da Babilonia d’eretici cd infedeli, e da sapienti di tutte nazioni predicata, ed aspettata dalli popoli, come pregamo che si faccia la volontá di Dio in terra come si fa in cielo; e che tocca a’ re di Spagna congregarla e far una greggia ed un pastore, sotto li cui auspicii si cominciò a girar tutto il mondo. E ch’egli è cattolico, universale e mistico Ciro ch’ha da metter il continuo sacrificio in terra, in ogni momento celebrandosi messa nello suo stato; e cosí è antevisto da tutti profeti ed astrologi, e prefigurato in Esdra, Neemia, Isaia etc. E farò che ’l sommo pontefice n’abbia gran contento, e tutti principi sian forzati a crederlo e volerlo senza invidia, ed assicurarli con grand’arte certa e sicura dalla gelosia di stato; e che tutti popoli d’ogni nazione anche infedeli lo desiderino e faccino che sia; perché dove inchina per profezia ed opinione di savii il ben comune, per natura inchina anche l’imperio come sanno i politici dotti nell’istorie.
2°. Far un libro secreto al re, come possa arrivar facilmente a questa monarchia, e presto per via politica e profetale sicura, e scoprir molti errori chi tardâro la fortuna di suo imperio; e far un altro al papa del medesimo modo.
3°. Un volume contra politici e macchiavellisti chi son la peste di questo secolo e di tal monarchia, fondando la ragion di stato su l’amor parziale; mostrando a loro con novi ed efficaci argomenti quanto s’ingannano nella dottrina dell’anima, ed in pensar che la religion sia arte di stato. Scoprendo anche come tutti principi chi seguîro tal opinione ab initio mundi han perduto la vita e lo stato in sé o subito nei posteri loro; ed avanzar ogni scrittore in questa materia, di maniera che non possa risponder qualunque ostinato sofista, per consenso d’ogni savio.
4°. Un volume per convertir li gentili dell’Indie orientali ed occidentali con li principi di ciascuna sètta loro e con la ragion commune, poiché non credeno autoritá: che per prova e per giudicio d’ogni savio non potranno rispondere: e sará atto a scompigliar i regni loro e tirarli a sé con meraviglia.
5°. Un volume contra luterani e calvinisti ed altri eretici insorgenti, che possa convincerli ognuno efficacemente alla prima disputa; ché il modo usato è uno allongar la lite: il che è specie di vittoria a chi mantiene il torto.
6°. Andar in Germania lasciando per ostaggi quattro parenti in pregione, e convertir alla fede almeno dui di principi protestanti, e screditar Calvino affatto in quei paesi; e tornar con gli ambasciator loro al papa fra quindici mesi; scoprendo, prima che vada, al papa ed al viceré com’io posso ciò fare sicuramente.
7°. Dopo tornato, far cinquanta discepoli armati d’argomenti, di profezie, di testimonianze e d’animo risoluto al martirio, e mandarli contra gli eretici con guerra spiritale piú che grammaticale; ed assicurarli dell’imminente lor ruina: ché dove entra ateismo o negazion di libero arbitrio o di providenza o d’immortalitá, necessariamente quel paese ha di mutar legge; e che essi stanno per la resistenza nostra e si confessan vinti, ma noi non sappiamo cogliere il frutto della vittoria. Oltre le profezie naturali e divine ed altre prove dicende etc.
8°. Insegnar filosofia naturale e morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia, medicina, cosmografia in spazio d’anno a tutti ingegni atti ad imparare, con mirabil modo, facendo che lo mondo stesso serva per libro e per memoria locale; e che sian risoluti piú nella scienza delle cose che delle parole, ed avanzino ogni altro versato dieci anni nelli studii comuni etc.
9°. Componer di nuovo tutte le scienze naturali e morali, cavandole dalla Bibbia e santi padri, per scioglier la gioventú dalla dottrina greca, zizania del Vangelo e nutrimento dell’impietá di questo secolo, che fa svanir l’ingegni ed oscurare, come predisse Catone; ed avanzarò in quelle Aristotele e Platone di certezza, di veritá, di facilitá, di pietá e d’efficacia di prove al senso esposte e confirmate dal divino lume.
10°. Componer l’astronomia di nuovo, ché tutto il cielo è mutato di Cristo in qua, e figurar nelle ignote stelle del mondo novo gli eroi della conquista con gloria di Spagna e della cristianitá, come han fatto li caldei ed egizi nel nostro; e scoprir la mortalitá del mondo per fuoco, contro Aristotele, Tolomeo, Copernico, in favor del Vangelo; e migliorar il calendario.
11°. Aprir nova e sicura porta a gli ebrei e macomettani per intrar alla fede: scoprir con novi segni Macometto anticristo e far cessar la miraviglia della sua potenza e di suoi satelliti calvinisti.
Di piú prometto le seguenti cose come probabili, sotto pena di perder l’onor di letterato, se non riescono tutte:
1°. Fabricar una cittá ammirabile al re, salubre ed inespugnabile, che, mirandola solo, s’imparino tutte scienze istoricamente.
2°. Far che li vascelli senza remi navighino, anche senza vento, quando l’altri stanno in calma, con magistero facile; e guadagnar il tempo al nemico.
3°. Far caminar le carra per terra col vento con buoni pesi, meglio forsi che non s’usa nella China.
4°. Far che li soldati a cavallo adoprino ambe le mani senza tener briglia, e guidar bene il cavallo per ogni verso meglio ch’i tartari.
Tutte queste cose io pensavo fare per levar la macchia che mi fu data nel Santo Officio, come appare dalle conclusioni da me scritte che speravo sostener in Roma nell’anno santo; tra le quali ci sono duecento della mutazion di questo secolo e della profezia ed in favor di Spagna. Ed io edificavo la signoria di Spagna e della chiesa quando fui carcerato come distruttor di quelle; e per segno ho scritto li infra notati libri in favor loro, e non mi lasciano presentarli, perché non possa arrivar alla grazia del re e della chiesa.
In primis, un libro di Discorsi sopra la monarchia di Spagna e di tutti regni del mondo in suo favore per fato e politica etc.: al regente Marthos dato. Un Discorso a’ principi d’Italia che per ben del cristianesimo e di loro stati non abboriscano l’imperio spagnuolo, e con che arte si pònno assicurare dalla gelosia etc. La Tragedia della regina di Scozia per Spagna contra Inghilterra. Di piú, la Monarchia universale di cristiani: la tiene il cardinale San Giorgio. Un libro secreto al papa per far un gregge ed un pastore con le forze sole della chiesa, benché ognun repugnasse. Di politica. Aforismi 150. De propria republica lib. 1. De episcopo lib. 1. De praedestinatione et grafia contra Molinam pro thomistis quaestiones 50. De rerum universitate iuxta propria principia lib. 20. De sensu rerum et magia lib. 4. De investigatione rerum lib. 3. De insomniis lib. 1. De arteriis, nervis et venis, et facultatibus et usibus eorum et motibus lib. 1 contra medicos. Di filosofia naturale compendi dui vari. Pro Telesio contra Aristotelem lib. 8. De rhetorica, poetica et dialectica propri lib. 6. Un Epilogo magno di ciò ch’ho filosofato e disputato intorno alle cose naturali e morali. De philosophia pythagoreorum lib. 3 in versu latino. Apologia pro philosophis Magnae Graeciae ad Sanctum Officium. De metafisica secondo i suoi principi novi tre parti: de possanza, sapienza ed amore; e di lor oggetti, essenza, veritá e bontá; e di lor influenze magne, fato, armonia e necessitá. De eventibus praesentis saeculi articuli profetales 18. De astronomia lib. 4 contra Aristotelem, Ptolomaeum, Copernicum et Telesium, demptis orbibus et excentricis et concentricis et epicyclis et raptibus. Et simul De symptomatis mundi per ignem interituri pro divo Petro. Dell’arte cavaglieresca un trattato. Un discorso a’ veneziani richiesto da loro: Se dovean lasciar parlar in lingua strana e non veneziana gli ambasciatori spagnuoli e francesi nel lor senato. Cur sapientes et prophetae nationum omnium in magnis temporum articulis fere omnes rebellionis et haeresis tanquam proprio simili crimine notentur, ac morti violentae subiaceant, et postmodum cultu et religione reviviscant, tractatus 2. Un volume di sonetti e canzoni a varie republiche, regni ed amici, e salmodia della legge naturale e divina in tutte cose, e suoi lamenti e profezie in novo modo di profetare.
Da queste scritture, che son tutte salve, può vedere com’io edificava la chiesa e ’l regno; e ch’ad ogni cosa pensava altro che a quel che mi s’impone; ed anche come son atto a far quanto prometto, poich’é fatto in etá di trentun anno, che fui preso in questo travaglio.
Di piú l’avviso come, avendo io visto l’eclisse dello spirito tra cristiani, lo qual solo ci distingue dall’altre nazioni, poiché tutte defendon la lor legge con argomenti, miracoli e profezie e coll’inquisizione, mi son risoluto ad esaminar l’Evangelio con tutte le leggi delle nazioni antiche e moderne dell’uno e dell’altro emisfero, e cosí con tutte scienze d’ogni setta di filosofanti. Arrivai al vero della nostra legge, che in lei sta solo la puritá della legge naturale, e solo vi son aggionti li sacramenti per aiuto ad assicurar la legge della natura. E conobbi li miracoli e profezie vere e false, e d’ogni cosa son risoluto, e dell’eclisse dello spirito e del ritorno di Dio a gli uomini vicino; che se ci fe’ senza aver bisogno di noi, come se ne avesse, cosí pur ci guida e con noi tratta come se di noi avesse bisogno, e non n’ha, ma gode dell’opere sue, perché son sue.
Cosí anche della morte del mondo. E m’occorse ver’ la nativitá d’una persona: li dissi ch’era inclinata alla profezia, li donai il modo di disponersi all’influsso divino; e perché egli era scelerato, li comparse il diavolo, e dicea esser angelo, e ci donò avviso di tutte le cose future a’ molti regni del mondo, e del papato e di Venezia ch’ha a rovinare. Io poi dimandai segni come Gedeone, s’era Dio o angelo; ce li promesse. E perché non insegnassi a colui a scoprir il diavolo, esso diavolo mi fece ponere in questa fossa con stratagemma stupenda che non posso scrivere. Qui aspettai scienze del cielo e libertá, secondo egli mi predisse: vennero piú diavoli, mi afflissero assai, perché io non mi lasciai ingannare; finalmente con molta orazione e flagelli ebbi rivelazion del vero, che quello era demonio, e delle cose soprastanno in Roma d’ecclesiastici e di Venezia, delle quali parte scrivo a nostro signore papa ed al cardinale d’Ascoli, ché qua non ho piú carta e tempo. E perché ci possa dirli, piacque al Signore darmi autoritá come quella del san Gioanni a’ farisei, e miracoli piú stupendi che quelli di Mosè, per convertir il mondo al vero Evangelio ed umiliar li principi alla santa chiesa; e son dieci mesi e non posso aver audienza.
Ed ora io seppi il negozio di Venezia, e mandai queste scritture. Per tanto supplico Vostra Signoria illustrissima che per beneficio della cristianitá m’aiuti con Sua Beatitudine, mi faccia venir a Roma: ché non solo farò li libri e l’imprese che prometto in questa lista a loro data, ma li miracoli e profezie, non per prova dell’innocenza mia, ché fui scelerato, ma per confirma del Vangelio e spavento delli rebelli della chiesa. E se non è cosí in tutto quanto scrivo, m’obligo ad esser subito brugiato; e con questa condizione mi pònno dimandar dal viceré, ché forsi mi dará: che se mento, il Santo Officio mi rimandará a Napoli. Veda per amor di Dio di farla da vero apostolo ed aiutar che ’l viceré non mi faccia morire senza veder prova di tante cose mirabili; ch’al re non giova uccider un fraticello che può esser tanto utile. Io ho fatto il mio officio di pregare Vostra Signoria illustrissima: faccia il suo di favorire la ragione, che però sta in questo grado eminente e non per bellezza e mostra. Non ho nova di monsignore di Civitaducale. Però direttamente indrizzai a Vostra Signoria illustrissima nata a ben di buoni. Amen.
[Napoli,] 30 d’agosto 1606.
Fra Tomaso Campanella |